Visualizzazione post con etichetta pane. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta pane. Mostra tutti i post

lunedì 23 gennaio 2023

Panini ai cipollotti e Comté

 


Ho preparato questi deliziosi panini l'anno scorso per lo Starbooks, e nella loro semplicità li ho trovati spaziali. Li ho rifatti qualche volta e li ho anche surgelati (in abbattitore) e scongelati: sono rimasti perfetti.

L'impasto è quello dei panini al latte, a cui però si aggiunge una farcia di formaggi e cipollotti che li rende particolarmente goduriosi perché sono un trionfo di umami, il quinto gusto. Ne sono ricchi il lievito di birra (presente in forma ultra concentrata nel Marmite), i formaggi stagionati e i cipollotti. Il risultato sono dei panini veramente appetitosi, morbidi e invitanti, e in più semplicissimi da fare.

L'impasto è molto morbido e si manipola facilmente, cosa che ho sperimentato una volta di più sabato scorso, l'ultima volta che li ho fatti: per la rubrica l'angolo dell'imbranata, mi stavo apprestando a tagliare il rotolo, quando mi è caduto l'occhio sulla ciotola dei cipollotti, che avevo dimenticato di inserire. Ho srotolato delicatamente l'impasto e cosparso i cipollotti, quindi l'ho arrotolato di nuovo. I panini sono venuti benissimo.

Spendo due parole su due ingredienti fondamentali, il Comté e il Marmite. 

Il Comté appartiene alla grande famiglia dei formaggi a pasta cotta, la stessa a cui appartengono gli svizzeri Gruyère, Etivaz ed Emmenthaler o i francesi Beaufort e Abondance. Se non lo trovate, potete sostituirlo con uno di questi formaggi. Io ho provato a fare questi panini anche con un Parmigiano Reggiano stagionato 30 mesi, e sono riusciti alla perfezione.

Il Marmite è una crema spalmabile a base di estratto di lievito, dal sapore piuttosto deciso e molto salato, simile a un mix fra salsa di soia e brodo.  Scoperta per caso dallo scienziato tedesco Justus Liebig, fu prodotta per prima dalla britannica Marmite Food Company, che acquistava il lievito direttamente dai tanti birrifici sparsi per la città di Burton on Trent. Inizialmente la crema veniva conservata in vasi di terracotta dalla forma simile a quella di una pentola, chiamata marmite in francese, da cui il nome. Se non lo trovate lo potete sostituire con l'estratto di carne (in Veneto è molto diffuso il Bovril), ma secondo me vale la pena cercarlo, nei negozietti di specialità etniche oppure on line. 

domenica 16 ottobre 2022

Flatbread alla paprika affumicata e halloumi


Il mio blog è nato il 18 ottobre di 12 anni fa, e in tutto questo tempo ho avuto un'idea fissa, simile ai buoni propositi di inizio anno: pubblicare una ricetta di pane per il World Bread Day, la giornata mondiale del pane, che cade il 16 ottobre. 

In realtà la vera ricorrenza di oggi è la giornata mondiale dell'alimentazione, che ricorda la fondazione della FAO, il 16 ottobre 1945. Istituita nel 1979, la giornata mondiale dell'alimentazione ha adottato dal 1981 un tema diverso ogni anno, al fine di evidenziare le aree necessarie per l'azione e fornire un approccio comune. La maggior parte dei temi ruotano attorno all'agricoltura, perché gli investimenti nell'Agricoltura registrano ogni anno dei notevoli cali: il ruolo del settore pubblico è essenziale, e aiuterebbe a veicolare in tale settore anche gli investimenti privati.


A partire dal 2006, a latere della giornata mondiale dell'alimentazione è stata istituita, sempre il 16 ottobre, la giornata mondiale del pane: alimento di alta valenza simbolica, il pane fa parte del nostro quotidiano al punto da essere entrato nel lessico comune e religioso. Dall'espressione "guadagnarsi il pane" come sinonimo di guadagnarsi da vivere a "dacci oggi il nostro pane quotidiano", preghiera a Dio di non farci mancare il sostentamento essenziale, il pane ha un ruolo centrale, benché spesso dato per scontato, nella vita di tutti i popoli del Mondo.

E' dal 2010, dicevo, che mi ripropongo di pubblicare una ricetta di pane in questa giornata; solo a distanza di 12 anni sono riuscita a mantenere questo proposito (quindi c'è qualche speranza per tutti gli altri propositi, che da quando sono nata compongono una to-do list chilometrica) e lo faccio con un flatbread, un pane piatto, che è stato realizzato su Starbooks venerdì scorso dalla bravissima Stefania - Araba Felice (lei si definisce cialtrona, ma voi non credetele!).

Come scrive Stefania nell'introduzione al suo post, di flatbread è pieno il mondo: hanno nomi esotici come chapati, naan, roti, paratha, pita, tortilla, ma ci sono anche flatbread italiani come le nostre piadine o il pane carasau, per non parlare delle focacce non lievitate mangiate dagli antichi Romani. Tutti sono accomunati dalla semplicità della preparazione e soprattutto dalla velocità di cottura, spesso effettuata in padella o su un testo. Questo pane non fa eccezione: è semplice e veloce da preparare (salvo il tempo di lievitazione), facilissimo da maneggiare e molto gustoso. L'altro ieri quando ne ho letto la ricetta ho deciso di prepararlo quanto prima, e ho approfittato della ricorrenza odierna per mettermi all'opera. L'Autrice accompagna questi panini farciti con una fresca insalata di pomodori: non potrei essere più d'accordo!

sabato 13 novembre 2021

La Challah (חלה) di Michael (in alto, a sinistra...)

 

Ogni anno, tra la fine di ottobre e il 13 novembre, ripenso al periodo analogo del 2017; all'alternarsi di speranze, timori, gioie, sollievi, trepidazione e infine all'immenso dolore per la scomparsa del nostro Doc, Michaël MeyersEx chirurgo oncologo, ex vegetariano, ex osservante. Un bandito errante, eretico anarchico, così si definiva lui sulla testata del suo blog; e se era tutto questo, era molto, ma molto di più. Ogni anno in questo periodo vado a rileggermi il post struggente scritto da Alessandra sul blog della nostra Community, e mi vengono le lacrime agli occhi; ricordo la sua simpatia, la sua enorme premura, la chat che ha aperto con me per supplicarmi di non mangiare soia mentre ero a dieta perché è il legume più geneticamente modificato in natura ed è nocivo, oppure quella in cui mi chiedeva lumi sulla traduzione in italiano di un termine culinario francese, o ancora le preoccupazioni per la salute della sua Eleonora, la figlia che non ha mai avuto e che le è stata affidata dal suo amico d'infanzia Robert. 

Ogni anno mi entra sempre più prepotentemente nel cuore, con quella presa salda che è propria degli affetti più cari, e mi dispiaccio per non averlo conosciuto di più e meglio. E ogni anno mi torna in mente una delle sue ultime conversazioni con Lolo, il suo nipotino putativo, così come lui l'ha riferita alla sua mamma: 
No, mamma, ti sbagli. Gli animali muoiono, ma le persone no. Le persone rimangono, basta guardare il cielo in alto a sinistra per trovarle.
Lolo, ma dove l'hai sentita questa?
Me l'ha detto lui, quindi è vero. In alto, a sinistra...

Gli altri anni mi sono limitata a pensare a lui e a pregare per lui e per la sua famiglia: la moglie Micol, la figlia Eleonora, i nipoti Lorenzo e Sébastien, e poi tutti i suoi amici più cari, quelli che ha conosciuto tramite la Community dell'MTChallenge e tutti gli altri, conosciuti nella sua vita reale e professionale. Quest'anno sono riuscita a fare un passo in più e ho deciso di preparare una Challah (חלה) seguendo la sua ricetta. Negli anni ho provato diverse ricette di Challah, e quella che mi è piaciuta più di tutte è senza dubbio quella di Hamelman; ma una ricetta dedicata a Michaël non può che essere fatta seguendo la sua ricetta e soprattutto rileggendo il meraviglioso post che lui ha scritto insieme a Eleonora sulla sua storia, tradizioni, usi e costumi. Perché Michaël si definiva un Ebreo ex osservante, ma in realtà era religiosissimo e aveva molto a cuore (giustamente) la storia del suo Popolo, cui inevitabilmente si è intrecciata la sua storia personale, e tutte le tradizioni che ne derivano.

Ho seguito la sua ricetta alla lettera, impastando a mano la mia Challah, e quando lo sguardo mi si è posato sulla planetaria ho sorriso ripensando alle parole che ha detto a Ele, nella situazione analoga: qu'est-ce-que tu me fabriques? E ho voluto anche omaggiare la sua stella, che continua a splendere luminosa nel cielo del mio cuore, in alto a sinistra; così ho dato alla mia Challah la forma della Stella di David (מגן דוד), Magen David; è venuta sgraziata, lo so, ma so anche che sicuramente con gli anni migliorerà. Perché da ora in poi questa sarà la mia tradizione, il 13 novembre, in memoria di Michaël: preparare una Challah a forma di Magen David.

Mi manchi Doc, non so dirti quanto. 💖

lunedì 7 giugno 2021

Pita semi integrale (Khubez)

 

Negli anni ho preparato tante volte il pane arabo, o pita; buono, per carità, ma in ogni ricetta c'era qualcosa che non mi convinceva fino in fondo, tanto è vero che non ne ho mai pubblicata nessuna: mi limitavo a mangiare i miei pani (con molto gusto, devo dire) e ad attendere la ricetta perfetta, quella che mi avrebbe fatto saltare sulla sedia esclamando EUREKA!

Quest'anno finalmente l'ho trovata, guarda caso su Falastin. Sami Tamimi propone la ricetta normale, ma suggerisce anche le proporzioni per una versione semi integrale, ed è questa che ho voluto provare, certa che se mi fosse piaciuta, l'avrei adottata in entrambe le varianti. 

Sì, perché la vera pita è molto soffice, ma ha una "tasca" al suo interno, perfetta per accogliere le golose farciture di shawarma (o kebab) così tipiche del Medio Oriente. Ed è proprio con la shawarma di pollo e la salsa tahini di questa pie che ho gustato la mia prima pita perfetta, aggiungendovi qualche foglia di lattuga, anelli di cipolla e falde di peperone rosso: un'autentica goduria.

La pita dà il meglio di se' il giorno stesso in cui è stata sfornata; Sami tuttavia ci dice che tutte le pita che hanno più di un giorno possono essere strappate a pezzetti e usate per il fattoush, l'insalata libanese, oppure fritte in metà olio d'oliva e metà burro per essere usate nelle zuppe come crostini; in alternativa possono essere congelate, e messe brevemente a rinvenire in forno per goderne appieno la freschezza qualche giorno dopo (esattamente quello che ho fatto io). 

Altri suggerimenti dell'autore sono quelli di preparare, con lo stesso impasto, i manakeesh za'atar: basta mischiare in una ciotola 120 ml di olio extravergine di oliva e 100 g di za'atar, spennellare ogni pita con un cucchiaio di questa profumata mistura e magari aggiungerci qualche pezzetto di pomodoro fresco. Cuocere per 10 minuti come da ricetta, e avremo fra le mani delle simil pizzette mediorientali che faranno la gioia dei nostri commensali.

lunedì 29 marzo 2021

Bruschette di pane naan al pollo Tikka Masala

Il fine settimana appena trascorso è stato all'insegna del bel tempo e le temperature stanno cominciando ad alzarsi, aumentando la mia voglia di piatti diversi, ma anche veloci da fare e da consumare. Sarà per il lungo inverno freddo punteggiato da lunghi periodi di lockdown, sarà perché il sole e le temperature miti mi invogliano a trascorrere più tempo all'aperto, fatto sta che ho rispolverato questa ricetta realizzata tre anni fa per la rubrica quotidiana Keep Calm and What's for Dinner?, rapida e gustosa, che mi ha consentito di dedicare poco tempo in cucina (in mezz'ora era tutto pronto) per potermi poi dedicare al giardinaggio (o forse dovrei dire balconaggio? 😂) e a delle belle passeggiate nella villa comunale non lontana da casa. 

Adoro la cucina indiana e le spezie e i mix per preparare la pasta di curry tikka masala sono parte integrante della mia dispensa. Come sempre i sapori sono perfettamente bilanciati, con lo yogurt e il pane che "spengono" la piccantezza del peperoncino e la breve marinatura della cipolla nell'aceto, che ne attenua il sapore pungente.

Il chutney di mango, di cui vado pazza, accompagna egregiamente queste bruschette asiatiche: provare per credere!

Io ho preparato al volo del pane naan (mi sono appena resa conto che non ne ho mai pubblicato la ricetta qui, rimedierò quanto prima!), ma se non avete tempo o voglia, vanno benissimo anche dei panini arabi tagliati a metà. In questo caso, non c'è bisogno di spruzzarli con l'acqua prima di farli tostare in forno.

lunedì 1 marzo 2021

Taralli napoletani 'nzogna e pepe


Regola n. 1 quando si prepara una ricetta per la prima volta: andare sempre alla fonte. E' una cosa che faccio praticamente sempre, ma talvolta si verificano le eccezioni. 
Come la prima volta che ho fatto i taralli, un paio di settimane fa.

Avevo invitato a casa un'amica con la figlia e la Pulcetta, per tenere una mini lezione di panificazione. Tra le ricette che avevo scelto di far realizzare alle mie allieve c'erano anche loro: i taralli napoletani 'nzogna e pepe. Finora li avevo solo assaggiati, ma un giro in rete mi ha fatto trovare una blogger che aveva riproposto i taralli del grande Raffaele Pignataro, con tanto di foto passo passo: perfetto! Ho fatto un bel copia-incolla, ho risistemato il testo per la mini dispensa che stavo preparando per le mie allieve e al momento della realizzazione non mi sono posta alcun dubbio: le ricette di Raffaele sono perfette. Mi ha stupita un po' la quantità massiccia di pepe - ben 4 cucchiai su mezzo kg di farina -  ma in fondo non è un caso se il pepe è parte del nome della ricetta, e poi a me comunque piace molto, tanto che ne mastico i grani da soli perché ne amo l'aroma.

Altra stranezza: gli impasti di entrambe le ragazze hanno richiesto un'aggiunta di acqua. Strano ma non troppo, visto che sappiamo tutti che la farina può assorbire più o meno acqua secondo le condizioni meteorologiche. Impasto e formatura sono comunque andate benissimo, idem la lievitazione. Una volta in forno, i taralli hanno cominciato a sprigionare un intenso aroma di pepe: musica per il mio olfatto! 

Poi li abbiamo estratti dal forno e fatti intiepidire, e mentre chiacchieravo con la mia amica le ragazze ne hanno preso uno, se lo sono diviso e lo hanno assaggiato. Un picosecondo dopo entrambe si sono letteralmente buttate sul bicchiere e hanno cominciato a bere grandi sorsate di acqua. Io mi sono voltata  e credo che la mia espressione abbia ricordato un po' quella di Morgan l'anno scorso a San Remo, dopo l'uscita di Bugo. 


Anche la mia amica ha assaggiato un tarallo e la reazione è stata identica: buttarsi verso l'acqua come se la sua vita dipendesse da quello. A quel punto ho assaggiato un tarallo anch'io: pepatino, sì, ma piccante in modo piacevole mi sono detta, mentre davo un altro morso. Ovviamente mi sono sentita mortificata per le mie ospiti, ma che cosa potevo fare, se non ripromettermi di dimezzare le dosi di pepe? 

A fine giornata ho equamente diviso i pani preparati tra le due ragazze e, dopo che l'amica e la figlia sono andate via ho riaccompagnato la Pulcetta a casa. Mentre chiacchieravo con mia sorella è arrivato mio cognato, che ha tuffato la mano nel sacchetto e ha addentato un tarallo. "Accidenti se picchia!" ha esclamato, al che mia sorella ha voluto assaggiare e si è catapultata in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. Rientrata a casa sono andata sul blog di Raffaele a cercare la ricetta, e lì i dubbi si sono dissolti: il pepe era solo 7 grammi, pari a 3 o 4 cucchiaini; lo strutto era di più e la farina grossolana di mandorle era di meno. Insomma, la mia fonte secondaria si è rivelata totalmente inaffidabile, avendo triplicato le quantità di pepe, aumentato gli ingredienti secchi e diminuito in proporzione lo strutto, che aiuta a contenere i liquidi. Mentre davo dell'impunita a costei, mi sono ripromessa di rifare i taralli al più presto (a me comunque erano piaciuti da morire), ma questa volta sono andata direttamente alla fonte. Manco a dirlo, ho imparato la lezione... e classificato inaffidabile la blogger imprecisa. 😆 


venerdì 29 gennaio 2021

Oatcakes (Crackers di avena)

 

In primo piano, oatcakes alla paprika; seguono quelli allo za'atar e in fondo quelli semplici

Ho scoperto gli Oatcakes o cracker di avena di recente, e per puro caso: li menzionava un libro che stavo leggendo, e incuriosita mi sono messa a cercare per il Web. Dopo aver messo a confronto diverse ricette, mi sono lasciata convincere da questo blog, di una signora Scozzese emigrata in Australia, estremamente esauriente e ricco di informazioni. Dal suo post ho scoperto finalmente la differenza tra steel-cut oats e rolled oats, ingredienti che ho visto spesso in qualcuno dei miei libri di cucina e che nelle versioni italiane venivano sempre tradotti con fiocchi d'avena (in realtà gli steel-cut oats sono i chicchi d'avena integrali macinati grossolanamente, mentre solo i rolled oats, chicchi chicchi d'avena cotti al vapore, quindi schiacciati per ridurli in fiocchi e fatti essiccare, possono fregiarsi del nome "fiocchi d'avena").

Ho scoperto anche una ricetta facile e veloce per preparare dei cracker croccanti e buonissimi.

L'Autrice, Amy, comincia col dirci che nella ricetta originale scozzese si usa la Scottish Oatmeal, una farina d'avena molto grossolana macinata a pietra, che regala agli oatcakes una consistenza tutta particolare. Vivendo in Australia non riesce a reperire tale farina, quindi si è ingegnata a sperimentare e ha ottenuto i risultati migliori con una miscela 50-50 di steel-cut oats e rolled oats, macinati nel frullatore di casa. In particolare, gli steel-cut oats sono stati macinati più grossolanamente, mentre dai fiocchi d'avena ha ottenuto una farina sottile. 
Scottish Oatmeal, immagine da qui

La prima volta che li ho fatti avevo in dispensa un pacchetto di chicchi d'avena di Nuovaterra e sono riuscita a ottenere uno sfarinato simile a quello fotografato da Amy. In seguito non li ho più trovati nel negozio in cui vado di solito (e data la pandemia in corso, non mi sembrava il caso di girare per i supermercati) e ho usato i soli fiocchi d'avena. La consistenza dei cracker è effettivamente cambiata, il loro sapore rustico però mi ha conquistata e da allora (stiamo parlando di settembre) li preparo spesso, raddoppiando le dosi. 

lunedì 8 giugno 2020

Spaccatini


La pandemia di Covid-19 e il conseguente lockdown della popolazione, hanno avuto effetti diversi nei diversi Paesi. Se da noi la reazione è stata quella di indurre moltissimi a panificare come se non ci fosse un domani, rendendo introvabili farina e soprattutto lievito di birra, nel Regno Unito a essere introvabile è stata, curiosamente, la carta igienica. Meglio avere le mani in pasta che in c*lo ho pensato quando ho sentito la notizia, e mi sono ritenuta fortunata perché poco prima che i fatti di Codogno venissero pubblicizzati avevo acquistato del lievito di birra, e usandone 5 g alla volta avevo la possibilità di panificare quanto volevo... se solo avessi trovato la farina adatta.

Il libro a cui ho attinto di più è stato The Book of Buns di Jane Mason, il cui acquisto mi era stato caldamente consigliato da Alessandra alcuni anni fa, ma che da allora era rimasto in libreria. E la ricetta che mi ha più incuriosita è stata proprio quella di questi panini italiani, gli spaccatini. La ricetta mi intrigava non tanto e non solo perché prevedeva la preparazione di una biga e l'uso di pochissimo lievito, quanto perché non li avevo mai sentiti nominare in vita mia.

Consapevole che l'esistenza degli spaccatini prescindesse dalla mia conoscenza dei medesimi, ho cominciato a fare un po' di ricerche in rete per vedere da quale Regione venissero, ma niente: il massimo che ho trovato, è stata una marca di grissini chiamata Spaccatini. Curiosamente invece, nei siti americani gli spaccatini erano conosciuti, e tutti unanimemente dichiarati tipici panini italiani. Ho allora pensato che fosse un formato di pane che gli immigrati Italiani avevano portato nel Nuovo Mondo, e che in qualche modo avevano trovato grande diffusione in America, decadendo invece qui da noi. Mi ero pressoché convinta che questa fosse l'ipotesi più corretta quando sono approdata su questo sito, dove dopo una lunga introduzione sui panini imbottiti italiani e sui pani italiani in generali, l'autore si è focalizzato sugli spaccatini, "a crusty but soft chewy roll from Lugano" (un panino dalla crosta croccante e dalla mollica morbida, di Lugano). 😵 

'Tacci loro. 
🙈🙉🙊

lunedì 1 giugno 2020

Panini da hamburger alla birra rossa


I panini da hamburger hanno sicuramente il loro perché: morbidissimi, semidolci, spesso coperti da quei golosissimi semini di sesamo, sono l'ideale per accogliere un hamburger e le sue verdure e salse di accompagnamento, per un pranzo veloce all'americana che ogni tanto a me personalmente non dispiace. 

Negli anni ho provato diverse ricette di panini da burger, senza tuttavia mai rimanere pienamente soddisfatta, fino a quando non sono inciampata nella ricetta di Justin Gellatly, pubblicata nel suo Baking School che avevamo recensito su Starbooks. Certo, i suoi panini sono decisamente più dolci per i miei gusti personali, ma quando ho addentato il primo mi sono detta: ecco, ci siamo.

Per i panini che vi presento oggi sono partita proprio dalla sua ricetta, ma con qualche piccola variante: innanzi tutto ho diminuito drasticamente il lievito, portandolo dai 22 g iniziali a soli 5 (+ altri 5 se si ha fretta, ma io quando panifico cerco di non averne mai); in secondo luogo ho quasi dimezzato lo zucchero, portandolo a 25 g anziché i 44 previsti dalla ricetta. E, last but not least, ho sostituito tutta l'acqua con della birra rossa: il fatto che la ricetta ne prevedesse esattamente 33 ml, il contenuto di una normale bottiglia di birra, mi ha sicuramente semplificato la vita, ma confesso di averne stappato una seconda per sorseggiarla, mentre aspettavo che il lievito e il forno compissero la loro magia. 😎

Il risultato sono dei panini morbidi, semidolci, cui la birra dona un retrogusto maltato gradevolissimo. Se volete provarli anche voi, ecco la ricetta:

lunedì 4 maggio 2020

Kahvalti - panini turchi alla Feta


Ho realizzato questa ricetta il 19 marzo, durante un periodo di ferie forzate in cui ero stata presa, anzi ripresa dopo tanti anni, dal sacro fuoco della panificazione. Sfornavo pane a giorni alterni, provando nuove ricette che avevo adocchiato negli anni e la cui realizzazione avevo rimandato in attesa dell'occasione, della voglia, delle circostanze, o altro. Ed ecco che le circostanze mi costringevano a casa con due cubetti di lievito di birra fresco che doveva essere utilizzato, e sapete com'è: ne usi metà per un pane, un quarto per un altro, e l'ultimo quarto lo vuoi lasciare a languire in frigorifero fino al momento di buttarlo? Certo che no! Si poneva però a quel punto il problema della programmazione del blog: non volevo pubblicare tante ricette di pane una dietro l'altra, così ho pensato di pubblicare un pane al mese, fino a esaurimento ricette. 😅

I panini che vi presento oggi sono tratti dal bellissimo The Book of Buns di Jane Mason, che avevo acquistato dietro consiglio di Alessandra, sempre sul pezzo quando si tratta di scovare libri strepitosi, e che è stato presentato nella rubrica Shelfie di MTChallenge un paio di anni fa.
Non avevo mai fatto dei panini così morbidi, tanto che ne ho filmato morbidezza ed elasticità, caratteristica quest'ultima che non avevo mai riscontrato in nessuno dei panini che ho fatto.


L'Autrice spiega che la parola kahvalti in turco significa prima colazione, e che questi panini fanno parte di una serie di pani da colazione che ha gustato in Turchia anni fa. Oltre alla loro bontà intrinseca, che goduria quando capita tra i denti un pezzetto di Feta! 

La realizzazione non è particolarmente impegnativa ma è piuttosto lunga, a causa dei tempi di lievitazione e di riposo tra un'operazione e l'altra. Vale però la pena rimanere in ballo tanto tempo con la preparazione, perché il risultato è davvero strepitoso.
Fondamentale è portare il latte fin quasi al punto di ebollizione e poi farlo raffreddare a temperatura ambiente per qualche ora o per tutta la notte: l'ebollizione denatura alcune proteine del latte e favorisce la lievitazione. Va da se' che il latte deve essere fresco e intero, il sapore che dona al pane fa tutta la differenza del mondo, rispetto a un latte parzialmente scremato e/o a lunga conservazione.

L'autrice raccomanda inoltre di non sgonfiare l'impasto, tra una lavorazione e l'altra: si tratta di una tecnica oramai superata e noi vogliamo rimanere al passo coi tempi, giusto? 😊

lunedì 6 aprile 2020

Panini al latte giapponesi


Avevo letto un paio di anni fa del metodo giapponese di panificare preparando un Tang Zhong (o roux all'acqua), che gelatinizza gli amidi e permette di ottenere impasti soffici. L'avevo letto e mi ero detta che prima o poi lo avrei provato, ma senza dargli molta importanza. Poi, poco prima della metà di marzo, la mia azienda è passata dallo smart working alle ferie forzate; una mossa che non ho condiviso per parecchi motivi, non ultimo il fatto che lavorare mi permetteva di passare il tempo, ma tant'è: non ho avuto scelta. Con tanto tempo a disposizione e il pane che cominciava a scarseggiare nel freezer, ho pensato che fosse giunto il momento di provare questa nuova tecnica. Devo dire che ne sono stata estremamente soddisfatta, tanto che voglio sperimentarla anche con impasti diversi da quello del pane al latte che vi propongo oggi.

Ma che cos'è il Tang Zhong? Si tratta di un pre-impasto gelatinoso ad alta idratazione, composto di  farina e acqua in un rapporto di 1:5, oppure di farina e latte in un rapporto di 1:10. Può essere preparato sia direttamente su un pentolino, dove si mescolano acqua e farina con una frusta per evitare la formazione dei grumi, poi si mette il pentolino sul fuoco fino a portare la miscela alla temperatura di 65 °C, infine si toglie dal fuoco, si versa in una ciotola, si copre con pellicola e si fa raffreddare per un minimo di 8 ore e un massimo di 48, prima di aggiungerlo all'impasto.
In alternativa, si  può mettere la farina in una ciotola e scaldare l'acqua a parte, questa volta portandola al bollore, dal momento che una volta versata nella ciotola con la farina subirà un brusco calo di temperatura; la si versa poi sulla farina, mescolando vigorosamente con una frusta per evitare la formazione dei grumi e ottenere un impasto liscio, quindi lo si copre con pellicola e si fa raffreddare come sopra, prima di inserirlo nell'impasto.
Il Tang Zhong consente un migliore sviluppo della maglia glutinica che si traduce in una migliore lievitazione, consentendo così di ottenere dei pani dalla sofficità sorprendente, nonostante l'idratazione dell'impasto non sia particolarmente elevata.  

sabato 28 marzo 2020

Panini ai 5 cereali con siero di yogurt


Poche cose danno la sensazione di casa, nel senso di focolare domestico, centro degli affetti e porto sicuro, quanto il profumo del pane che cuoce nel forno, e si spande lentamente per tutta la casa. E' un profumo umile che parla di condivisione e di quotidianità, di una famiglia unita intorno al desco per condividere i pasti, e con essi le gioie e i dolori, le soddisfazioni e le delusioni della giornata.

Anche quando in casa abita una persona sola, come nel mio caso, il profumo del pane conforta e consola: sono giunta al termine della quinta settimana di isolamento a casa, e confesso che la durezza degli "arresti domiciliari" è stata parecchio alleviata dall'intensa attività di panificazione che ho praticato. Un mese fa ero riuscita a mettere le mani su due cubetti di lievito di birra - all'epoca si trovava facilmente - e attualmente ho il secondo cubetto usato solo per 1/4. Sì, perché panificare va bene, ma usare poco lievito di birra è molto meglio: dà impasti più profumati perché i tempi di lievitazione più lunghi permettono all'impasto di maturare, sviluppandone appieno tutti gli aromi.

La ricetta di oggi è quella del pane ai 5 cereali delle Sorelle Simili, che faccio da una vita, ma con due varianti: buona parte dell'acqua è stata sostituita dal siero di yogurt, ottenuto scolando per 3 giorni 500 g di yogurt intero ottenendo così il Labneh, un formaggio fresco mediorientale. Il siero scolato non va però scartato: può essere usato in vari modi, per marinare la carne di pollo e renderla più tenera, oppure per fare il pane, a cui dona una grande morbidezza. La seconda variante è che non ho aggiunto lievito di birra il secondo giorno: i 5 g del prefermento, uniti ai batteri lattici del latticello, erano più che sufficienti per farmi ottenere un pane perfettamente lievitato. Questa volta invece della solita pagnotta ho preferito fare dei panini, più pratici da porzionare e congelare, e perfetti come base per degli ottimi hamburger.

lunedì 23 marzo 2020

Kubaneh


Era metà dicembre 2018 quando, nel corso di una conversazione via FB con una coppia di amici Ebrei di origine yemenita, mi è stata riportata alla memoria una ricetta che avevo già adocchiato nello Starbooks di febbraio 2017, Breaking Breads di Uri Scheft: il Kubaneh. Questo pane sofficissimo e ricco di burro che a noi ricorda la torta delle rose, viene servito a colazione ogni Shabbat nelle case degli Ebrei Yemeniti, insieme al pomodoro grattugiato e alla salsa zhug

Quando abbiamo recensito Breaking Breads avevo messo questa (ed altre) ricette nella mia to-do list, ma sapete come vanno queste cose: le ricette che vorremmo provare sono tante e la lista si allunga ogni giorno, sicché il povero Kubaneh è andato ben presto in fondo. Un anno e mezzo dopo, la sopracitata conversazione su FB l'ha fatto tornare al primo posto, da cui però è inevitabilmente sceso per tantissimi motivi, non ultima l'importante presenza di burro: era un periodo in cui ero a dieta strettissima e i latticini mi erano proibiti; quand'anche non lo fossero stati, un pane con tutti quei grassi era contrario a qualsiasi dieta dimagrante degna di questo nome.

Adesso però la situazione è cambiata: mi sono rassegnata al fatto che non c'è dieta che tenga (nel senso che o stai a dieta per tutta la vita, o sei inevitabilmente destinata a ingrassare) e in più sono confinata a casa dalla fine di febbraio per l'emergenza sanitaria legata al Covid-19. E' vero che durante il giorno lavoro, ma l'azienda in più ci ha chiesto di prendere qualche giorno di ferie per smaltirne il monte ore, e che cosa si può fare in ferie, se non si può né partire, né uscire? Si rispolvera la to-do list e ci si mette ai fornelli! Tra l'altro la forte presenza del burro adesso è diventata un vantaggio: con tutte le energiche lavate di mani a cui mi sto sottoponendo, la pelle è diventata molto secca. Dopo aver formato il kubaneh era invece morbidissima!

Non so se questa ricetta sia ammissibile allo Starbooks Redone, perché ho apportato qualche piccola modifica alle quantità di lievito, acqua e sale utilizzate (vedi note); in ogni caso io ci provo. 😅


lunedì 9 dicembre 2019

Ghirlanda di Natale al formaggio


Avevo preparato questa ghirlanda per lo Speciale Natale 2017 dell'MTChallenge e, inutile dirlo, me ne sono innamorata: semplice da fare ed estremamente gustosa, è un simpatico antipasto che addobberà la tavola di Natale, anche se per un tempo limitato: un boccone tira l'altro, e a metà pasto sarà già finita. 
Ma perché a Natale si fanno le ghirlande? Ce lo ha raccontato Alessandra nel suo articolo di due anni fa, che riporto qui abbreviandolo un poco.

La ghirlanda è un accessorio importante nell’antichità: la forma circolare è infatti il simbolo dell’eterno ritorno, della morte che si fa vita, dell’incessante ciclo di trasformazione della natura, in un misterioso ma costante collegamento con il divino. L’imperatore ha la corona perché l’Impero è eterno, cosi come eterna è l’ispirazione che Apollo darà ai poeti e la forza che infonderà agli atleti e ai condottieri vittoriosi. A ribadire il concetto, sempreverdi sono anche le piante che la compongono: l’alloro, rami di abete e conifere. Il Cristianesimo recuperò la ghirlanda come simbolo di eternità, riferendola però all’amore di Dio, eterno, incessante ed immutabile. 

Pur essendo nata in ambito cristiano, la ghirlanda di Natale deriva dai riti invernali druidici e celtici, nei quali si scacciavano gli spiriti della notte tenendo accese 4 candele su una corona di rami sempreverdi, a simboleggiare la resistenza della luce contro le tenebre.  A questo concetto si ispirò un Pastore protestante Tedesco, che pensò di associare le candele alle settimane dell’Avvento. 
La decorazione col passare del tempo si arricchì di bacche rosse e foglie di agrifoglio, a simboleggiare il sangue e la Passione di Cristo. 

Dal Nord della Germania la tradizione arrivò negli Stati uniti, dove esplose in un tripudio di decorazioni e di forme: è a loro che si deve il ritorno di questo simbolo natalizio nelle nostre case, anche se la ghirlanda si è ormai ridotta a elemento meramente ornamentale. Da qui a trasformarla in qualcosa di buono da mangiare il passo è stato breve: i centrotavola commestibili sono una delle gioie di una bella apparecchiatura, e quelli a forma di corona decorata lo sono di più.

Ecco, la mia ghirlanda è nata nell'ambito del progetto natalizio di MTC di due anni fa, insieme a diverse altre. Se volete provarle tutte, scaricate QUI il libretto che le riporta!
Intanto passiamo alla ricetta di questa. 😋

giovedì 25 luglio 2019

Piadina ai fiori di zucca e crema di ricotta dura alle erbe


Il caldo non dà tregua come è giusto che sia, visto che siamo in pieno luglio; non me ne lamento di certo, tanto attendo l'estate durante i freddi inverni milanesi, e pazienza se la voglia di cucinare scappa un po': ci sono tantissimi piatti gustosi che richiedono poco sforzo in cucina e danno grande soddisfazione, ed è a questi che mi rivolgo in questa stagione.

Per quanto io ami molto il fai da te, non disdegno certo i prodotti già pronti, purché siano veramente di qualità. E' per questo che ho messo nel carrello la piadina al lievito madre di Frescopiada, un'azienda artigianale che lavora le sue piade con sapienza e amore e le precuoce singolarmente, sicché a noi rimane solo da terminare la cottura sulla piastra e farcirle.
Ho costruito intorno alla mia piada una farcia fresca, leggera e saporita: fiori di zucca, zucchine e ricotta stagionata li ho acquistati; le erbe aromatiche prosperano sul mio balcone e il mio armadietto delle spezie è ben fornito. All'avvicinarsi dell'ora di pranzo mi sono messa all'opera e in un quarto d'ora avevo già la mia piadina sul piatto!

giovedì 11 luglio 2019

Piadina alla Norma per Vamos a la piada!


Metti una piadina artigianale preparata con lievito naturale, farine macinate a pietra e ingredienti selezionati, cotta individualmente, quindi raffreddata naturalmente tra i rulli prima di essere confezionata e messa in vendita.
Metti una piadina che quando apri la confezione ti conquista con il suo avvolgente profumo di buono che nulla ha a che vedere con i troppi prodotti industriali venduti sotto questo nome, e con la sua straordinaria morbidezza.
Metti una rosa di piadine, da quella tradizionale a quella ai grani antichi, tutte deliziosamente profumate, la cui artigianalità è garantita da Fresco Piada.
Metti un po' di estro creativo e la voglia di ritrovare i sapori della Terra dei tuoi Avi - che più distante dalla Romagna non potrebbe essere - senza troppi problemi, perché la piadina è accogliente e generosa come la Terra da cui è nata, ed è pronta a esaltare tutti i ripieni.
Metti poi che il Calendario del Cibo Italiano organizza un flash mob sulla piadina in collaborazione con Fresco Piada... Tu che fai?
Ti butti a corpo morto nella mischia, che domande, e al grido di VAMOS A LA PIADA! presenti la tua siculo-romagnola

lunedì 27 novembre 2017

En haut, à gauche. Pane dolce dello Shabbat per ricordare Michael


Nuova Delhi, casa di Eleonora:
- No, mamma, ti sbagli. Gli animali muoiono, ma le persone no. Le persone rimangono, basta       guardare in alto a sinistra per trovarle.
- Lolo, ma dove l'hai sentita questa?
- Me l'ha detto lui, quindi è vero.

Lui è Michael Meyers, il nostro indimenticabile Doc, che ci ha lasciati (ma è una presenza vivissima in mezzo a noi) il 13 novembre scorso, un vuoto incommensurabile nella nostra Community e nelle vite di sua moglie Micol e sua figlia Eleonora.

Preparando questo pane, mi stringo a queste due donne eccezionali in un abbraccio virtuale, certa che il nostro Michael continua a vegliare su di loro e su noi tutti. E anche se il cielo al momento è nuvoloso, noi sappiamo che oltre la coltre di nubi le stelle continuano a brillare.
Alziamo quindi fiduciosi lo sguardo in alto, a sinistra.

lunedì 16 ottobre 2017

Mafalda siciliana


Oggi è la giornata mondiale del pane, e anche la Community del Calendario del cibo italiano si unisce alla celebrazione di un alimento che è la base dell'alimentazione umana a tutte le latitudini.
Volevo partecipare alle celebrazioni con un pane della mia meravigliosa Terra, la Sicilia, e la mia scelta si è subito focalizzata su un pane tipico: la mafalda.

La Sicilia nel corso della sua storia ha sviluppato un ricco patrimonio agro-alimentare e tra i prodotti di indiscusso valore economico, storico e culturale, il pane gioca un ruolo di primario interesse.
Il pane in Sicilia è tutto: cultura, storia, tradizioni, fatica, ma anche unico e inimitabile sapore. Già alla fine del Medioevo, si è imposto sull'Isola il pane di grano duro. Nella cultura contadina della Sicilia preindustriale, il vero uomo era colui che mangiava pane travagghiatu, ottenuto, cioè, con il sudore della propria fronte. La panificazione casalinga era compito tipicamente femminile, che si svolgeva di solito al sabato.Uno dei pani tradizionali siciliani più diffusi è il pane casereccio, realizzato con semola di grano duro e caratterizzato da un’alveolatura fitta e minuta. La sua preparazione richiede una lavorazione specifica, con un impasto a bassa percentuale di acqua rispetto alle preparazioni standard, che gli garantisce un'elevata conservabilità, essendo meno attaccabile dalle muffe. Il pane casereccio siciliano è anche detto scaniatu, poiché viene lavorato energicamente, utilizzando attrezzi e metodiche tradizionali.

Tra le forme di pane più conosciute e diffuse in Sicilia spicca certamente la Mafalda, un pane  a impasto diretto dalla crosta dorata, dal delicato e caratteristico sapore di semi di sesamo, foggiato in diverse forme, tra le quali gli “occhi di Santa Lucia” e la “Corona”, ottenuta tagliando in due punti il lato superiore di un panetto a forma di mezzaluna – non superiore ai 3 etti – che con la lievitazione e la cottura si apre a ventaglio nella parte incisa, facendola assomigliare, appunto, a una corona.

Le sue origini sono incerte: probabilmente è un pane di origine araba, dato che l'importazione dei semi di sesamo - la giuggiulena , come sono chiamati nel dialetto locale - risale all'epoca della loro dominazione sull'Isola. Giuggiulena è anche il modo in cui vengono chiamate le rocce di arenaria locale, come quelle che formano la catena dei monti Iblei, per la loro facilità nello sfaldarsi, riducendosi in piccoli ciottoli, quasi come semi di sesamo.
Il nome Mafalda invece risale ai primi del Novecento, epoca in cui questo pane venne dedicato da un panificatore catanese a Mafalda di Savoia.
Quali che siano le sue origini, la Mafalda è un pane particolarmente profumato, caratterizzato da due ingredienti fondamentali: la semola rimacinata di grano duro e semi di sesamo.

Fonti:
Piergiorgio Giorilli in Dolcesalato
Siciliafan.it

La ricetta che segue è una mia rielaborazione della ricetta di famiglia: ho scelto il metodo dell'impasto indiretto, preparando una biga poolish e utilizzando così pochissimo lievito di birra, e ho utilizzato una farina di Timilìa (o Tumminìa), un grano antico tipico della zona di Castelvetrano (TP).

mercoledì 3 maggio 2017

Farina di grano germogliato


Ho cominciato a farmi il pane in casa nel lontano 2004 per far fronte a un'emergenza: ero a casa malata, mi era terminata la scorta di pane in freezer e stavo troppo male per uscire a fare un po' di spesa. Avevo però in casa della farina e del lievito di birra secco, ho letto le istruzioni sul retro della bustina di lievito e ho sfornato una pagnotta che adesso definirei accettabile, ma che allora mi parve buonissima, rispetto al pane che acquistavo. Da allora ho cominciato a fare ricerche: un mese dopo preparavo il mio primo lievito madre, due mesi dopo sfornavo la mia prima colomba, e da allora non mi sono più voltata indietro. I miei gusti si sono affinati e solo in Sicilia il pane comprato è più buono del mio: a Milano e dintorni non c'è proprio paragone.

Non ho pubblicato molte ricette di pane sul blog, essenzialmente perché tendo a rifare sempre le stesse ricette, ma ultimamente la ricerca mi ha spinta su altre strade, e più precisamente su quelle dell'autoproduzione di farina di grano germogliato.
Perché di grano germogliato? Lo spiega benissimo la fantastica Roberta (che se non ci fosse, bisognerebbe inventarla) in questo post: "Quello che non sempre ci dicono, è che nelle farine integrali, [...] sono presenti anche dei cosiddetti "antinutrienti", cioè delle sostanze, per dirla in termini molto poveri, che rendono indisponibili per l'organismo i preziosi elementi nutritivi contenuti nel chicco. Con la germogliazione, il chicco rilascia i preziosi sali minerali contenuti al suo interno e allo stesso tempo aumenta il suo contenuto in vitamine e proteine. Non si eliminano completamente le sostanze antagoniste, ma sicuramente si ottiene una farina con un migliorato apporto nutritivo. Perché questo avvenga, è sufficiente procurarsi dei chicchi di grano biologico, ovviamente interi, non decorticati o trattati in alcun modo. Vanno bene tutti i grani, anche quelli antichi, la spelta, il farro, così come altri cereali. Si mettono in ammollo in acqua fredda per 12 o massimo 24 ore, avendo l'accortezza di scolarli, sciacquarli e cambiare l'acqua di ammollo almeno un paio di volte. Poi si mettono in un recipiente capace, un grande vaso di vetro coperto con una garza fissata con un elastico, e si attende che spuntino i germogli. Di solito bastano 48 ore. Bisognerà solo sciacquarli e scolarli bene ogni 12 ore. Alla fine si distendono sulla placca del forno e si lasciano asciugare a 40° C per una mezza giornata, aprendo il forno per lasciar uscire il vapore e scuotendoli di tanto in tanto. Ancora qualche ora o anche una notte ad asciugare all'aria e sono pronti per essere macinati. Ora, certo sarebbe meglio avere un piccolo mulino casalingo, ma per i primi esperimenti, può andar bene anche un macina caffè o un macina spezie."

A quanto scritto da Roberta aggiungo che l'antinutriente più importante è l'acido fìtico, che inibisce l'assorbimento delle sostanze nutritive in quanto lega a se' minerali importanti quali zinco, magnesio, ferro e calcio: la germinazione invece inibisce i fitati, impedendo loro di trasformarsi in acido fitico, e consente quindi all'organismo di assorbire tutti i preziosi sali minerali presenti nel prodotto finale.

Inoltre il grano (sia duro, sia tenero) da cui vengono ricavate le farine oggi, è geneticamente modificato per resistere agli attacchi della maggior parte degli insetti e perfino agli uragani: cosa volete che possa fare il nostro povero organismo, contro chicchi così resistenti? Le farine di grano quindi rallentano notevolmente il nostro metabolismo, e se come me si desidera perdere peso è meglio rivolgersi alla decisamente più digeribile farina di grano germogliato: la germinazione infatti rompe i legami più resistenti e trasforma l'amido - uno zucchero complesso - in maltosio, uno zucchero semplice, che fornisce facile nutrimento alla nuova pianta che sta per nascere. Il prodotto che si ottiene è pertanto molto più digeribile, e ricco di elementi nutritivi.

Attenzione però: se la germinazione ha come effetto quella di trasformare in zuccheri semplici quelli complessi, ne deriva che chi desidera perdere peso deve bloccare la germinazione non appena questa giunge allo stadio iniziale: quando infatti le radichette raggiungono i 2/3 della lunghezza del chicco, avremo il massimo di presenza di zucchero semplice (maltosio), con il minimo consumo da parte del germoglio. E' il cosiddetto malto, utilizzato nell'industria alimentare come dolcificante, in sostituzione dello zucchero (pensate anche alle fette biscottate al malto, o più semplicemente alla birra: quella bianca è prodotta con malto di frumento!).
Ai fini della produzione di una farina di grano germogliato non eccessivamente zuccherina, è pertanto indispensabile bloccare la germinazione non appena questa si è avviata. Osservate attentamente i chicchi di grano, e quando il germoglio compare passate subito all'essiccazione.

Il procedimento che ho seguito io è quindi leggermente diverso da quello di Roberta: vediamolo insieme.

lunedì 6 marzo 2017

Panini al latte


I primi mesi dell'anno sono stati pesantucci per me dal punto di vista lavorativo, tanto da avermi fatto rinunciare a partecipare al mio adorato MTChallenge per un po', perché non ci sono proprio con la testa. Continuo a cucinare però, sia per mangiare, sia per rilassarmi, e una delle cose che mi rilassa di più e che mi fa sentire in sintonia con le generazioni passate e con quelle future, è fare il pane.
Anche se per lo più uso l'impastatrice per far formare l'impasto, mi piace rovesciarlo poi sul piano di lavoro e impastare a mano, finché non sento la consistenza cambiare e posso formare una bella palla liscia e morbida, da mettere a lievitare.

Di recente mi sono venuti in mente i sandwich che da ragazzina in estate mangiavamo all'ormai chiuso Bar Mokarta, che si affacciava nell'omonima piazza a Mazara del Vallo. Era il luogo di ritrovo del tardo pomeriggio per noi ragazzini, e dalle 18 alle 20:30 era pieno di adolescenti. Ogni gruppo aveva il suo angolo, e "ci vediamo stasera in piazza" era il saluto di ogni pomeriggio, quando si veniva via dalla spiaggia. E lì tra chiacchiere, risate e accordi per la serata, si gustavano arancine, brioche col gelato e i sandwich, quei deliziosi mini panini semidolci farciti con uno strato di burro freschissimo e il prosciutto crudo: una bontà!

Adesso il bar non c'è più, al suo posto è sorta una banca e Piazza Mokarta non è più il luogo di ritrovo degli adolescenti, ma ogni volta che passo da lì mi viene una fitta di nostalgia, al pensiero della piazza piena di ragazzi della mia gioventù.

Immagine dal web
Credo sia per questi ricordi che in occasione dell'ultimo Starbooks ho voluto fare i panini al latte; la ricetta riportata sul libro che abbiamo recensito non mi è riuscita però, e alla fine me la sono rielaborata io. Al primo morso sono tornata indietro di 35 anni, in un autentico viaggio proustiano...