lunedì 3 agosto 2020

Gazpacho alle ciliegie


Uno dei miei piatti estivi preferiti è senza dubbio il gazpacho: è una pietanza fresca, gustosa e ricca di vitamine, fibre e sali minerali, l'ideale per reintegrare le preziose sostanze che perdiamo in abbonanza quando le temperature salgono e sfiorano i 40 °C, come in questo periodo.

La ricetta che preparo più di frequente è quella di Omar Allibhoy linkata sopra, ma occasionalmente mi concedo anche delle varianti più sfiziose, alla frutta, che per pigrizia non ho mai fotografato. 😅

Una di queste è il gazpacho alle ciliegie: rinfrescante come il suo fratello maggiore, ha in più il sapore di questi deliziosi frutti, la cui stagione è fin troppo breve, ma che ho trovato sabato mattina al mercato: come non cedere alla tentazione, dietro la promessa che stavolta avrei messo il piatto in posa?

mercoledì 29 luglio 2020

Maionese alla birra


Non ho mai amato particolarmente la maionese fatta in casa: trovo che abbia un fastidioso retrogusto di uovo, che me la rende invisa. 
Non che io consumi così tanta maionese, intendiamoci, ma le volte che mi capitava preferivo mille volte comprarla che non farla, a dispetto del fatto che con un buon frullatore - anche a immersione - la maionese si fa in un attimo.

Durante il lockdown però avevo tantissimo tempo a disposizione, complice il fatto che sono stata messa in cassa integrazione, e per ingannare il tempo ho preparato di tutto, compresa la maionese. Una maionese diversa, però: innanzi tutto perché ho sostituito il succo di limone con una birra chiara, dal sapore delicatamente agrumato, e poi perché provato a farla anche partendo dalle uova sode anziché dai tuorli crudi. Del limone però ho usato la scorza grattugiata, che dà freschezza e un aroma delizioso.

Vi dico subito che i tuorli crudi danno una maionese più densa rispetto alle uova sode (usate intere), probabilmente per qualche cambiamento chimico-fisico dato dalla cottura; il risultato però è davvero buono, una maionese buona e particolare, con un leggero retrogusto amaro dato dalla birra, ma che si abbina praticamente a tutto.

In rete circola una sola ricetta di maionese alla birra, che prevede di far bollire una lattina di birra fino a ridurla a 200 ml, prima di farla raffreddare e unirla alla maionese. A me questo procedimento non piace: innanzi tutto perché con l'ebollizione vanno perduti tutti gli aromi secondari del luppolo, siano essi agrumati, balsamici, fruttati o altro, e in secondo luogo perché si concentrano le sostanze amaricanti del luppolo, dandoci un concentrato molto amaro che a mio avviso risulta fastidioso nella maionese. Tra l'altro in una maionese di 2 uova non ci andrebbero certo 200 ml di succo di limone o aceto, quindi perché diluirla con 200 ml di birra? 

Ho pertanto sviluppato la mia versione, usando la birra così come esce dalla bottiglia, e usandone molto meno. Il risultato è una maionese delicata, dove il retrogusto di birra è appena percettibile, e che accompagna alla perfezione sia il classico hamburger e patatine, sia altre preparazioni che la prevedono, prima fra tutte l'insalata russa.

Quale birra?
Nella foto ho usato una Birra Messina Cristalli di Sale, dal delicato retrogusto agrumato; ho provato a farla anche con la Ichnusa Non Filtrata, e mi è piaciuta ancora di più. Usate una birra lager chiara, dall'amaro non troppo pronunciato (niente Beck's, per intenderci) e partite da lì per le vostre sperimentazioni: se volete provare con qualcosa di più amaro potete inserire una Lagunitas IPA (ma l'amaro deve piacervi proprio tanto!), se volete un "kick" alcolico usate una Strong Ale come la Boucanier, la Bulldog o la Hopus; se preferite una maionese più aromatica e delicata scegliete una Weissbier (Erdinger Hefeweizen, Paulaner Hefeweizen, Birra Moretti La Bianca) o una Bière Blanche (Blanche de Bruxelles o Blanche de Silly), dall'aroma agrumato e speziato e dall'amaro molto contenuto. L'importante è che la birra sia buona e fresca (controllate sempre la data di scadenza).

domenica 26 luglio 2020

Red Rice Gullah ai gamberoni


Scroll down for English version

MTC Taste the World è l'evoluzione dell'MTChallenge, e parte dall'assunto che il cibo è l'espressione culturale di un popolo; come scrive Alessandra nel post linkato sopra, "intorno a noi c’è un mondo fatto di tante voci e tanti sguardi, ognuno portatore di una propria eredità, di un proprio patrimonio e per questo meritevole di essere ascoltato, conosciuto, compreso."


L'esordio di questo nuovo, entusiasmante corso della sfida riguarda il Red Rice dei Gullah Geechee, di cui ho parlato qui e su cui anche Alessandra si è soffermata a lungo (qui trovate tanti articoli e video di approfondimento) e la sfida si articola in due parti: una in cui riproponiamo la ricetta tale e quale, per "entrare" nel piatto e nella cultura che esprime, e una prova creativa in cui reinterpretiamo il piatto, senza però tradire le sue origini e il suo significato.

Per la prova creativa i miei colleghi hanno elaborato dei piatti meravigliosi, con interpretazioni splendide e originali. Io invece mi sono trovata fin da subito a corto di idee: affascinata dalle origini del piatto e dalla cultura che ci sta dietro, sono stata presa dal sacro timore di profanarlo con i miei estri pindarici; d'altro canto, c'è un'altra ricetta Gullah che mi ha letteralmente stregato, i Louisiana Barbecue Shrimps secondo la ricetta di Toni Tipton-Martin, e ogni volta che pensavo al Red Rice, non potevo fare a meno di pensare a quei magnifici gamberoni. 

Mi sono fustigata a lungo rimproverandomi per la mia mancanza di idee, finché non mi sono resa conto che in realtà io un'idea ce l'avevo, ed era proprio quella di unire queste due ricette, fondendole in un unico piatto. Naturalmente ho aggiustato le dosi di burro nella ricetta dei gamberi, per evitare di trovarmi con un brodo troppo unto. Ho inoltre aggiunto una bisque, preparata con le teste dei gamberi, per avere una quantità sufficiente di brodo.

Una facile via d'uscita? Sicuramente. Però ragazzi, questo riso è così buono che per capirlo bisogna provarlo.

English
MTC Taste the World is the natural evolution of MTChallenge, and has as a starting point the assumption that food is part of the cultural expression of a population; as Alessandra says in the above-linked post, "there is a World all around us, made of many voices and many outlooks, each one the bearer of its own heritage, which makes it worthy of being listened to, known and understood ."


The very first challenge of this enthusing new project is Gullah Geeche Red Rice, (more about it here and here) and our task is divided into two parts: during the first part we prepare the dish according to the original recipe, so as to "understand" the dish and the culture it expresses, and a second part where we reinterpret the dish, without losing sight of its origins and its meaning. 

In the creative part, my co-workers in challenge have come up with wonderful dishes, giving fantastic and original interpretations of Gullah Red Rice. Contrary to them, I found myself without the merest trace of an idea from the beginning: overawed by the dish origins and the culture that lies behind it, I've been gripped by the fear of profaning it with my own interpretation.
On the other hand, there's another Gullah recipe that bewitched and besotted me beyond belief: Toni Tipton-Martin's recipe of Louisiana Barbecue Shrimps
Every time that I thought of Red Rice, I couldn't help seeing those wonderful barbecue shrimps on top of it, creating a unique entity.  

I have long been lashing at myself for my lack of ideas, until I realized that this was indeed an idea: merging the two recipes in a single dish wasn't so bad, after all. Of course I adjusted the quantity of butter in the shrimp recipe, so as not to have a greasy stock; similarly, I adjusted the salt in the final rice recipe. I also added a bisque, by way of obtaining more stock.

An easy way out? Sure. 
But boy, this rice is so good, that I beg you to taste it, before looking askance at me. 

venerdì 17 luglio 2020

Pesto genovese classico e variante eretica


L'erba aromatica che preferisco in assoluto è senz'altro il basilico, con il suo profumo penetrante che sa di primavera. Lo adoro in tutte le salse, 😏è il caso di dirlo: ne ho estratto la clorofilla e l'essenza per un olio aromatico, l'ho usato nei dolci (anche qui e qui), nelle zuppe, nei risottinella marmellata, nella gelatina, nel favoloso pesto al cioccolato e basilico di Paul A. Young e in un milione di altre preparazioni. E naturalmente, in primavera-estate preparo molto spesso lui, il pesto genovese, un condimento superbo che fa di un semplice piatto di pasta, un piatto da re. 

Mi sono accorta solo adesso di non averne mai pubblicato la ricetta: rimedio subito, perché è davvero un peccato non averla sul blog. La ricetta è quella di un caro amico genovese DOC, Federico Olimpo del blog Il Preboggion: la seguo da anni con grande soddisfazione. Fedo ha inserito le dosi per 1 kg di pesto mentre io le ho ridotte a 100 g, perché faccio fatica a procurarmi 350 g di foglie di basilico. 

Gli accorgimenti per fare il pesto sono pochi, ma fondamentali. Fedo sottolinea che il basilico è importantissimo: dovrebbe essere quello di Pra, raccolto quando le foglie sono piccole, tenere e non più di sei. La pianta poi va estirpata, radici comprese, altrimenti le foglie che ricresceranno saranno dure e dal sapore di menta. Io naturalmente li disattendo tutti, molto puntualmente: uso tutte le foglie di basilico che mi capitano sotto mano, solitamente quelle più grandi, e pazienza se sanno di menta. Mi guardo bene dall'estirpare le piante, che coltivo in vaso con grande cura, e quando in autunno mi muoiono mi sento in lutto: significa che la bella stagione è terminata e che mi attendono i lunghi mesi invernali, bui e freddi. Il pesto teme anche il calore: non solo non va mai cotto, ma anche nel prepararlo occorre fare molta attenzione a non surriscaldarlo. Per questo è preferibile prepararlo nel mortaio (ci vuole un quarto d'ora circa), ma se si ha fretta o non si dispone di un buon mortaio, va bene anche il frullatore a immersione. Meglio in questo caso tenere la parte con le lame in frigorifero fino al momento di fare il pesto, e frullare il più brevemente possibile, per evitare che si surriscaldi e si ossidi. Last but not least, mai allungare il pesto genovese con formaggi molli come la ricotta: è una salsa dal gusto delicato, specialmente se non si esagera con l'aglio, perché diluirne il sapore?   

Il pesto genovese è una religione insomma, ma come tutte le religioni ha i suoi eretici e io, ahimè, sono tra questi: talebana con le preparazioni siciliane, mi prendo delle licenze con quelle degli altri e il pesto genovese non fa eccezione. A dire il vero la mia variante eretica (che preparo solo ogni tanto) rimane entro i confini dei profumi tradizionali liguri: agli ingredienti classici aggiungo le foglie di un rametto di maggiorana, che regala al pesto una nota aromatica particolare a mio avviso deliziosa. Tutto qui, ma se avete voglia di provarla sappiatemi dire. A casa mia piace veramente tanto. 😇

lunedì 13 luglio 2020

Il Red Rice dei Gullah Geecee per MTC Taste the World


L'MTChallenge da questo mese di luglio 2020 tocca nuove vette, diventando MTC Taste the World. Sembra un semplice cambio di nome, dal momento che nel corso degli ultimi 10 anni ci siamo sfidati su ogni genere di piatti, inclusi quelli stranieri, ma non è così: MTC Taste the World è un progetto culturale volto a valorizzare un settore molto particolare: la cucina delle minoranze, come spiegato magistralmente da Alessandra nel post che ho linkato sopra e che vi invito caldamente a leggere. La nuova sfida consta di due fasi: la prima, in cui siamo tenuti a preparare il piatto seguendo la ricetta originale e cercando di comprendere il retroterra culturale che lo ha generato, e la seconda, in cui lo reinterpretiamo in modo creativo, ma rispettando la sua matrice originale, senza quindi snaturarlo.

Alessandra, nell'illustrarci la sua idea, ha scritto sul nostro gruppo Facebook: "[...] l'illuminazione...  mi è venuta leggendo una rassegna stampa sul Black Lives Matter. Perché invece di buttar giù statue e cancellare la storia - brutta o bella che sia - non ci mettiamo a studiarla, una buona volta, mi son detta. Perché, invece di continuare a insistere in modo esclusivo sui nostri primati (Italians do it, better, la Carbonara di mia mamma, il pesto solo genovese e via dicendo) non proviamo a dare un'occhiata a quello che abbiamo intorno, per aprirci ad un dialogo di sostanza, che abbia un senso, una consapevolezza? [...] l'idea è proprio quella di presentare una minoranza ogni mese e chiedere a chiunque voglia partecipare di rifare la ricetta che abbiamo scelto, di solito quella più simbolica e più identitaria, e rifarla UGUALE all'originale. In segno di rispetto, di voglia di conoscere non con la superiorità che da Italiani ci arroghiamo, in fatto di cibo, ma con l'umiltà di chi vuole imparare, nel segno del dialogo, in modo paritario.
Questo mese iniziamo con i Gullah-Geecee, la comunità afro-americana degli Stati Uniti del Sud che ha introdotto il riso nei futuri Stati Uniti. Lo ha fatto al tempo della schiavitù e proprio per questo, a dispetto della sua straordinaria importanza, non hai mai trovato nei libri di storia lo spazio che avrebbe meritato.
Ci proviamo noi a farli conoscere, in questo numero zero, raccontandone la storia e le storie e condividendo la ricetta del loro riso rosso [...]."


Per raccontarvi la ricetta di oggi quindi, è necessario partire dal Popolo che l'ha creata, i Gullah-Geechee. Innanzi tutto vi invito a leggere l'articolo scritto da Alessandra in proposito, esauriente quanto basta a invogliare a saperne di più. In breve, i Gullah Geechee sono i diretti discendenti degli schiavi della costa orientale degli Stati del Sud, il cosiddetto Lowcountry, che comprende Georgia, Florida e South Carolina. La regione era molto paludosa e quindi adattissima alla coltivazione del riso, che proprio questi schiavi introducono negli USA: documentazioni storiche attestano che gli schiavi venivano venduti insieme a un sacco di riso, che avevano in dotazione e che erano abilissimi a coltivare nella madrepatria, l'Africa occidentale e centrale. 
L'insalubrità della regione ha fatto sì che i proprietari terrieri vivessero più in città che nella piantagione, favorendo quindi il mantenimento della cultura degli schiavi che coltivavano i loro terreni. E' a questo che si deve la creazione della lingua creola, con cui gli schiavi parlavano tra di loro, e il mantenimento della maggior parte delle loro tradizioni, su cui si sono innestate la lingua e le tradizioni degli Stati Uniti del Sud. I Gullah Geechee hanno da sempre mantenuto uno strettisimo legame con la madre patria, le cui tracce sono a tutt'oggi molto evidenti, tanto che sono considerati la più africana fra le comunità afroamericane degli Stati Uniti.

L'orgoglio con cui questa comunità ha trasmesso la sua cultura da una generazione all'altra, ne ha fatto quindi un gruppo etnico a parte, con lo sguardo avanti e pronto a progredire e a migliorare la propria condizione: non a caso, la prima scuola per schiavi liberati, la Penn School, fu fondata nel 1862, nel cuore della regione abitata dai Gullah, di cui loro furono i primi scolari. Se si pensa che la schiavitù fu abolita tra il 1863 e il 1865, ci si rende conto di quanto avanti fosse questa comunità sulla strada dell'emancipazione.

Oggigiorno in tutto il territorio del Lowcountry si tengono ogni anno i Gullah Festival, che celebrano la cultura Gullah in tutte le sue declinazioni, dalla musica alle danze, dalla manifattura dei loro canestri artistici ad altre forme di arte. A fare da fil rouge, i piatti tipici di questa cultura, tra cui spicca l'iconico e omnipresente Red Rice, quello che abbiamo scelto di cucinare per questa edizione 0 di MTC Taste The World. E' un piatto semplice ma buonissimo, che unisce il riso - di tradizione Gullah - e il pomodoro, tipicamente americano, in una pietanza che è fusione, accettazione  e riscatto di un Popolo fiero che sa di dialogare alla pari con gli altri Popoli con cui viene in contatto.