lunedì 25 settembre 2017

Insalata russa di mare con maionese di polpo


Che cosa avreste fatto voi se aveste avuto in frigo un barattolo di maionese di polpo? A me è venuta in mente solo una preparazione: l'insalata russa di mare. Facile a dirsi, ma con una maionese così sfiziosa cercavo una ricetta altrettanto sfiziosa.
Una rapida ricerca in rete mi ha fornito risultati scontati, e poi si sa: i primi risultati presentati da Google sono quelli degli inserzionisti che pagano per essere in cima alle ricerche, e non sono necessariamente i più validi. Questo è il motivo per cui giro sempre pagina, e non mi sbagliavo: mi è capitato sotto gli occhi un post dello splendido forum Pan per Focaccia, a cui collaborano diverse persone che hanno tutta la mia stima culinaria e personale.
Ricetta della Chef Laura Adamoli per giunta, e preparata dalla bravissima Barbara Palermo: praticamente ero in una botte di ferro. 😄

La ricetta riportata, che prima o poi proverò anche nella versione originale, prevedeva di montare il filetto di merluzzo cotto al vapore insieme all'olio insaporito in uno spicchio d'aglio; io ho sostituito questa crema con la maionese di polpo sopra menzionata, ma mi riprometto di provare integralmente la ricetta originale. Quella che segue ha qualche mia piccola variazione.

lunedì 18 settembre 2017

Busiate al sugo di mare con tartare di scampi e maionese di polpo


Settembre è arrivato e ha portato con se' la frenesia sul lavoro e la ripresa dell'MTChallenge.
Confesso che guardavo a questa ripresa con timore e tremore: quest'anno infatti una serie di vicissitudini familiari e professionali mi hanno impedito di partecipare (sarebbe più corretto dire che mi hanno tolto tutta la voglia di cucinare) e il mio timore era che, dopo un periodo così lungo di inattività, le mie cellule grigie non fossero in grado di elaborare nulla che fosse degno di esservi legato. A dire il vero avevo fatto un timido tentativo in marzo con le terrine e in aprile con il sartù, ma non c'è stato niente da fare: partecipare all'MTC richiede cuore e cervello, e quando hai problemi sul lavoro e perdi due amatissimi zii nel giro di pochi mesi, cuore e cervello stanno da un'altra parte.

In settembre riprendo, mi son detta, e mi sono trovata a confrontarmi con quel mostro sacro di Cristina Galliti del blog Poverimabelliebuoni/Insalata Mista, un'autorità in fatto di pesce (specialmente di pesce azzurro), che ci ha sfidati sulle paste di pesce. Andatevi a leggere il suo magnifico post: è un autentico trattato e per me costituisce materia di studio da qui a quando avrò provato tutte le ricette che ci propone, con le relative tecniche!


Cristina ha aumentato il mio timore di non riuscire a elaborare una ricetta all'altezza dells'MTC, e durante i primi giorni ho temuto di non farcela: le cellule grigie erano letteralmente paralizzate, e non riusciva a venirmi neanche un'idea. Poi, giovedì scorso, un puntino ha cominciato a emergere dalla nebbia e si è via via delineato: Antonino Cannavacciuolo.

Cannavacciuolo è uno Chef che sto tenendo d'occhio da qualche anno: mi piace molto la sua cucina, così come mi piace la sua umanità. Già 4 anni fa avevo replicato una sua ricetta per un MTChallenge, e questa volta è affiorato il ricordo di un suo antipasto che avevo visto l'anno scorso: gli scampi alla pizzaiola, che comprendevano una maionese di polpo che mi ero ripromessa di provare.
Certo, quello era un antipasto e io lo dovevo rielaborare in chiave di primo piatto; non mi restava che provare a prepararli, per capire quali elementi salvare e quali scartare, per la mia pasta di mare. Olive e origano erano perfetti con la pizzaiola, ma non erano adatti a una pasta di mare, mentre invece gli scampi, magari ridotti in tartare, e la maionese di polpo, erano sicuramente gli elementi attorno ai quali lavorare.

Sul formato di pasta non avevo alcun dubbio: avrei preparato le busiate trapanesi, un formato di pasta che ho sempre gustato con sughi allo scoglio. La scelta del crudo di scampi invece mi ha posto un problema: a cosa affidare il sapore di mare della mia pasta? Sicuramente alla bisque, ma che altro? Magari l'acqua di cottura del polpo rimasta dalla maionese? Temevo che il suo gusto troppo forte prevaricasse su quello delicato della tartare di scampi. Mi ci voleva qualcosa di più delicato, ma inconfondibilmene marino, come... ecco, mi stavo domandando se... ma certo! Il fumetto di pesce! Forse usarlo per lessare la pasta era un po' uno spreco, eppure l'idea mi tentava, in ogni caso dovevo prepararlo per fare la bisque, e quindi...

Da lì in poi tutto è stato facile: ho sempre trovato deludenti i sughi di mare a base di cipolla o scalogno, perché abituata al gusto più deciso che l'aglio rosso di Nubia - altra eccellenza del territorio trapanese - conferisce ai sughi di mare, e quindi l'aglio ci doveva essere, tanto aglio. E poi la primavera scorsa avevo comperato delle piantine di peperoncini Jalapeño, che avevano dato una produzione abbondantissima: al rientro dalle ferie li ho raccolti ed essiccati in forno, perché non marcissero e potessero durare tutto l'anno. Certo, il crudo di scampi imponeva che il piccante non fosse troppo pronunciato, però un pochino ci stava e anzi, il mio palato lo reclamava!

Insomma, una volta che il neurone si è messo in moto, il resto è venuto da se', così sabato mattina ho lasciato la sveglia alle 6:15 e sono andata prestissimo al mercato, dove la bancarella dell pesce da cui mi servo era già attiva. Ho comperato il polpo e gli scampi, e ho chiesto che mi tenessero da parte le lische dei pesci bianchi che avrebbero sfilettato in mattinata. Quando sono tornata a mezzogiorno e mezzo, ho scoperto di essere stata fortunatissima: avevano sfilettato una ricciola enorme, di cui mi hanno dato testa e lisca, ricchissime di polpa, la migliore premessa per un fumetto da urlo! Ho deciso di tenere gli aromi al minimo, per esaltarne il gusto delicato. E insomma, questo è il risultato delle mie elucubrazioni mentali:



sabato 16 settembre 2017

Busiate trapanesi



Le busiate sono un formato di pasta tipico della provincia di Trapani, e che io naturalmente adoro. 😄
Si tratta di una pasta di semola di grano duro appartenente alla famiglia dei maccaruna, i maccheroni al ferretto, e di solito viene condita con il pesto alla trapanese, oppure con sughi di mare.

E' in quest'ultima versione che io le ho mangiate più spesso, e da brava amante del pesce non faccio mai trascorrere un'estate mazarese senza gustarle. Di solito ne compero un paio di confezioni da portare a casa ma quest'anno non l'ho fatto, perché avevo intenzione di cominciare a prepararmele da sola. 😉

Le busiate devono il loro nome al bastoncino attorno al quale vengono avvolte durante la loro preparazione, la busa, cioè lo stelo dell'Ampelodesmos Mauritanicus, una pianta graminacea tipica della prateria mediterranea, che cresce in terreni aridi e sabbiosi. Anticamente gli steli molto resistenti di questa pianta venivano usati dai fabbricatori di ceste come stecche per il fondo dei crivelli, arnesi adoperati per setacciare semola e farina, mentre dalle foglie tenaci si ricava tutt'oggi un materiale fibroso utilizzato per fabbricare cordami e stuoie o per impagliare le sedie. L'Ampelodesmos è diffuso nelle zone costiere di tutti i Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo; in Italia è presente nei litoranei aridi del Centro-Sud, in Sicilia e nelle coste della Liguria; proprio la sua diffusione giustifica i vari nomi con cui è conosciuto nel nostro Paese: erba sparta, liami, disa, cernicchiara, sarracchio, gutumara, lisara, cannoria, tunnara...

E se non abbiamo uno stelo di Ampelodesmos? Niente paura, possiamo usare uno spiedino di legno, o anche un ferro da calza della misura 2½. Tra l'altro c'è una seconda ipotesi circa le origini del nome delle busiate ed è il buso, un particolare ferro da maglia che era usato nel trapanese per lavorare lana e cotone. Io però propendo per la prima ipotesi che ho illustrato, che rende ragione dell'industriosità umana e della sua capacità di trarre il massimo da ciò che ha a disposizione.

Ma bando alle ciance, passiamo alla ricetta!

mercoledì 6 settembre 2017

Pasta alla Norma con pesce spada - Giornata Nazionale di Montalbano



Oggi il Calendario del cibo italiano dedica una Giornata Nazionale al Commissario Montalbano, fortunato personaggio nato dalla fantasia di Andrea Camilleri, per festeggiare il 92° compleanno del suo Autore.

Antieroe per antonomasia - è letteralmente terrorizzato dalla prospettiva di una promozione sul lavoro - il Commissario Salvo Montalbano ha una passione per il buon cibo che rasenta la venerazione, e che fa parte del personaggio tanto quanto il suo intuito e il suo acume investigativo.

Il rapporto con il cibo è sintomatico del rapporto che abbiamo con la vita, e in Montalbano questo concetto salta immediatamente all'occhio: ne Il cane di terracotta, quando il Commissario si sveglia in ospedale dopo una sparatoria e si trova alimentato tramite un sondino naso-gastrico, sperimenta un vero e proprio horror vacui quando gli pare di capire che la ferita abbia compromesso le sue capacità digestive: Ma se aveva a che fare con la panza, questo stava a significare che - e sobbalzò tanto forte che i medici se ne accorsero - da quel momento in poi e per tutto il resto della vita sarebbe dovuto andare avanti a pappine?
"... pappine?" fece finalmente la voce di Montalbano, l'orrore di quella prospettiva gli aveva riattivato le corde vocali.
"Che ha detto?" spiò il primario volgendosi ai suoi.
"Mi pare abbia detto scarpine" disse uno.
"no, no, ha detto rapine" intervenne un altro.

Il cibo è sacro e va gustato come merita: sempre ne Il cane di terracotta, Montalbano riflette:
Gli piaceva mangiare da solo, godersi i bocconi in silenzio, fra i tanti legami che lo tenevano a Livia c'era magari questo, che quando mangiava non rapriva bocca.

Ne Il ladro di merendine la sacralità del cibo è ancora esplicita:
Portò alla bocca il primo boccone, non l'ingoiò subito. Lasciò che il gusto si diffondesse dolcemente e uniformemente su lingua e palato, che lingua e palato si rendessero pienamente conto del dono che veniva loro offerto.

Ancora Il cane di terracotta:
"Vossia sta mangiando senza intinzioni. " 
"Vero è, il fatto è che ho un pinsèro."
"I pinsèri bisogna scordarseli davanti alla grazia che u Signuri le sta facendo con queste spigole" disse solennemente Calogero allontanandosi.

Per fame e per vendetta verso Livia, si fece una mangiata da chiamare il medico. (Ibidem).

La cucina gustata da Montalbano è quella siciliana classica, che si cucina in famiglia: dalla tinnirume e triglie di scoglio a oglio e limone che gli offre la moglie del preside Burgio alla pasta 'ncasciata che gli fa trovare Adelina in forno, i sapori che il Commissario cerca sono quelli tipici della sua terra: quando va a pranzo dal Vicequestore di Mazara del Vallo Valente , la cui moglie è nata a Sestri, non riesce ad apprezzarne la cucina:
Un poco meno simpatica la signora riuscì a Montalbano per via della pasta indegnamente scotta, dello stracotto concepito da una mente chiaramente malata, del caffè che manco a bordo degli aerei osavano propinare.
Confesso che leggere questo passaggio e sorridere pensando a mia nonna, è stato un tutt'uno: Nonna Sara mangiava solo Pecorino ed era solita dire che il Parmigiano non sa di niente.

La ricetta che segue è una variante della pasta alla Norma, che prevede l'aggiunta del pesce spada. E' diffusa in tutta la Sicilia, e se la Norma classica si può definire un piatto da tutti i giorni, quella al pesce spada è il piatto della domenica: l'ho gustato diverse volte dai miei zii, e come tutti i piatti di tradizione che si rispettino, ogni famiglia ha la sua versione.
Per avere dosi più precise mi sono riferita a un libro, ma ho apportato qualche variante alla ricetta e specificato meglio i vari passaggi, cui l'autrice accenna solo sbrigativamente.

Ma cosa pensa Salvo Montalbano della pasta alla Norma? Camilleri ce lo spiega ne Il ladro di merendine, quando il Commissario è invitato a pranzo da una donna anziana e paralitica:
"Perché non resta a mangiare con me?"
Montalbano si sentì impallidire lo stomaco. La signora Clementina era buona e cara, ma doveva nutrirsi a semolino e a patate bollite.
"Veramente avrei tanto da..."
"Pina, la cammarera, è un'ottima cuoca, mi creda. Oggi ha preparato pasta alla Norma, sa, quella con le milanzane fritte e la ricotta salata."
"Gesù!" fece Montalbano assittandosi.
"e per secondo uno stracotto".
"Gesù!" ripetè Montalbano.
"Perché si meraviglia tanto?"
"Non è un mangiare tanticchia pesante per lei?"
"E perché? Io ho uno stomaco che non ce l'ha una picciotta di vent'anni [...]. Macari lei è dell'opinione di mio figlio Giulio?".
"Non ho il piacere di conoscerla".
"Dice che alla mia età non è dignitoso mangiare queste cose. Mi considera un poco svergognata. Secondo lui dovrei andare avanti a pappine. Allora che fa, resta?".
"Resto" fece deciso il commissario.

venerdì 18 agosto 2017

Liquore di fichi d'India - Giornata Nazionale di liquori e sciroppi


Oggi il Calendario del cibo italiano celebra la Giornata Nazionale di Liquori e Sciroppi: potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di ripubblicare la ricetta di un liquore tipico della mia terra, fatto per giunta con i fichi d'India di casa mia? Cerrrto che no!

Vi invito ad andare a leggere sia l'articolo sul Calendario dedicato alla giornata odierna, sia i contributi di tutte le mie colleghe blogger: vi garantisco che avrete l'imbarazzo della scelta e avrete voglia di provarli tutti. Io mi sto già procurando un bel po' di ingredienti, che Natale non è poi così lontano e un liquore o uno sciroppo fatto con le vostre mani sarà un gradito regalo per amici e colleghi!


giovedì 27 luglio 2017

Pasta alla Norma in versione gourmet: Lumaconi con crema di melanzane su fonduta di ricotta salata


Oggi il Calendario del cibo italiano celebra la Giornata Nazionale della pasta alla Norma.
Piatto tipico della tradizione culinaria siciliana, forse addirittura il più noto, si prepara con ingredienti semplici, a portata di tutte le massaie siciliane; proprio per questo, è essenziale curare al massimo la qualità degli ingredienti.

Le origini del nome del piatto, che probabilmente era già ampiamente noto da tempo in Trinacria, risalgono al 1920, quando il commediografo catanese Nino Martoglio, a cena insieme ad alcuni amici, di fronte a un piatto di spaghetti con salsa al pomodoro, basilico, melanzane fritte e ricotta salata, esclamò: "Chista è ‘na vera Norma!".
Chiarissimo il riferimento al capolavoro del grande compositore Vincenzo Bellini, la cui Norma, mal compresa dai catanesi, ottenne il successo che meritava in occasione della Prima alla Scala, e da lì conobbe un enorme successo internazionale.

Il mio fido libro Sicilia in bocca di Antonio Cardella, riporta la ricetta in dialetto siciliano:

Dal libro Sicilia in bocca di Antonio Cardella
Per onorare la Giornata Nazionale di questo delizioso piatto, io oggi propongo la mia versione gourmet.

sabato 22 luglio 2017

GIORNATA NAZIONALE DELL’ARANCINA


Oggi il Calendario del cibo italiano celebra la Giornata Nazionale dell'Arancina (o Arancino), il cibo di strada siciliano più noto in Italia e nel mondo.

Io ovviamente le adoro, ma le mangio solo in Sicilia: nel freddo Nodd decisamente non le sanno fare, il riso è sempre scotto e il risultato è invariabilmente deludente.

Mi sono divertita a tracciare la storia di queste delizie, e ho scoperto che non ci sono notizie certe sulla loro data nascita, né si può citare il cuoco che le abbia inventate, e quindi prima di passare alla ricetta, vi tedio con un po' di storia. 😄 Ovviamente, se preferite passare subito alla ricetta avete tutta la mia comprensione. 😏

Secondo l’ipotesi più diffusa, che parte dall’analisi degli ingredienti, l'origine delle arancine risale all’Alto Medio Evo, durante l’occupazione araba, che influenzò la storia e i costumi, anche alimentari, della Terra dei miei avi.
Agli arabi infatti si deve l’introduzione del riso speziato, aromatizzato con zafferano e servito in un grande piatto al centro della tavola, accompagnato da bocconcini di carne e verdure; i commensali si servivano direttamente dal piatto di portata, prendendo con le mani un po’ di riso e condendolo con carne e verdure. In seguito l’emiro Ibn at-Timnah inventò il timballo di riso, e da lì a creare dei timballi monoporzione il passo fu breve.
Il ripieno a base di ragù di carne risale alla dominazione Normanna, mentre sembra che la panatura sia stata inserita per accontentare Re Federico II di Svevia, che voleva gustare i timballi di riso anche in viaggio e durante le battute di caccia. Tale ipotesi quindi definisce le arancine come una felicissima sintesi delle varie influenze storiche dell’Isola. Perfino il loro nome, arancine, viene fatto risalire alla cultura araba antica: nel mondo arabo infatti, tutte le polpette tondeggianti prendevano il nome dalla frutta a cui somigliavano per forma e dimensioni.

Esiste però anche una seconda ipotesi sulle origini delle arancine, alimentata dal fatto che la preparazione viene menzionata per la prima volta nella seconda metà del XIX secolo: secondo alcuni, questo farebbe pensare che la loro origine sia molto più recente. A ciò si aggiunga che il primo dizionario siciliano-italiano che registra la parola arancinu, quello di Giuseppe Biundi, è datato 1857 e descrive una vivanda dolce di riso dalla forma della melarancia. I passaggi dal dolce al salato non sono infrequenti nella storia gastronomia, e infatti il Nuovo vocabolario siciliano-italiano del Traina, edito una decina di anni più tardi, alla voce arancinu rinviava a crucchè, "specie di polpettine gentili fatte o di riso o di patate o altro".
Nei documenti sopra citati non sono mai menzionati né la carne né il pomodoro, e in effetti è difficile dire quando questi due ingredienti siano entrati nella ricetta: del pomodoro tra l’altro, si sa che cominciò a essere coltivato nel Sud Italia solo all’inizio dell’Ottocento.
Alla luce di questi fatti, l'origine araba delle arancine non sembra più così certa, mentre si potrebbe pensare che si tratti di un piatto nato nella seconda metà del XIX secolo come dolce di riso, trasformato quasi subito in una specialità salata.


Se le origini dell’arancina sono incerte, certa però è la derivazione del nome: le prime arancine, ripiene di ragù e piselli, avevano la forma tonda e il colore dorato delle arance. Col tempo i ripieni si sono differenziati, e con essi anche le forme, per poter distinguere i preziosi scrigni di cibo uno dall’altro: quelle al ragù sono rimaste tonde in Sicilia occidentale (nella parte orientale dell'Isola invece hanno forma conica, in omaggio all’Etna), mentre quelle al burro sono ovali. Ai due gusti classici, l’inventiva e le tradizioni delle varie città ne hanno affiancati altri: a Catania sono famose quelle alla Norma, con melanzane fritte, salsa di pomodoro e ricotta salata, e quelle al pistacchio di Bronte; le varianti sono una trentina e il loro numero è destinato ad aumentare, grazie alla fantasia dei cuochi e alla reperibilità di ingredienti non originari della Sicilia.
Altre differenze tra la parte occidentale e orientale dell'Isola riguardano la colorazione del riso delle arancine: nella Sicilia occidentale il giallo è dato dallo zafferano, mentre in quella orientale è dovuto al sugo di pomodoro.

A Palermo il giorno di Santa Lucia ne viene preparata anche una versione dolce, farcita con crema gianduia e spolverata di zucchero al velo. A Modica la versione dolce prevede un ripieno del cioccolato per cui la città è giustamente famosa.

Finora ho parlato di arancine al femminile, ma nella bella Trinacria la questione del genere è tutt’ora aperta. Secondo l’Accademia della Crusca entrambe le forme sono accettabili: il genere infatti è determinato dall’uso diatopicamente differenziato. In parole povere, 😊 nel dialetto siciliano il frutto dell’arancio è aranciu, che nell'italiano parlato diventa arancio: nella lingua italiana ufficiale invece, vi è la distinzione di genere: femminile per i nomi dei frutti e maschile per quelli degli alberi. Tale distinzione è invalsa solo nella seconda metà del Novecento, e ha influenzato anche la denominazione della pietanza siciliana.
I due generi sono accettati, come attestano anche i dizionari della lingua italiana: lo Zingarelli nel 1917 definisce arancina un pasticcio di riso e carne tritata, e anche il Panzini del 1927 riporta il termine arancina. E’ solo nel l’edizione del 1942 che il Panzini usa arancino al maschile, e non bisogna dimenticare che le due varianti arancio e arancia coesistono, con una prevalenza del femminile nell’uso scritto e una maggior diffusione del maschile nelle varietà regionali parlate di gran parte della penisola. Il femminile tuttavia è percepito come più corretto, almeno nell’impiego formale, perché l’opposizione di genere come abbiamo visto è tipica nella nostra lingua, per differenziare l’albero dal frutto.
Questa ipotesi sarebbe confermata dall’unica attestazione delle arancine che si trova nella letteratura di fine Ottocento, I Vicerè del Catanese Federico De Roberto: "arancine di riso grosse ciascuna come un mellone". Anche Corrado Avolio, nel suo Dizionario dialettale siciliano di area siracusana (un manoscritto inedito della Biblioteca Comunale di Noto, compilato tra il 1895 e il 1900 circa), parla di arancina; è solo dopo il 1942 che nei dizionari è prevalso il termine al maschile.
Probabilmente il prestigio del codice linguistico standard, verso cui sono sempre state più ricettive le aree urbane, ha portato a Palermo la prevalenza della forma femminile su quella maschile per il frutto, e di conseguenza anche per lo scrigno di riso.

Fonti:

Mangiarebuono.it
TaccuiniStorici.it
Accademia della Crusca on line

E adesso, se ancora non vi siete addormentati, passiamo alla ricetta, una mia creazione.

lunedì 17 luglio 2017

Sgombri in scapece


Immagine tratta dal libro Tapas Revolution

Ci sono ricette che fai spessissimo, senza che ti venga mai la voglia di fotografarle.
Un po' perché non sono facili da ritrarre, un po' perché la tua abilità fotografica è decisamente scarsa, e un po' per pigrizia. Devo dire che la pigrizia qui è motivata dalle altre due motivazioni: già gli sgombri in scapece sono difficili da rendere bene, io non sono una grande fotografa e in più, sì, mi manca un prop importante: il piatto di servizio arancione e rosso fuego usato dal fotografo del libro: perché diciamocelo, senza quel piatto di servizio, anche la foto del libro tutto sommato non sarebbe stata un granché. 😉

Sabato mattina, andando al mercato dal mio banco del pesce di fiducia intenzionata a comprare solo cozze, non ho saputo resistere alla tentazione degli sgombretti che mi facevano l'occhiolino dal loro letto di ghiaccio. "Chissà che non mi venga la voglia di fotografarli, questa volta?", mi sono detta, mentre infrangevo la mia ferrea determinazione e aggiungevo alle cozze dei tranci di tonno e, appunto, gli sgombretti. Solo quattro, mi sono detta; dieci, ne ho portati via, e li ho cucinati tutti in scapece, triplicando le dosi della ricetta di quel bel figliuolo di Omar Allibhoy, che tanto mi era piaciuta fin dalla prima volta che l'avevo provata.
E no, non li fotografo neppure questa volta. Me li mangio e basta, però la ricetta questa volta la pubblico. 😁

mercoledì 24 maggio 2017

Arrosto di Coniglio al limone, timo e capperi - Lemon-Roasted Rabbit with Thyme and Capers


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Ecco, ci risiamo.
Sono di nuovo a dieta.
Una delle mie diete cicliche, perché se hai un blog di cucina, sei una buona forchetta e finché in tavola ci sono cose commestibili non smetti di mangiare, ingrassare è inevitabile.
A meno di non avere un metabolismo che va alla velocità della luce, o di fare una vita attiva, o insomma di essere tutto quello che io non sono.
Naturalmente per mettersi a dieta deve scattare una molla nella testa: non basta dirsi "sono grassa, mi faccio schifo"; non basta guardarsi allo specchio, notare come  pantaloni un tempo morbidi fascino fianchi e glutei come fossero dei leggings: bisogna essere disposti a cambiare lo stato delle cose.

A me di solito la molla scatta quando cominciano a venirmi strette le mutande: gonne e pantaloni passano di moda e comunque dopo qualche anno si usurano, quindi si possono cambiare, ma il parco mutande no, quello non si cambia. Di misura, intendo. 😄 Si usurano, si buttano e si comprano nuove, ma sempre della stessa misura: quella successiva per me è semplicemente inaccettabile.

Quello che è cambiato questa volta è stato il momento in cui la molla è scattata: contrariamente al 99,9% delle donne italiane, che si preparano alla prova bikini intorno a maggio-giugno, io mi metto a dieta in settembre, una volta tornata dalle vacanze estive (e quindi dopo una prova bikini disastrosa).
Del resto, provate voi ad andare in Sicilia per 3 settimane e resistere sistematicamente ad arancine, pane di grano duro, cannoli, brioche col tuppo traboccanti di gelato e con un generoso ciuffo di panna sopra: per me è impossibile. E così mi dò alla pazza gioia, pensando che tanto in settembre mi metto a dieta, e torno dalle ferie con 5 kg buoni in più. A quel punto le mutande mi vanno strette, la molla scatta e sto attentissima alla mia alimentazione fino a novembre. Tutto bene fin lì, ma poi arriva dicembre.

In dicembre, io capitolo.
Un compleanno in famiglia dà il la ♪ ai bagordi, seguono aperitivi, pizzate, pranzi e cene di Natale con un numero disparato di persone: i colleghi, gli ex colleghi, gli amici del gruppo X, gli amici del gruppo Y, quelli del gruppo sub, e chi più ne ha, ne metta. Infine arriva il fatidico triduo di Natale: nella mia famiglia si celebrano la Vigilia, il giorno di Natale e pure Santo Stefano.

Una volta caduta, rialzarmi mi è quasi impossibile: intanto ho in casa il panettone del pacco aziendale, e a me il panettone piace da morire. Poi si comincia a parlare di Capodanno; dopo Capodanno c'è l'Epifania, e terminate le feste mi trovo ad aver ripreso una buona metà dei kg persi nei mesi precedenti. Al lavoro gennaio e febbraio sono mesi pesantissimi, quindi di mettermi a dieta non se ne parla neanche, non ne ho né le energie, né la forza. Intorno a maggio comincio gradualmente a svuotare il freezer, che si è nel frattempo riempito in maniera esagerata, e arrivo alla vigilia della partenza per le ferie estive con il congelatore svuotato e sbrinato, e il corpo adorno di un corposo salvagente, che al mare torna sempre utile.
Ferie, mangiate pantagrueliche, ingrasso estremo, e al ritorno ricomincia tutto daccapo.

Tranne quest'anno. Quest'anno sono inciampata in un libro che parla di una dieta speciale, ideata da una nutrizionista Americana. L'ho acquistato in lingua originale, perché da brava traduttrice mi viene l'orticaria ogni volta che leggo libri mal tradotti, e la sua lettura mi apre un mondo. Il cibo usato come una medicina, grazie alla quale è possibile riattivare il metabolismo; non si contano le calorie, ma si guarda il valore nutritivo dei singoli alimenti; è richiesta una moderata attività fisica, perfino dei massaggi... è incredibile, mi è venuta voglia di mettermi a dieta!!!
Tra l'altro alla fine del libro ci sono una serie di ricette veramente sfiziose, perché non provarci? E così ho cominciato a reperire i vari ingredienti, ho cucinato, porzionato, etichettato e congelato, e mi sono messa a dieta. Occorrono 28 giorni per rieducare il metabolismo e abituarlo a digerire gli alimenti che ingeriamo e a trasformarli subito in energia, anziché immagazzinarli come grassi. Terminato questo periodo, si può proseguire la dieta fino al raggiungimento dell'obiettivo desiderato, ma nel frattempo si godrà dei suoi incredibili benefici: ho cominciato a sprizzare energia da tutti i pori in un periodo dell'anno in cui di solito faccio una cura ricostituente, pelle e capelli sono migliorati sensibilmente, e pure la cellulite ha cominciato piano piano ad andarsene.

Non ve lo racconto, ma vi consiglio di comperare il libro e di leggerlo molto attentamente: la versione italiana è questa, e riporta alla fine del libro le ricette adattate agli ingredienti che reperiamo facilmente in Italia; la versione in lingua originale è questa, e siccome ho in casa la stragrande maggioranza degli ingredienti richiesti e sono riuscita a procurarmi con molta facilità quelli che non avevo, seguo fedelmente quella.

La ricetta che segue è indicata per questa dieta, più precisamente per la Fase 3. Capite perché la sto seguendo volentieri? 😄