lunedì 17 luglio 2017

Sgombri in scapece


Immagine tratta dal libro Tapas Revolution

Ci sono ricette che fai spessissimo, senza che ti venga mai la voglia di fotografarle.
Un po' perché non sono facili da ritrarre, un po' perché la tua abilità fotografica è decisamente scarsa, e un po' per pigrizia. Devo dire che la pigrizia qui è motivata dalle altre due motivazioni: già gli sgombri in scapece sono difficili da rendere bene, io non sono una grande fotografa e in più, sì, mi manca un prop importante: il piatto di servizio arancione e rosso fuego usato dal fotografo del libro: perché diciamocelo, senza quel piatto di servizio, anche la foto del libro tutto sommato non sarebbe stata un granché. 😉

Sabato mattina, andando al mercato dal mio banco del pesce di fiducia intenzionata a comprare solo cozze, non ho saputo resistere alla tentazione degli sgombretti che mi facevano l'occhiolino dal loro letto di ghiaccio. "Chissà che non mi venga la voglia di fotografarli, questa volta?", mi sono detta, mentre infrangevo la mia ferrea determinazione e aggiungevo alle cozze dei tranci di tonno e, appunto, gli sgombretti. Solo quattro, mi sono detta; dieci, ne ho portati via, e li ho cucinati tutti in scapece, triplicando le dosi della ricetta di quel bel figliuolo di Omar Allibhoy, che tanto mi era piaciuta fin dalla prima volta che l'avevo provata.
E no, non li fotografo neppure questa volta. Me li mangio e basta, però la ricetta questa volta la pubblico. 😁

mercoledì 24 maggio 2017

Arrosto di Coniglio al limone, timo e capperi - Lemon-Roasted Rabbit with Thyme and Capers


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Ecco, ci risiamo.
Sono di nuovo a dieta.
Una delle mie diete cicliche, perché se hai un blog di cucina, sei una buona forchetta e finché in tavola ci sono cose commestibili non smetti di mangiare, ingrassare è inevitabile.
A meno di non avere un metabolismo che va alla velocità della luce, o di fare una vita attiva, o insomma di essere tutto quello che io non sono.
Naturalmente per mettersi a dieta deve scattare una molla nella testa: non basta dirsi "sono grassa, mi faccio schifo"; non basta guardarsi allo specchio, notare come  pantaloni un tempo morbidi fascino fianchi e glutei come fossero dei leggings: bisogna essere disposti a cambiare lo stato delle cose.

A me di solito la molla scatta quando cominciano a venirmi strette le mutande: gonne e pantaloni passano di moda e comunque dopo qualche anno si usurano, quindi si possono cambiare, ma il parco mutande no, quello non si cambia. Di misura, intendo. 😄 Si usurano, si buttano e si comprano nuove, ma sempre della stessa misura: quella successiva per me è semplicemente inaccettabile.

Quello che è cambiato questa volta è stato il momento in cui la molla è scattata: contrariamente al 99,9% delle donne italiane, che si preparano alla prova bikini intorno a maggio-giugno, io mi metto a dieta in settembre, una volta tornata dalle vacanze estive (e quindi dopo una prova bikini disastrosa).
Del resto, provate voi ad andare in Sicilia per 3 settimane e resistere sistematicamente ad arancine, pane di grano duro, cannoli, brioche col tuppo traboccanti di gelato e con un generoso ciuffo di panna sopra: per me è impossibile. E così mi dò alla pazza gioia, pensando che tanto in settembre mi metto a dieta, e torno dalle ferie con 5 kg buoni in più. A quel punto le mutande mi vanno strette, la molla scatta e sto attentissima alla mia alimentazione fino a novembre. Tutto bene fin lì, ma poi arriva dicembre.

In dicembre, io capitolo.
Un compleanno in famiglia dà il la ♪ ai bagordi, seguono aperitivi, pizzate, pranzi e cene di Natale con un numero disparato di persone: i colleghi, gli ex colleghi, gli amici del gruppo X, gli amici del gruppo Y, quelli del gruppo sub, e chi più ne ha, ne metta. Infine arriva il fatidico triduo di Natale: nella mia famiglia si celebrano la Vigilia, il giorno di Natale e pure Santo Stefano.

Una volta caduta, rialzarmi mi è quasi impossibile: intanto ho in casa il panettone del pacco aziendale, e a me il panettone piace da morire. Poi si comincia a parlare di Capodanno; dopo Capodanno c'è l'Epifania, e terminate le feste mi trovo ad aver ripreso una buona metà dei kg persi nei mesi precedenti. Al lavoro gennaio e febbraio sono mesi pesantissimi, quindi di mettermi a dieta non se ne parla neanche, non ne ho né le energie, né la forza. Intorno a maggio comincio gradualmente a svuotare il freezer, che si è nel frattempo riempito in maniera esagerata, e arrivo alla vigilia della partenza per le ferie estive con il congelatore svuotato e sbrinato, e il corpo adorno di un corposo salvagente, che al mare torna sempre utile.
Ferie, mangiate pantagrueliche, ingrasso estremo, e al ritorno ricomincia tutto daccapo.

Tranne quest'anno. Quest'anno sono inciampata in un libro che parla di una dieta speciale, ideata da una nutrizionista Americana. L'ho acquistato in lingua originale, perché da brava traduttrice mi viene l'orticaria ogni volta che leggo libri mal tradotti, e la sua lettura mi apre un mondo. Il cibo usato come una medicina, grazie alla quale è possibile riattivare il metabolismo; non si contano le calorie, ma si guarda il valore nutritivo dei singoli alimenti; è richiesta una moderata attività fisica, perfino dei massaggi... è incredibile, mi è venuta voglia di mettermi a dieta!!!
Tra l'altro alla fine del libro ci sono una serie di ricette veramente sfiziose, perché non provarci? E così ho cominciato a reperire i vari ingredienti, ho cucinato, porzionato, etichettato e congelato, e mi sono messa a dieta. Occorrono 28 giorni per rieducare il metabolismo e abituarlo a digerire gli alimenti che ingeriamo e a trasformarli subito in energia, anziché immagazzinarli come grassi. Terminato questo periodo, si può proseguire la dieta fino al raggiungimento dell'obiettivo desiderato, ma nel frattempo si godrà dei suoi incredibili benefici: ho cominciato a sprizzare energia da tutti i pori in un periodo dell'anno in cui di solito faccio una cura ricostituente, pelle e capelli sono migliorati sensibilmente, e pure la cellulite ha cominciato piano piano ad andarsene.

Non ve lo racconto, ma vi consiglio di comperare il libro e di leggerlo molto attentamente: la versione italiana è questa, e riporta alla fine del libro le ricette adattate agli ingredienti che reperiamo facilmente in Italia; la versione in lingua originale è questa, e siccome ho in casa la stragrande maggioranza degli ingredienti richiesti e sono riuscita a procurarmi con molta facilità quelli che non avevo, seguo fedelmente quella.

La ricetta che segue è indicata per questa dieta, più precisamente per la Fase 3. Capite perché la sto seguendo volentieri? 😄

venerdì 19 maggio 2017

Giornata Nazionale delle fragole: Pasta al sugo di pomodoro e fragole


Oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra la giornata delle fragole: un'autentica festa per chi come me ama alla follia questo frutto, ch e giunge a maturazione a tarda primavera e preannuncia i meravigliosi sapori dell'estate.

Le fragole sono una gioia per il palato e per gli occhi: a me piacciono anche da sole, ma a dire il vero le ho gustate in quasi tutti i modi: dal famigerato risotto alle fragole così di moda negli anni '80 e '90 (quante ricette ho provato e scartato, prima di decidere che non mi piaceva!) alle classiche fragole con panna, passando per torte, macedonie, gelati e confetture di tutti i tipi. Gli unici abbinamenti noti che non sono ancora riuscita a provare sono quello con il vino rosso e quello con l'aceto balsamico, che mi danno l'impressione di coprirne il meraviglioso sapore.
Il buon proposito di oggi è quello di provarli entrambi, per constatare di persona se è effettivamente così o se mi sono persa qualche cosa in tutti questi anni.

Dai tempi del risotto alle fragole però non avevo più provato un abbinamento salato, fino all'MTChallenge di due anni fa, sulla pasta al pomodoro. In quell'occasione ho sfatato un mito - quello che la pasta al sugo di pomodoro semplice non mi piace - e creato la ricetta che vi ripropongo oggi.

Fragole e pomodori vanno d'accordissimo in questo sugo, ma bisogna fare attenzione all'equilibrio tra i due: la proporzione tra fragole e pomodori deve essere di 1:4 (1 parte di fragole e 4 parti di pomodoro). I pomodori devono essere maturi e da sugo: dai San Marzano ai Piccadilly, devono essere sodi e non acquosi.
Anche le fragole devono essere dolci e mature: si possono utilizzare anche quelle più mature, che non troverebbero posto in una macedonia.

mercoledì 3 maggio 2017

Farina di grano germogliato


Ho cominciato a farmi il pane in casa nel lontano 2004 per far fronte a un'emergenza: ero a casa malata, mi era terminata la scorta di pane in freezer e stavo troppo male per uscire a fare un po' di spesa. Avevo però in casa della farina e del lievito di birra secco, ho letto le istruzioni sul retro della bustina di lievito e ho sfornato una pagnotta che adesso definirei accettabile, ma che allora mi parve buonissima, rispetto al pane che acquistavo. Da allora ho cominciato a fare ricerche: un mese dopo preparavo il mio primo lievito madre, due mesi dopo sfornavo la mia prima colomba, e da allora non mi sono più voltata indietro. I miei gusti si sono affinati e solo in Sicilia il pane comprato è più buono del mio: a Milano e dintorni non c'è proprio paragone.

Non ho pubblicato molte ricette di pane sul blog, essenzialmente perché tendo a rifare sempre le stesse ricette, ma ultimamente la ricerca mi ha spinta su altre strade, e più precisamente su quelle dell'autoproduzione di farina di grano germogliato.
Perché di grano germogliato? Lo spiega benissimo la fantastica Roberta (che se non ci fosse, bisognerebbe inventarla) in questo post: "Quello che non sempre ci dicono, è che nelle farine integrali, [...] sono presenti anche dei cosiddetti "antinutrienti", cioè delle sostanze, per dirla in termini molto poveri, che rendono indisponibili per l'organismo i preziosi elementi nutritivi contenuti nel chicco. Con la germogliazione, il chicco rilascia i preziosi sali minerali contenuti al suo interno e allo stesso tempo aumenta il suo contenuto in vitamine e proteine. Non si eliminano completamente le sostanze antagoniste, ma sicuramente si ottiene una farina con un migliorato apporto nutritivo. Perché questo avvenga, è sufficiente procurarsi dei chicchi di grano biologico, ovviamente interi, non decorticati o trattati in alcun modo. Vanno bene tutti i grani, anche quelli antichi, la spelta, il farro, così come altri cereali. Si mettono in ammollo in acqua fredda per 12 o massimo 24 ore, avendo l'accortezza di scolarli, sciacquarli e cambiare l'acqua di ammollo almeno un paio di volte. Poi si mettono in un recipiente capace, un grande vaso di vetro coperto con una garza fissata con un elastico, e si attende che spuntino i germogli. Di solito bastano 48 ore. Bisognerà solo sciacquarli e scolarli bene ogni 12 ore. Alla fine si distendono sulla placca del forno e si lasciano asciugare a 40° C per una mezza giornata, aprendo il forno per lasciar uscire il vapore e scuotendoli di tanto in tanto. Ancora qualche ora o anche una notte ad asciugare all'aria e sono pronti per essere macinati. Ora, certo sarebbe meglio avere un piccolo mulino casalingo, ma per i primi esperimenti, può andar bene anche un macina caffè o un macina spezie."

A quanto scritto da Roberta aggiungo che l'antinutriente più importante è l'acido fìtico, che inibisce l'assorbimento delle sostanze nutritive in quanto lega a se' minerali importanti quali zinco, magnesio, ferro e calcio: la germinazione invece inibisce i fitati, impedendo loro di trasformarsi in acido fitico, e consente quindi all'organismo di assorbire tutti i preziosi sali minerali presenti nel prodotto finale.

Inoltre il grano (sia duro, sia tenero) da cui vengono ricavate le farine oggi, è geneticamente modificato per resistere agli attacchi della maggior parte degli insetti e perfino agli uragani: cosa volete che possa fare il nostro povero organismo, contro chicchi così resistenti? Le farine di grano quindi rallentano notevolmente il nostro metabolismo, e se come me si desidera perdere peso è meglio rivolgersi alla decisamente più digeribile farina di grano germogliato: la germinazione infatti rompe i legami più resistenti e trasforma l'amido - uno zucchero complesso - in maltosio, uno zucchero semplice, che fornisce facile nutrimento alla nuova pianta che sta per nascere. Il prodotto che si ottiene è pertanto molto più digeribile, e ricco di elementi nutritivi.

Attenzione però: se la germinazione ha come effetto quella di trasformare in zuccheri semplici quelli complessi, ne deriva che chi desidera perdere peso deve bloccare la germinazione non appena questa giunge allo stadio iniziale: quando infatti le radichette raggiungono i 2/3 della lunghezza del chicco, avremo il massimo di presenza di zucchero semplice (maltosio), con il minimo consumo da parte del germoglio. E' il cosiddetto malto, utilizzato nell'industria alimentare come dolcificante, in sostituzione dello zucchero (pensate anche alle fette biscottate al malto, o più semplicemente alla birra: quella bianca è prodotta con malto di frumento!).
Ai fini della produzione di una farina di grano germogliato non eccessivamente zuccherina, è pertanto indispensabile bloccare la germinazione non appena questa si è avviata. Osservate attentamente i chicchi di grano, e quando il germoglio compare passate subito all'essiccazione.

Il procedimento che ho seguito io è quindi leggermente diverso da quello di Roberta: vediamolo insieme.

giovedì 13 aprile 2017

Alkermes per la Giornata Nazionale di Caterina De' Medici


Il patrimonio gastronomico italiano, si sa, è immenso e travalica i confini del suolo italico.
L'esportazione non è avvenuta solo di recente nell'era della globalizzazione, ma risale a diversi secoli fa. Si pensi a Caterina De' Medici ad esempio, a cui oggi il Calendario del Cibo Italiano dedica una Giornata Nazionale.
Caterina aveva solo 14 anni quando andò in sposa a Enrico di Orléans, e sebbene il suo aspetto non l'avvantaggiasse - per diversi anni fu definita la grassa bottegaia fiorentina -  era dotata di un appetito robusto e di gusti molto raffinati. Ai tempi la Corte di Francia era molto sfarzosa ma alquanto rozza, e la nostra compatriota portò seco i cuochi e i pasticceri della Corte Fiorentina, fondando la "famosa cucina francese", che quindi ha origini prettamente italiane.
Non solo: fu la prima a dividere nella cucina i cibi salati da quelli dolci e a portare sulle tavole francesi la forchetta, che era in uso a Firenze già da lungo tempo (non per niente era ritenuta la città più raffinata, elegante e intellettuale d'Europa).


Tra le specialità fiorentine esportate da Caterina De' Medici troviamo l'Alkermes (o Alchermes),
un liquore di probabili origini arabe che, a quanto si narra, era prodotto con il nome di Elisir di lunga vita dalle suore fiorentine dell'Ordine di Santa Maria dei Servi, fondato nel 1233.
A fine Quattrocento si hanno notizie della sua preparazione da parte dei frati di Santa Maria Novella e dai Certosini, con il nome di Alkermes di Firenze o Rosolio. Nel giardino di Lorenzo il Magnifico era la bevanda più apprezzata durante le riunioni di scultori, pittori, poeti, ed era gustata sia dai pontefici De’ Medici (Leone X e Clemente VII), sia dalla regina Caterina, che ne portò la ricetta in Francia, dove divenne nota con il nome di Liquore de’ Medici.
Due secoli più tardi Frà Cosimo Bucelli, Direttore dell'Officina Erboristica di Santa Maria Novella, ne trascriverà la ricetta, gelosamente custodita fino ad oggi dai frati che lo producono.

Il nome di questo liquore speziato deriva dall'arabo al-qirmiz, che letteralmente significa "il verme" e che designa una varietà di cocciniglia che infesta il Coccus Bophica. Il corpo della cocciniglia essiccato e ridotto in polvere fornisce una sostanza rossa fortemente colorante, che da sempre viene impiegata nella preparazione del liquore.


Oltre alla cocciniglia in polvere, gli altri ingredienti di questo liquore sciropposo,  molto dolce e dalla gradazione alcolica che varia tra i 21 e i 32 gradi, sono alcool, zucchero, acqua di rose, scorza d'arancia, vaniglia e diverse spezie: cannella, coriandolo, macis, chiodi di garofano, fiori di anice e cardamomo.

Il metodo di preparazione è ancora quello artigianale, secondo la ricetta codificata dalla tradizione: le spezie sono messe a macerare in alcool per ottenere la cosiddetta tintura, a cui verranno aggiunti l'acqua distillata di rose, la scorza d'arancia (talvolta i fiori), lo zucchero e la tintura ottenuta con la cocciniglia. Il tutto viene mescolato e messo ad affinare in botti di rovere per circa sei mesi, quindi filtrato e imbottigliato.

L'Alchermes ha un impiego importante nella gastronomia e nella pasticceria toscana, come colorante e aromatizzante. E' usato ad esempio nella preparazione della mortadella di Prato e insaporisce le pesche di Prato, la zuppa inglese e il rotolo ripieno al cioccolato.