lunedì 4 luglio 2016

Pànera, la versione genovese del gelato al caffè

Foto di Mai Esteve
E' da quando Alessandra mi ha portato, durante una delle mie numerose escursioni genovesi, alla Cremeria Buonafede, che sogno di fare la pànera, quella vera. Perché se a tutta prima sembra un mero gelato al caffè, in realtà è molto di più, ed è una di quelle specialità che, al pari della focaccia e della farinata, costituisce parte integrante della storia gastronomica della città.

Più propriamente la pànera non è un gelato, ma un semifreddo a base di panna, caffè e aromi, nato a Genova nella seconda metà del 1800. Il suo nome deriva dalla contrazione dei termini panna e nera, e indica in origine un dessert a base di panna montata addizionata di caffè e aromi. La ricetta compare per la prima volta nella Cuciniera Genovese di Giovanni Battista Ratto (1893), dove alle pagg. 267-268 è descritta una panna montata, aromatizzata con cannella e caffè. Il procedimento prevede di mettere in infusione il caffè macinato nella panna calda, filtrando poi il tutto attraverso un panno pulito, facendo raffreddare il composto e infine montandolo con le fruste, prima di passarlo nel congelatore.

Collage di 2 pagine, immagine Accademia Barilla
Cercavo dunque da anni la preziosa ricetta, perché nessuna di quelle che trovavo on line mi soddisfaceva. Poi mi è capitato tra le mani il libro di Giovanni Preti, Il gelato artigianale italiano, e mi si è aperto un mondo. Giovanni Preti è un Maestro Gelataio genovese e le ricette dei gelati tratte dal suo libro non mi hanno mai delusa.

Ho scritto più diffusamente sulla Pànera e sul gelato in un articolo pubblicato sulla rivista A Tavola nel settembre 2015; base di quell'articolo è stato un post del mio blog; rimando a entrambi e aggiungo nelle note in calce a questo articolo qualche spiegazione tecnica in più.
Tengo a precisare che la ricetta che pubblico qui è leggermente diversa da quella pubblicata su A Tavola, ed è più aderente a quella originale del Preti.

Non finirò infine di ringraziare Mai Esteve, che ha fatto le foto per il servizio di A Tavola, e che pubblico anche qui.

lunedì 27 giugno 2016

Hallacas di amaranto e polenta bianca


Da due anni a questa parte ho l'abitudine, mezz'ora prima di partire per l'aeroporto di Palermo al rientro dalle vacanze, di tagliare qualche foglia di banano dal nostro giardino per metterle in valigia; una volta a destinazione le lavo con acqua e bicarbonato, le asciugo e le congelo.
E' da allora che mi tormenta una ricetta vista per la prima volta in un libro di cucina, e che mi intriga assai: le hallacas.

Le hallacas (pronuncia: haiàcas) sono il piatto più antico del Venezuela e la portata più diffusa del tradizionale pranzo di Natale, laggiù (teniamo presente che dall'altra parte del Pianeta, Natale cade in estate). Sono anche tra le icone più rappresentative del patrimonio multiculturale venezuelano, dato che la loro preparazione comprende ingredienti europei (uva passa, noci e olive), indigeni ( pasta di mais colorata con semi di annatto) e africani (foglie di banano).
Come per tutti i piatti di antica tradizione, molte sono le storie sulle origini del piatto; secondo la più popolare, è stato creato dagli schiavi ai tempi del colonialismo. A quell'epoca gli schiavi, poverissimi, preparavano il pranzo di Natale utilizzando gli avanzi del pranzo natalizio del padrone, che avvolgevano prima in pasta di farina di mais (la masa harina), poi in foglie di banano, lessandoli infine in abbondante acqua per amalgamare i sapori.
Si tratta un piatto lungo e impegnativo che di regola coinvolge tutta la famiglia, in un rituale che è parte integrante della sua preparazione, nella festosa attesa del Natale. (notizie tratte da qui)

Le hallacas originali sono fatte con carni miste (maiale, pollo e manzo), ma le varianti locali e familiari non si contano: gli Andini ad esempio aggiungono uova sode, e in linea generale ogni famiglia ha la sua ricetta, tanto che in Venezuela c'è il detto nessuna hallaca ha lo stesso sapore di un'altra.
E' proprio per questo motivo che ho deciso di proporre la mia versione di hallacas, utilizzando amaranto e farina di polenta bianca al posto della masa harina, che non trovo facilmente (ovviamente dopo averle cucinate l'ho vista in un negozio, ma lasciamo perdere... :-) ).
Ho inoltre sostituito i semi di annatto con della curcuma: so che il sapore è diverso, ma la colorazione è analoga.

Per la ricetta mi sono rifatta a questo dettagliatissimo post, che riporta anche le foto passo passo della preparazione. Sfortunatamente le foglie di banano che mi ero portata dalla Sicilia erano troppo poche per fare le mie hallacas, quindi ne ho comperate altre on line qui, e già che c'ero ho scelto di acquistare quelle tagliate in cerchi del diametro di circa 20 cm, per risparmiarmi la fatica del sorting di cui si parla nel post di Venezuelan Cooking sopra citato.
Ho ridotto le dosi dello spezzatino a 1/4, ma me ne è avanzato comunque tantissimo: l'ho porzionato e congelato e lo consumerò poco per volta.
Nella ricetta riporto le dosi da me usate.

Questa ricetta può essere preparata in due tempi: faremo lo spezzatino il giorno prima, e assembleremo tutto il giorno dopo.

domenica 26 giugno 2016

Pizza al piatto maturata nel fieno: 3 farciture, un unico impasto


Questo mese di giugno è stato un delirio per me: lavoro massacrante, fine settimana impegnati e nel mezzo un pensiero che mi rodeva: l'MTChallenge
Sì, perché la vincitrice dello scorso mese, Antonietta, la maga dei lievitati che la prima volta che ha vinto ci ha sfidati sul Babà, questo mese ci ha sfidati sulla PIZZA NAPOLETANA


Cioè, rendiamoci conto: una sfida sulla pizza napoletana, fatta secondo il disciplinare, e spiegata per filo e per segno nel suo magnifico post! E io che non avevo il tempo per partecipare!!! Non era possibile, non poteva essere... e così per tutto il mese, dai fumi della stanchezza che mi annebbiavano il cervello, da un lato emergeva il dispiacere per non poter partecipare, e dall'altro il neurone si lambiccava: se avessi tempo per farla, come la farcirei? Era dal 6 giugno che ci pensavo, e ancora non riuscivo a trovare una risposta soddisfacente, dove per soddisfacente intendo dire una pizza che parli di me, che porti la mia impronta e la mia firma.

Poi mi sono capitati due colpi di fortuna: innanzi tutto il prolungamento della scadenza della sfida a domenica 26 giugno, cosa che mi permetteva di partecipare in extremis, e poi, nella notte tra mercoledì e giovedì, l'illuminazione.
Dovete sapere che da qualche mese a questa parte mi sveglio intorno alle 3:30 - 4 del mattino e faccio fatica a riaddormentarmi, cosa che aggrava la stanchezza. Ebbene, giovedì quando ho avuto questa interruzione del sonno, il mio primo pensiero cosciente è stato per il fieno.
Ho già adoperato il fieno per uso alimentare (acquistato on line qui) in altre ricette, questa e questa (tutte guarda caso legate all'MTChallenge). Avrei usato il fieno per farvi prima lievitare e poi maturare l'impasto, in modo che il suo delicato sapore erbaceo, fresco, dolce e fiorito si trasmettesse all'impasto, profumandolo. A partire dal quel momento, il cammino è stato in discesa.

martedì 14 giugno 2016

Pimientos rellenos de brandada de bacalao per lo Starbooks di giugno!


Giugno è il mese in cui si comincia a pensare alle vacanze (i più fortunelli si concedono una settimana di stacco dal lavoro proprio in questo periodo) e alla spensieratezza del vivere all'aria aperta, ritrovandosi con gli amici.

E che cosa incarna meglio questo spirito delle tapas spagnole? Lo Starbooks di questo mese è tutto dedicato a Tapas Revolution di Omar Allibhoy, di cui presenteremo le ricette ogni giorno a partire da oggi.

Io ho provato i peperoni ripieni di merluzzo: secondo voi mi sono piaciuti? :-)
Ricetta e commenti li trovate qui, poi non vi resta che procurarvi i pochi ingredienti e procedere alla preparazione, per vedere se condividete il mio giudizio. :-)

Buona appetito!

lunedì 6 giugno 2016

Shawarma di pollo al forno


Ce lo dice l'Araba nell'ultimo Starbooks: non chiamatelo kebab. Si chiama shawarma. Lo shawarma è un piatto arabo a base di carne che, al pari del turco kebab e del greco gyro,  prevede che i pezzi di carne siano sovrapposti su uno spiedo verticale e che si arrostiscano lentamente, mentre lo spiedo gira su se stesso; a mano a mano che la parte più esterna è cotta, viene tagliata con un coltello affilato e servita in un piatto (o come farcitura di un panino), con un contorno di verdure crude e salse speziate.
Lo shawarma può essere composto da più tagli di carne, ma spesso ne comprende uno solo, alternato a pezzi di grasso perché non risulti stopposo.

Ma Nigella Lawson nel suo ultimo libro, Simply Nigella, ci dice che lo shawarma può essere cucinato anche in forno. Ed è qui che troviamo la chiave di questa ricetta, semplicissima da preparare e molto gustosa. Perfetta per una cena informale tra amici.