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Quando gli dei vogliono punirci, esaudiscono le nostre preghiere", diceva Oscar Wilde.
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Quando la Vitto vuole premiarci, esaudisce le nostre preghiere", rispondo io.
Sì, perché è da quando Vittoria ha vinto l'
MTChallenge n. 52 lo scorso novembre, che la Community la implora: zuppe, zuppe, vogliamo le zuppe!!! E zuppe sono state, anzi Zuppe con la Z maiuscola: perché se nell'immaginario collettivo la zuppa è un piatto noioso, tanto da dar vita a detti come "è la solita zuppa", "se non è zuppa è pan bagnato" e via dicendo, la nostra cucina in realtà (e pure quella di altri Paesi, come testimonia il
tema del mese di
questo MTC) vanta una grande tradizione di saporite zuppe, tutte degne di essere presenti nella carta dei ristoranti (e infatti lo sono).
La mia seconda proposta è una ricetta di tradizione, sì, ma non la mia: è una ricetta Tabarchina, tipica di Carloforte. Nella prima metà del 1500, un gruppo di corallatori genovesi ottenne infatti dall'Imperatore Carlo V la concessione di pesca nell'isola di Tabarca, al largo della Tunisia. Vi si insediarono e ci rimasero fino al 1770, ma già nel 1738 ci fu il primo esodo della comunità tabarchina, che si stabilì nell'isola di San Pietro, in Sardegna. Appena in tempo: nel 1740 i tunisini occuparono Tabarca e ridussero in schiavitù i coloni rimasti, che furono riscattati solo nel 1770 e poterono stabilirsi sull'isola di Sant'Antioco, sempre in Sardegna. Nel corso dei secoli però, le comunità tabarchine mantennero sempre vivi i rapporti con Genova, e infatti una caratteristica curiosa delle città di Calasetta e Carloforte è il fatto che dialetto, cucina e cultura sono molto simili a quelle genovesi.
La Bobba, o Suprema di fave secche, è una ricetta tabarchina, originata a Carloforte.
Ho trovato
qui la ricetta scritta in dialetto carlofortino, tanto simile a quello genovese, e ve la trascrivo:
A bobba
A l'è 'na meneshtra de fòve secche.
Pè 'na nötte mettè a bagnu inté l'ègua abbundante,
mezu kilò de föve a shciappe sensa shcorse.
U giurnu doppu, shcuèai ben, mettèai inté 'na pignatta
pin-a dègua e féai cöje a fögu lentu.
A maité cuttüa azzunzèghe duì shpighi d'aggiu e a piajài:
in busciucchettu, du sellau e de ravanèe taggé suttì, suttì.
Cundì quindi cun öiu d'oviva.
Rumescè ben e purtè a cuttüa.
Quande a menèshtra a l'è bella cremusa, ma nu densa,
servîa cuà pashta oppüre cun fettin-e de pan brishcau.
La ricetta che ho seguito io però è quella riportata da
Sergio Rossi nel suo libro
La cucina dei Tabarchini edito da Sagep. A sua volta, Sergio l'ha avuta dal ristorante
Da Andrea, Osteria della tonnara di Carloforte.
Il nome non è né bello, né evocativo e confesso di essere stata tentata di invertire i due nomi e intitolare il post
Suprema di fave secche (Bobba). Sarebbe stato vigliacco però, e un tradimento della tradizione, e allora... io la chiamo Bobba e soprattutto me la mangio. E voi?