Oggi il
Calendario del cibo italiano celebra la Giornata Nazionale dell'Arancina (o Arancino), il cibo di strada siciliano più noto in Italia e nel mondo.
Io ovviamente le adoro, ma le mangio solo in Sicilia: nel freddo Nodd decisamente non le sanno fare, il riso è sempre scotto e il risultato è invariabilmente deludente.
Mi sono divertita a tracciare la storia di queste delizie, e ho scoperto che non ci sono notizie certe sulla loro data nascita, né si può citare il cuoco che le abbia inventate, e quindi prima di passare alla ricetta, vi tedio con un po' di storia. 😄 Ovviamente, se preferite passare subito alla ricetta avete tutta la mia comprensione. 😏
Secondo l’ipotesi più diffusa, che parte dall’analisi degli ingredienti, l'origine delle arancine risale all’Alto Medio Evo, durante l’occupazione araba, che influenzò la storia e i costumi, anche alimentari, della Terra dei miei avi.
Agli arabi infatti si deve l’introduzione del riso speziato, aromatizzato con zafferano e servito in un grande piatto al centro della tavola, accompagnato da bocconcini di carne e verdure; i commensali si servivano direttamente dal piatto di portata, prendendo con le mani un po’ di riso e condendolo con carne e verdure. In seguito l’emiro Ibn at-Timnah inventò il timballo di riso, e da lì a creare dei timballi monoporzione il passo fu breve.
Il ripieno a base di ragù di carne risale alla dominazione Normanna, mentre sembra che la panatura sia stata inserita per accontentare Re Federico II di Svevia, che voleva gustare i timballi di riso anche in viaggio e durante le battute di caccia. Tale ipotesi quindi definisce le arancine come una felicissima sintesi delle varie influenze storiche dell’Isola. Perfino il loro nome,
arancine, viene fatto risalire alla cultura araba antica: nel mondo arabo infatti, tutte le polpette tondeggianti prendevano il nome dalla frutta a cui somigliavano per forma e dimensioni.
Esiste però anche una seconda ipotesi sulle origini delle arancine, alimentata dal fatto che la preparazione viene menzionata per la prima volta nella seconda metà del XIX secolo: secondo alcuni, questo farebbe pensare che la loro origine sia molto più recente. A ciò si aggiunga che il primo dizionario siciliano-italiano che registra la parola
arancinu, quello di Giuseppe Biundi, è datato 1857 e descrive una vivanda dolce di riso dalla forma della melarancia. I passaggi dal dolce al salato non sono infrequenti nella storia gastronomia, e infatti il
Nuovo vocabolario siciliano-italiano del Traina, edito una decina di anni più tardi, alla voce
arancinu rinviava a
crucchè, "
specie di polpettine gentili fatte o di riso o di patate o altro".
Nei documenti sopra citati non sono mai menzionati né la carne né il pomodoro, e in effetti è difficile dire quando questi due ingredienti siano entrati nella ricetta: del pomodoro tra l’altro, si sa che cominciò a essere coltivato nel Sud Italia solo all’inizio dell’Ottocento.
Alla luce di questi fatti, l'origine araba delle arancine non sembra più così certa, mentre si potrebbe pensare che si tratti di un piatto nato nella seconda metà del XIX secolo come dolce di riso, trasformato quasi subito in una specialità salata.
Se le origini dell’arancina sono incerte, certa però è la derivazione del nome: le prime arancine, ripiene di ragù e piselli, avevano la forma tonda e il colore dorato delle arance. Col tempo i ripieni si sono differenziati, e con essi anche le forme, per poter distinguere i preziosi scrigni di cibo uno dall’altro: quelle al ragù sono rimaste tonde in Sicilia occidentale (nella parte orientale dell'Isola invece hanno forma conica, in omaggio all’Etna), mentre quelle al burro sono ovali. Ai due gusti classici, l’inventiva e le tradizioni delle varie città ne hanno affiancati altri: a Catania sono famose quelle alla Norma, con melanzane fritte, salsa di pomodoro e ricotta salata, e quelle al pistacchio di Bronte; le varianti sono una trentina e il loro numero è destinato ad aumentare, grazie alla fantasia dei cuochi e alla reperibilità di ingredienti non originari della Sicilia.
Altre differenze tra la parte occidentale e orientale dell'Isola riguardano la colorazione del riso delle arancine: nella Sicilia occidentale il giallo è dato dallo zafferano, mentre in quella orientale è dovuto al sugo di pomodoro.
A Palermo il giorno di Santa Lucia ne viene preparata anche una versione dolce, farcita con crema gianduia e spolverata di zucchero al velo. A Modica la versione dolce prevede un ripieno del cioccolato per cui la città è giustamente famosa.
Finora ho parlato di arancine al femminile, ma nella bella Trinacria la questione del genere è tutt’ora aperta. Secondo l’Accademia della Crusca entrambe le forme sono accettabili: il genere infatti è determinato dall’uso diatopicamente differenziato. In parole povere, 😊 nel dialetto siciliano il frutto dell’arancio è
aranciu, che nell'italiano parlato diventa
arancio: nella lingua italiana ufficiale invece, vi è la distinzione di genere: femminile per i nomi dei frutti e maschile per quelli degli alberi. Tale distinzione è invalsa solo nella seconda metà del Novecento, e ha influenzato anche la denominazione della pietanza siciliana.
I due generi sono accettati, come attestano anche i dizionari della lingua italiana: lo Zingarelli nel 1917 definisce
arancina un pasticcio di riso e carne tritata, e anche il Panzini del 1927 riporta il termine arancina.
E’ solo nel l’edizione del 1942 che il Panzini usa arancino al maschile, e non bisogna dimenticare che le due varianti arancio e arancia coesistono, con una prevalenza del femminile nell’uso scritto e una maggior diffusione del maschile nelle varietà regionali parlate di gran parte della penisola. Il femminile tuttavia è percepito come più corretto, almeno nell’impiego formale, perché l’opposizione di genere come abbiamo visto è tipica nella nostra lingua, per differenziare l’albero dal frutto.
Questa ipotesi sarebbe confermata dall’unica attestazione delle arancine che si trova nella letteratura di fine Ottocento, I Vicerè del Catanese Federico De Roberto: "
arancine di riso grosse ciascuna come un mellone". Anche Corrado Avolio, nel suo Dizionario dialettale siciliano di area siracusana (un manoscritto inedito della Biblioteca Comunale di Noto, compilato tra il 1895 e il 1900 circa), parla di arancina; è solo dopo il 1942 che nei dizionari è prevalso il termine al maschile.
Probabilmente il prestigio del codice linguistico standard, verso cui sono sempre state più ricettive le aree urbane, ha portato a Palermo la prevalenza della forma femminile su quella maschile per il frutto, e di conseguenza anche per lo scrigno di riso.
Fonti:
Mangiarebuono.it
TaccuiniStorici.it
Accademia della Crusca on line
E adesso, se ancora non vi siete addormentati, passiamo alla ricetta, una mia creazione.