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venerdì 9 marzo 2012

Challah, un pane della Madonna!


Donne (St)raordinarie: è questo il titolo del nuovo, entusiasmante progetto delle (st)renne, legato tra l’altro al contest di Stefania Le (St)renne gluten-free, che vede voi impegnati a interpretare lo stesso tema delle (St)renne in chiave gluten-free, e noi in veste di giudici. Le 5 vincitrici del contest di marzo saranno incor(o)nate (St)renne per un mese, e parteciperanno al nostro prossimo progetto nonché a tutto il backstage ad esso legato; tra tutte le vincitrici di ogni mese (da settembre 2011 a giugno 2012) sarà estratto un nominativo che vincerà un week-end per due persone al Baglio Costa di Mandorla di Paceco (TP), sulla via del sale e del vino.
Donne (St)raordinarie dicevamo, e il tema è piuttosto ampio: potete scegliere un’attrice, una scienziata, una donna politica, il personaggio di un romanzo, l’autrice di un libro (anche di cucina!)… Condizione necessaria e sufficiente: che sia una donna famosa (niente mamme, zie e nonne please, lasciamo gli Avi ad Anna di Masterchef!) e che sia chiaro il legame tra la donna e la ricetta. 
Per avere qualche esempio e cominciare a macinare qualche idea basta guardare le proposte di noi (St)renne nel corso di queste prime 3 settimane di marzo (Ale e Dani il lunedì, Annalù e Fabio il martedì, Stefania il mercoledì, Flavia il giovedì e io il venerdì), e quelle delle (St)renne per un mese che pubblicheranno la quarta settimana del mese (Mai, Eleonora, Greta, Patty e Gaia).
Forza allora! Spremete le meningi e partecipate numerosi!
E adesso parliamo della prima Donna (St)raordinaria a cui dedicherò post e ricetta: Maria di Nazaret.

Non è facile scrivere di Maria di Nazaret, la Madre di Gesù: della sua vita infatti si conoscono pochi fatti essenziali, mentre sul piano teologico e devozionale di lei si è scritto tantissimo. Eppure in questa celebrazione delle Donne (St)raordinarie non posso fare a meno di dedicare a Lei il mio primo post e la mia prima ricetta.
La prima menzione di Maria nei Vangeli è contestuale all’Annunciazione, di cui tra poco ricorre la festa: l’Arcangelo Gabriele appare a una vergine, promessa sposa di Giuseppe, discendente dalla nobile stirpe di Davide, per annunciarle che sarà la madre del Messia. Associata fin dall’inizio alla storia della Salvezza, Maria con il suo umile fa esattamente quello che farà il suo Figlio: assumerà la condizione umana in tutto fuorché nel peccato. Così, mentre Lui vive lo stato del profugo al tempo di Erode, la povertà, il lavoro, la persecuzione, l’ingiusta prigionia, la liberazione al suo posto di un noto ladro e assassino e la morte infamante in croce, lei assume su di se’ la condizione delle ragazze-madri e rischia fin dall’inizio di essere ripudiata dal suo promesso sposo.
La dignità di Maria è tutta in quell’umile e fiducioso al disegno di Dio su di lei, ma la sua grande umiltà (umile e alta più che creatura, dice Dante) non le impedisce di prendere parte attiva nella missione del Figlio: il primo miracolo di Gesù, la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana, avviene proprio perché lei gli forza la mano: accortasi che è terminato il vino, sommo disonore per chi invita, si rivolge direttamente al Figlio con una constatazione (non hanno più vino) che è insieme una richiesta di aiuto; e quando questi un po’ seccato le chiede che cosa vuole che ci faccia (che ho da fare con te, o donna?), lei lo mette alle strette: si rivolge ai servi dicendo loro “fate quello che vi dirà” e lo costringe ad agire.
Donna Ebrea osservante, la sua vita si svolge tra le mura di casa e le botteghe del villaggio, ma con grande discrezione accompagna il Figlio durante tutta la sua missione: lo “costringe” a fare il primo miracolo, è con Lui ai piedi della croce e si trova insieme ai Discepoli nel corso della Sua prima apparizione al cenacolo, dopo la resurrezione.

Sfortunatamente per noi foodblogger le ricette di Maria non ci sono pervenute: ve lo immaginate il ricettario della Madonna? 😇 Sappiamo  però per certo che in occasione della Presentazione di Gesù al Tempio preparò pani e focacce per l’offerta rituale.
Uno dei pani della festa tipicamente ebraici è proprio la Challah, un pane ebraico ricco (contiene infatti uova), oggi diremmo un pan-brioche, tradizionalmente consumato in occasione dello Shabbat e di altre feste (tranne Pesach, che richiede un pane azzimo).


dettagli
Anticamente le donne Ebree ogni volta che facevano il pane mettevano da parte un pezzetto di impasto, chiamato challah, per il Sacerdote (kohen) del Tempio. In seguito alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, avvenuta nel 70 dopo Cristo, il pezzetto di impasto veniva bruciato, a ricordo della porzione destinata al Sacerdote.


Nel tempo il termine challah ha preso a designare l'intero pane più che un pezzetto di impasto, e l'abilità nell'intrecciare si è riversata in questa preparazione, molto semplice e squisita. Si va dalla splendida e complessa treccia a 6 capi, agli intrecci più semplici con 2 capi, che sono quelli che ho realizzato io.
La ricetta che ho scelto è tratta dallo splendido libro di Jeffrey Hamelman, e benché di sicuro non sia la ricetta autentica di Maria, sono certa che Lei lo apprezzerà lo stesso. A casa mia è piaciuta parecchio.

lunedì 13 febbraio 2012

Tigelle integrali ai 6 cereali con pâté di pomodori secchi


Lo so, lo so, non si chiamano tigelle ma crescentine: tigella è il nome della speciale padella pressofusa nella quale si cuociono. I modenesi D.O.C. hanno tutti i diritti di
indignarsi, ma per il resto del mondo quelle deliziose focaccine sono identificate come tigelle ed è per questo che ho scientemente adottato il nome della pentola anziché quello della preparazione.


Da oggi si possono cominciare a pubblicare le ricette dell'MTChallenge di febbraio che vede il pâté come oggetto della sfida, lanciata dalla strepitosa Bucci che ha vinto meritatamente l'edizione di gennaio. 



Ieri mattina, mentre mi stiracchiavo pigramente godendomi la mattinata domenicale a letto, mi è venuto in mente un pâté semplicissimo, quello di pomodori secchi: semplice e gustoso, ma sarà considerato un pâté a tutti gli effetti dalle rigorose giudici dell'MTC? Non ne ho idea, ma non appena l'idea mi è venuta sono balzata dal letto (erano le 7.15 del mattino) e mi sono data da fare. 
E quale migliore modo di accompagnare questo rustico pâté, di un'infornata (anzi, una tigellata) di crescentine integrali? Ed ecco qui la mia prima proposta per l'MTC, che potrebbe anche finire fuori gara ma non importa: a casa mia non è rimasta più nemmeno una briciola di quanto preparato... ^_^

lunedì 19 dicembre 2011

Pane al salmone affumicato ed erbe aromatiche



Quando faccio le cose, mi piace farle bene. 
Prendiamo il gioco con i miei nipotini, per esempio: quando si gioca con i bambini occorre fare sul serio, esserci al 100%, perché loro si accorgono subito se stai veramente

venerdì 14 ottobre 2011

Impastare il pane a mano

I dialoghi tra me e mia sorella sono talvolta surreali. Noi due ci capiamo benissimo perché conosciamo gli antefatti, quindi per noi è normale cominciare un discorso da dove lo avevamo interrotto la volta precedente, ma talvolta gli astanti restano esterrefatti quando ci sentono parlare. 

E' quello che è successo alla signora seduta accanto a me in metropolitana il mese scorso, quando mi ha visto chiudere il libro che stavo leggendo, tirare fuori il cellulare e, dopo i convenevoli di rito, mi ha sentito dire: "Senti, non è che sabato mi presteresti tuo marito, che lo devo portare in discarica?"
La poveretta ha strabuzzato gli occhi e si è voltata verso di me sbalordita e io stupidamente, rendendomi a quel punto conto dell'effetto che quella strana conversazione poteva avere presso il grande pubblico, ho pensato bene di chiarire ciò che tra me e mia sorella era ovvio: "Cioè, lui deve portare me in discarica!".
La signora ha scosso mestamente il capo e si è rituffata nella lettura da cui la mia malaugurata frase l'aveva distolta e io mi sono trovata a ridere da sola come una cretina, mentre mia sorella consultava la tabella di marcia familiare per ritagliare una mezz'oretta a me e suo marito, in discarica. Quello che abbiamo fatto una volta giunti lì ve lo lascio solo immaginare. 😂

Il post di oggi è puramente didattico e non è nemmeno recente: l'avevo scritto infatti nel 2005 per un forum, con foto passo-passo fatte con la digitale compatta che avevo allora. Si tratta di una lezione sull'impasto a mano del pane, così come l'ho appreso dalle mitiche Sorelle Simili al corso sulla panificazione che mi sono regalata per un compleanno.
Non dò quindi una ricetta di pane precisa, ma le indicazioni su come eseguire a regola d'arte un impasto a mano, qualunque sia la nostra ricetta di partenza.

Avvertenza che dopo l'aneddoto sulla discarica ritengo necessaria: non ho impastato il pane sul pavimento di casa, è il mio asse per impastare che è stato fatto con listelli avanzati da un parquet. 😀

mercoledì 5 ottobre 2011

Pane ai 5 cereali (sorelle Simili)

Chi mi ha letto nei fora di cucina nel corso degli anni passati sa che le mie grandi passioni sono due: il pane con lievito madre e le marmellate. 


mercoledì 7 settembre 2011

La focaccia... secondo me



Il segreto per la riuscita di una buona focaccia secondo me sta nell'idratazione dell'impasto; a questa concorrono sia i liquidi inseriti nell'impasto (60% del peso della farina), sia soprattutto l'emulsione acqua-olio che vi si versa sopra e che è assolutamente fondamentale se vogliamo che la cottura risulti perfetta, dandoci una focaccia perfettamente dorata sopra, ma bianca sotto.

Lo spessore dipende da noi: possiamo stendere poco impasto per ottenere una focaccia sottile come quella genovese come ho fatto oggi, oppure possiamo stendere una quantità maggiore di impasto e ottenere una bella focaccia soffice, come ho fatto quando ho preparato la focaccia ai fiori di zucchina

Il metodo dell'impasto indiretto con pochissimo lievito di birra infine garantisce un prodotto molto più digeribile, che non gonfia lo stomaco.

LA FOCACCIA DI MAPI


1 kg farina 0
530 g acqua
70 g olio extravergine di oliva
20 g sale fino
1 cucchiaino colmo di malto d'orzo (oppure 1 cucchiaio di zucchero semolato)
5 g lievito di birra fresco

Per l'emulsione:
300 g acqua a 27 °C
300 g olio extravergine di oliva
sale grosso
altro olio extravergine di oliva per spennellare

Preparare il lievitino: prelevare 5 g di lievito di birra da un panetto da 25 g, di quelli che si vendono al supermercato. Io faccio così: traccio con il coltello delle tacche che dividano il panetto in 5 parti uguali, e poi taglio il segmento che mi serve. Non è necessario pesare, 4,5 oppure 5,5 grammi non fanno certo la differenza. 
Sciogliere il lievito in 60 g di acqua prelevata dal totale, insieme al malto (o zucchero). Aggiungervi 100 g di farina prelevata dal totale e impastare. Mettere la pallina di impasto preparata in una ciotola, sigillare con pellicola e far lievitare in luogo tiepido (max 30 °C) per un'oretta o finché non avrà raddoppiato di volume.

Setacciare la restante farina un paio di volte per ossigenarla e disporla a fontana sulla spianatoia (oppure metterla nella ciotola dell'impastatrice ^_^). Mettere al centro il lievitino a pezzi, versare acqua, olio e sale e impastare fino ad ottenere un impasto tenero ma non appiccicoso. Siccome la parola d'ordine qui è idratazione, non aggiungere assolutamente altra farina: piuttosto battere l'impasto sulla spianatoia per 3-4 volte per dargli nerbo, durante la fase di impasto.

Se si usa l'impastatrice, avviare la macchina con la frusta a gancio a velocità 1 e lavorare per 5 minuti circa, finché l'impasto si incorda (=rimane attaccato al gancio e si stacca agevolmente dalle pareti della ciotola).

Ungere leggermente la palla di impasto e metterla a lievitare in una ciotola capace, possibilmente dal fondo stretto (non so perché, ma il fondo stretto dà una spinta all'impasto, mentre quello largo lo fa "adagiare"; questa mia impressione è stata confermata anche dalle sorelle Simili al corso che ho fatto con loro nel lontano 2004), sigillare con pellicola (oppure coprire con uno strofinaccio) e far lievitare in luogo tiepido a 28-30 °C, al riparo da correnti d'aria, fino a quando l'impasto non sia più che raddoppiato. 

I tempi sono difficili da calcolare, in quanto dipendono da parecchi fattori; con il caldo estivo basta un'ora o poco più, in inverno calcolare anche un'ora e mezza-due. 
Per verificare a che punto è la lievitazione, fate la prova-dito: affondate un dito nell'impasto per 2-3 cm e osservate la fossetta che si è formata. Se la fossa rimane tale e quale l'impasto è pronto per le fasi successive della lavorazione; se tende a sanarsi risalendo su, l'impasto deve ancora lievitare; infine se la fossetta rimane giù ma l'impasto si sgonfia, vuol dire che è passato di lievitazione. In quest'ultimo caso occorrrerà recuperarlo pesandolo, aggiungendovi almeno il 10% del suo peso in farina (ma un 20-30% è meglio) e acqua per il 60% del peso della farina; impastare, far riposare per 10-15 minuti, poi passare alle fasi successive della lavorazione.

Quando l'impasto sarà lievitato metterlo sulla spianatoia, lavorarlo brevemente (2-3 minuti sono più che sufficienti), farlo riposare per 10-15 minuti per allentare la presa del glutine e passare alla stesura in teglia. 
Per ottenere una focaccia sottile come quella della foto io ho proceduto così: ho suddiviso l'impasto in 3 parti uguali e l'ho steso in altrettante teglie di cm 40x30, rivestite di carta forno. Ungere leggermente l'impasto per facilitarne la stesura, metterlo al centro della teglia e stenderlo delicatamente con le mani (MAI usare il mattarello!!!). Quando l'impasto comincia a "tornare indietro" smettere (si strapperebbero le maglie di glutine e si comprometterebbe la seconda lievitazione) e farlo riposare per 5 minuti, poi riprendere la stesura fino a quando non si sia ricoperta l'intera superficie della teglia; lo spessore dell'impasto sarà di circa mezzo cm. Procedere allo stesso modo con le altre 2 teglie.
Coprire le teglie con un canovaccio e far lievitare in luogo tiepido e al riparo da correnti d'aria per 15-20 minuti. 

Trascorso questo tempo praticare le fossette con i polpastrelli, premendo fino al fondo della teglia.

Preparare l'emulsione: per essere più precisa io preparo 3 emulsioni distinte, una per ogni teglia, usando 100 g di acqua e 100 g di olio extravergine di oliva per ciascuna. Tenere presente che se si usa la leccarda del forno ci vorrà più emulsione (almeno 150 g + 150 g), mentre una teglia più piccola ne richiederà un po' meno. E' importante che la focaccia sia immersa nel liquido; non preoccupatevi, lo assorbirà durante la cottura. 

Dunque dicevo, emulsionare acqua e olio e versarli sulla focaccia in cui avevamo appena praticato le fossette. Distribuirvi sopra uniformemente il sale grosso. Far lievitare per altri 10-15 minuti e nel frattempo riscaldare il forno a 230 °C.

Infornare le teglie di focaccia, una alla volta, e farle cuocere per 25 minuti circa, finché la superficie non risulterà ben dorata, mentre il fondo deve rimanere chiaro. 



Non preoccupatevi se le altre due focacce continuano a lievitare mentre la prima cuoce: rimarranno comunque sufficientemente sottili.

Togliere dal forno, spennellare con un altro po' di olio, tagliare e servire.


E se vogliamo congelare l'impasto per una futura occasione e cuocerlo successivamente, per avere una focaccia fresca e fragrante? In questo caso dopo aver steso la focaccia sulla teglia, copriamola con pellicola e congeliamola (le teglie di cm 40x30 sono perfette per il mio freezer, ci entrano tranquillamente). Passarle dal freezer al frigo per 12 ore, poi tenerle a temperatura ambiente per un'oretta, praticare le fossette, versarvi sopra l'emulsione e il sale, far riposare altri 10-15 minuti, infornare et voilà.

lunedì 2 maggio 2011

Crackers al cacao e il pdf delle (st)Renne sul riciclo delle uova di Pasqua!


Oggi amici cari, ho ben 3 cose da dirvi.

La prima è che è pronto il pdf delle (st)Renne che riunisce 30 ricette golose tutte a base di cioccolato da cui attingere per riciclare le uova di Pasqua dei vostri bambini. Lo potete scaricare qui e noi (st)Renne ci auguriamo che dopo averlo mangiato con gli occhi proverete qualcuna delle ricette che da metà marzo abbiamo cominciato a proporvi. 
Il progetto è stato molto interessante e impegnativo, e con Ale&Dani, AnnaLù&Fabio, Stefania e Flavia ci siamo divertiti parecchio, anche perché nel bel mezzo ci è capitata l'Operazione ChocFinger che ha coinvolto molti di voi (e a proposito, GRAZIE!!!) :-D.  

La seconda... la seconda...
Amici cari, non so come dirvelo, ma dirvelo devo.
Lo sapevo già da una decina di giorni ma ho aspettato che fossero celebrate le nozze di William e Kate prima di comunicarvelo, perché non volevo rubare la scena alla Coppia Reale, cosa che sarebbe inevitabilmente successa se la ferale notizia fosse trapelata: non era giusto nei confronti della povera Kate, che ha dovuto superare parecchi ostacoli prima del sospirato YES.

Questo matrimonio, annunciato ufficialmente soltanto ieri, è stato sciolto per giusta causa (si dice così?).
Quello tra me e Paul A., intendo.
E' emerso infatti un impedimento grave, di quelli assolutamente insormontabili, indirimibili o come altro si dice.
Quale? vi domanderete voi. Osservatelo mentre sfata alcuni miti sul cioccolato.

Notato niente?
Appunto.
Ora, mentre il ragazzo è liberissimo di disporre di se' come meglio crede e non sarò certamente io a fargli la morale, converrete con me che la scoperta ha innegabilmente un effetto devastante sull'autostima di una donna. E' per questo che ho generosamente :-D deciso di liberarlo da un legame che, mi rendo conto, per lui sarebbe davvero soverchiante e rischierebbe di offuscare il suo notevole genio creativo.
A dire il vero la prima cosa che ho pensato è stata che solo io potevo, a scatola chiusa e sulla fiducia, decidere di sposare un uomo, come dire, un po' delicato. Probabilmente è un segno del fatto che ho fatto bene a non sposarmi. O forse è esattamente il motivo per cui non mi sono mai sposata; :-D fatto sta che, come anticipato ieri da Ale, lo sposo è il più felice di tutti (quando si dice beata ignoranza! ^_^), e tale vogliamo che rimanga.

In ogni modo Paul A. ha avuto il merito non indifferente di aprirmi nuovi orizzonti sul cioccolato, cosa che francamente non credevo possibile perché devo ammettere che, pur piacendomi, il cioccolato non mi ha mai fatto impazzire.

Per dimostrare a lui e a voi che non gliene voglio - e questa è la terza cosa che volevo dirvi - oggi vi propongo un'altra delle sue ricette che, manco a dirlo, è deliziosa.
A pagina 47 di Avventure al Cioccolato ci s'imbatte in questi raffinati cracker, perfetti per accompagnare i formaggi erborinati, ma anche quelli di capra o a pasta dura.
Possono essere aromatizzati con le erbe aromatiche che si preferiscono: Paul A. suggerisce semi di finocchio, cumino, pepe nero e peperoncino, ma dice anche di lasciare aperta la porta della fantasia e scatenare le papille gustative.

mercoledì 20 aprile 2011

Pane integrale alla birra

Il flash mi è venuto sabato sera, mentre mi truccavo per uscire: stavo applicando il correttore, ho sentito l'odore di cipolla sulle mie mani e all'improvviso mi sono rivista a 22 anni mentre affettavo una cipolla tenendola cautamente con la punta delle unghie per evitare che il persistente odore mi appestasse le mani. Mia madre rideva e mi prendeva in giro, ma per me quella era una cosa molto seria: non volevo certo che il fidanzato del momento fuggisse a gambe levate per colpa di una stupida cipolla!!! Dopo quell'episodio mi sono evoluta e per un po' di anni ho indossato i guanti di lattice per maneggiare le cipolle, e sabato sera ripensando a quelle manovre ho sorriso: i fidanzati susseguitisi in quegli anni sono un lontano ricordo, e l'odore di cipolla sulle mani non turba più i miei sonni, al massimo ci bevo su un buon bicchiere di birra.
E già che ho la birra in mano aspetta, che tiro fuori farina e lievito e preparo un ottimo

PANE INTEGRALE ALLA BIRRA

Da N. Negri - Fare il pane - Mondadori


350 g farina 0 o di forza
150 g farina di segale
100 g farina integrale
5 g lievito di birra fresco
330 ml birra  
1 cucchiaio malto d'orzo
1 cucchiaio miele di castagno
30 g strutto
2 cucchiaini scarsi da tè di sale
olio extravergine di oliva

Facoltativo: altra birra e semi a piacere per rifinire

Sbriciolare il lievito e versarlo in una ciotola insieme al malto e al miele. Diluire con la birra e mescolare fino a sciogliere il tutto.
Setacciare la farina sulla spianatoia, formare la fontana, versare al centro la soluzione lievitante e incorporare la farina fino a terminarla, quindi aggiungere lo strutto e il sale. Impastare energicamente per 10 minuti almeno, arrotolando e sbattendo la massa, ma cosiderando che dovrà rimanere piuttosto appiccicosa.
Se fosse troppo umida, coprire a campana con una ciotola e aspettare 10 minuti, per dar modo alla crusca di assorbire bene i liquidi. Riprendere la lavorazione dell'impasto e solo se risultasse davvero troppo umido, aggiungere con molta parsimonia altra farina bianca.
Al contrario, se l’impasto risultasse troppo asciutto, diluire con 1 cucchiaio di birra (o anche acqua) alla volta.
Continuare a lavorare l’impasto per renderlo elastico, aiutandosi all’inizio con una spatola. Trasferirlo in una terrina dai bordi molto alti e ungerne tutta la superficie con olio extravergine di oliva.
Sigillare con la pellicola e lasciar riposare per almeno 8 ore, fino al raddoppio dell’impasto.

Riprendere la massa e sgonfiarla. Formare una pagnotta e metterla in una ciotola infarinata, coprirla con carta da forno bagnata e strizzata e lasciarla lievitare per altre 2 ore o fino a quando raddoppia di volume.
Preriscaldare il forno a 200 °C e rivestire la placca con carta da forno.
Rovesciare delicatamente il pane sulla placca e spennellare la superficie con altra birra e cospargere di semi a piacere (io non l'ho fatto).
Far cuocere per 35-40 minuti o fino a quando il pane avrà assunto un bel colore dorato. Sformarlo e metterlo a raffreddare su una gratella.

lunedì 14 febbraio 2011

Pancarré allo yogurt



Il week-end appena trascorso è stato caratterizzato per me da un attacco di emicrania dei miei, da cui non mi sono purtroppo ancora ripresa.
Il lato positivo di questi attacchi però, è che mi costringono a dedicarmi ad attività che sviluppino calore, visto che questo è l'unico fattore in grado di attenuare il dolore.
Questo significa che ho smaltito la pila di panni da stirare e poi, alla ricerca di altro calore, ho pensato bene di preparare un bel pancarré, perfetto per la colazione mattutina insieme alla marmellata.

La ricetta da cui sono partita è una delle più versatili che conosca, quella dei cornetti allo yogurt di Anna Calonaci, vecchia firma del forum della Cucina Italiana.
Mi è bastato dimezzare la quantità di zucchero e di lievito di birra (io preferisco sempre usare poco lievito di birra) e variare un pochino il procedimento, per ottenere un pancarré squisito. Se si desidera preparare un pan brioche, basta aumentare la quantità di zucchero a un cucchiaio.

Ho poi la fortuna di possedere una caccavella artigianale meravigliosa, il tagliafette perfette realizzato dalle manine sante di Giorgio, marito di Valeria e unico uomo che, nato libero da vincoli, si è trovato a un certo punto con una Verza sul groppone che gli ha ispirato degli involtini deliziosi. :-)

Dedico a lui e a Valeria questo delizioso

PANCARRE' ALLO YOGURT
di Anna Calonaci - Monteriggioni (SI)



 500 g di farina 0  (o 250 manitoba + 250 0),
12 g di lievito di birra, pari a 1/2 cubetto (meglio ancora usare 1/4 di cubetto)
1 cucchiaino di zucchero oppure di malto d'orzo,
80 g di acqua,
30 g di burro morbido a pezzetti,
250 g di yogurt naturale a temperatura ambiente,
8 g di sale.

 

Mescolare l'acqua, lo yogurt e lo zucchero o malto e sciogliervi il lievito di birra. Aggiungere la farina e il sale e impastare fino a che l'impasto non diventa liscio ed elastico. Aggiungere il burro e lavorare ancora: l'impasto deve essere tenero ma non appiccicoso.
Coprire e fare lievitare in luogo tiepido per circa un'ora e mezza-due ore (in estate anche solo un'ora).

Riprendere l'impasto e lavorarlo brevemente, poi stenderlo sull'asse spolverato di farina ottenendo un rettangolo lungo quanto lo stampo e largo circa il triplo della larghezza dello stampo (il mio stampo è largo 10 cm, quindi ho ricavato un rettangolo di pasta lungo come lo stampo e largo 30 cm circa).
Arrotolarlo dal lato lungo e depositare il rotolo, con la falda verso il basso, nello stampo da pancarré ben imburrato. Chiudere il coperchio (imburrato anch'esso) e mettere a lievitare per un'oretta. 
Accendere il forno a 200 °C e infornare il pancarré per 50 minuti.

Per ottenere la crosticina morbida tipica del pancarré toglierlo subito dallo stampo, avvolgerlo in un canovaccio da cucina pulitissimo e infilarlo in un sacchetto di plastica. Lasciarlo raffreddare completamente, anche per tutta la notte, poi affettarlo.

Dato l'alto tasso di umidità e l'assenza di conservanti, conviene suddividere le fette in porzioni per il consumo familiare e congelarle, diversamente rischia di ammuffire dopo qualche giorno.



mercoledì 24 novembre 2010

Micro hamburger di pollo, limone e senape



Ieri sera chiacchierando con un'amica mi è tornato in mente un episodio occorsomi qualche mese fa. Avevo fatto un interessante corso su stoccafisso e baccalà con lo Chef Danilo Angè nella sede di Medagliani, il mio caccavellaro di fiducia. Praticamente tutte le ricette richiedevano di spinare il baccalà dopo averlo ammollato, e per farlo occorrono le apposite pinze: le lische infatti sono saldamente ancorate alle carni del pesce (sembra quasi un ossimoro!) compattate dalla salagione, ed è particolarmente difficile procedere senza pinze. Così nel corso di una delle mie incursioni da Medagliani ho chiesto dove le tenessero. Me ne sono stati presentati diversi modelli, nella penombra del magazzino, e io ne ho scelto uno più o meno a caso.
Quando sono tornata a casa e ho scorso con orgoglio i miei acquisti, ho notato che su un lato delle pinze c'era l'incisione di una fragolina. Oh, no!!! Tra tutte le pinze presentatemi avevo scelto un depicciolatore per fragole!!!! OK, l'attrezzo sarebbe stato utilizzato propriamente (già che avevo un depicciolatore per fragole e che era giusto la stagione delle fragole...) e impropriamente, come pinza per diliscare il pesce.

La cosa sarebbe potuta finire lì, ma... ma io non ho voluto che finisse lì. :-D
Dovete sapere che ho una cara amica che mi dice da anni di fare testamento (giuro che lei e Alessandra non si conoscono! :-D ) e un giorno che non avevo niente di meglio da fare, ho aperto un bel file e cominciato a redigere un bel testamento olografo.
Si dà anche il caso che qualche tempo prima mia madre e mia sorella mi avessero preso in giro per la mia caccavellaritas, citando in particolare il depicciolatore per fragole e il denocciolatore per ciliegie (che è diverso dal denocciolatore di olive, sia chiaro). Ricordarmi questo e aggiungere un paio di postille al mio testamento è stato tutt'uno: a mia madre ho "lasciato" il denocciolatore per ciliegie, e a mia sorella il depicciolatore per fragole. 
E poi non si venga a dirmi che non sono generosa.  


mercoledì 17 novembre 2010

Panini alla birra scura e la fermentazione della birra


LA FERMENTAZIONE DELLA BIRRA



Il processo di fermentazione è fondamentale nella produzione della birra e avviene mediante il lievito, detto per l'appunto lievito di birra.
Si fa presto a dire lievito però: quale lievito? Anticamente il processo si innescava spontaneamente, grazie alle spore di lievito presenti nell’aria. Questo naturalmente comportava una serie di problemi, perché oltre ai lieviti nell’aria sono presenti altri microorganismi e non tutti sono “beer -friendly”, il che comportava la perdita di centinaia di ettolitri di prodotto.

Attualmente le birre a fermentazione spontanea vengono prodotte solo a Bruxelles in un’area estremamente circoscritta, dove l’aria è ricca di fermenti acetici, fermenti lattici e soprattutto di un lievito spontaneo che non si trova altrove, il Brettanomyces Bruxellensis. Il mosto viene prima portato a ebollizione e poi pompato in una vasca di raffreddamento che si trova appena sotto al soffitto della birreria. Qui viene lasciata esposta all’aria per un certo numero di ore, prima di venire trasferita in fusti di legno dove maturerà lentamente per mesi o addirittura per anni, dipende dal prodotto che il Mastro Birraio desidera ottenere.


Abbiamo poi le birre a bassa fermentazione, prodotte con ceppi di lievito che sono attivi a basse temperature (6-12 °C). Come accennato nel capitolo sugli ingredienti della birra, i lieviti attivi a basse temperature hanno la caratteristica di depositarsi sul fondo della vasca di fermentazione in quanto a differenza di quelli che lavorano ad alte temperature, non si aggregano tra di loro ma rimangono separate. La fermentazione avviene in 7 giorni circa.


Le birre ad alta fermentazione utilizzano ceppi di lievito che lavorano bene a temperature elevate (15-25 °C). Nel corso della fermentazione i lieviti si nutrono degli zuccheri fermentescibili contenuti nel mosto e si moltiplicano. I residui dell’attività enzimatica dei lieviti contribuiscono a costruire l’aroma del prodotto finito; tra essi vi sono l’anidride carbonica, responsabile della frizzantezza della birra, e l’alcool, che le dà corpo. I lieviti da alta fermentazione moltiplicandosi si aggregano tra di loro, formando una sorta di patina schiumosa. Le bolle di anidride carbonica portano questa patina in superficie e ve la mantengono, proteggendo quindi un poco il mosto dai microorganismi esterni.
I lieviti da alta fermentazione agiscono velocemente, e dopo circa 5 giorni la fermentazione del mosto è completata e si può passare alle successive fasi di lavorazione.


Alcune birre ad alta fermentazione subiscono successivamente un processo di rifermentazione in bottiglia: al momento di imbottigliare, si aggiunge alla birra (che può essere filtrata o no) una certa quantità di zucchero e talvolta anche un supplemento di lievito. Le bottiglie così prodotte vengono poi collocate in un locale apposito, dalla temperatura costante di 25 °C, per una decina di giorni, nel corso dei quali lo zucchero fermenta aumentando il tenore alcolico della bevanda, mentre i lieviti si depositano sul fondo. Non di rado sull'etichetta di queste birre leggiamo "bière sur lie", letteralmente "birre su feccia" (la feccia è il deposito e solo con l'uso colloquiale del suo senso lato ha assunto un'accezione negativa), ad indicare il fatto che sul fondo della bottiglia deve esserci un deposito. Al momento di servirle, queste birre necessitano di un trattamento particolare: si versa quasi tutto il contenuto della bottiglia nel bicchiere lasciando circa 2 dita di prodotto, poi si muove circolarmente la bottiglia (un po’ come si fa con i bicchieri di vino) per mandare in soluzione il lievito e infine si versa quest’ultima sorsata nel bicchiere, andando a distribuire omogeneamente il lievito in tutta la bevanda che ci stiamo apprestando a consumare.

E adesso passiamo alla ricetta del giorno:
 
 


Panini alla birra scura
da Alice Cucina, novembre 2010


500 g farina 0
12,5 g lievito di birra fresco (mezzo cubetto)
330 ml birra scura (io ho usato una Guinness)
8 g sale
5 g malto d'orzo
25 g burro


Per la glassa:
125 ml birra scura
70 g farina di segale
1 pizzico di sale


Disporre la farina sulla spianatoia, praticare una fossa al centro e sbriciolarvi il lievito.
Versarvi la birra e il malto e cominciare ad impastare. Aggiungere il sale e il burro e proseguire a lavorare per una decina di minuti, fino ad ottenere un impasto tenero, ma non appiccicoso. Se necessario, afferrare la palla di impasto e sbatterla due o tre volte energicamente sul piano di lavoro, per darle nerbo.
Mettere l'impasto a lievitare in una ciotola coperta di pellicola trasparente per un'ora circa.
Trascorso questo tempo rovesciarlo sulla spianatoia, lavorarlo per altri 5 minuti e suddividerlo in panini (la rivista dice panini di 40 g, io ho raddoppiato la pezzatura).
Disporli a lievitare sulla placca ricoperta di carta forno, coprirli con un foglio di pellicola e lasciare in luogo tiepido al riparo da correnti d'aria per 40 minuti.
Nel frattempo preparare la glassa: setacciare la farina di segale e il sale e aggiungervi la birra, mescolando con una frusta perché non si formino grumi.
Quando i panini sono lievitati versare su ciascuno di essi una o due belle cucchiaiate di glassa, in modo da ricoprirli. Spolverare leggermente con altra farina di segale e infornare a 200 °C a metà del forno per 25 minuti circa.
Tirare fuori i panini dal forno e bussare sul fondo con le nocche: dovrebbe suonare vuoto. Se suona pieno toglierli dalla placca, passarli sulla griglia del forno posizionata verso il fondo del forno (2^ tacca), abbassare la temperatura a 180 °C e proseguire la cottura per altri 10 minuti.

NOTE:

Impasto: la rivista consiglia di usare birra ristretta al 60%, fatta ridurre sul fuoco a una temperatura di circa 30 °C. Io credo che ci sia un errore di stampa: non so cosa avvenga sui fuochi di casa vostra (e in quelli della cucina di Alice), ma a casa mia la temperatura di 30 °C viene raggiunta in un picosecondo e superata altrettanto velocemente. In ogni caso, dal momento che l'alcool è un sottoprodotto della fermentazione e non è quindi estraneo all'impasto del pane, e dal momento che evapora tutto in cottura, io ho usato la birra tale e quale, senza ridurre nulla.


Glassa: la ricetta originale prevede anche un nonnulla di lievito nella glassa. Siccome la funzione della glassa è quella di dare un aspetto craquelé al pane, tanto più che non la si fa riposare, a mio avviso il lievito è completamente inutile, pertanto l'ho omesso.


giovedì 28 ottobre 2010

Lievito Madre: ricominciamo da zero!

Probabilmente qualcuno si stava chiedendo quanto tempo sarebbe passato prima che cominciassi a parlarne: chi mi conosce appena un po' sa infatti che la mia unica, vera, autentica passione in cucina è proprio lui: il lievito madre!!! 
Il mio primissimo intervento sul forum di C.I. 6 anni fa infatti è stata proprio la richiesta di imparare a preparare questo prezioso lievito.


Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, ho studiato parecchio l'argomento, ho fatto un corso di panificazione con le Sorelle Simili... fino a quasi un mese fa, quando ho socraticamente scoperto di nulla sapere.

Verso la fine di settembre infatti ricevo un messaggio dall'amica Valeria: ho appuntamento con il Maestro Panificatore Rossi per il 2 ottobre pomeriggio, vuoi venire anche tu? Cerrrrto che sì, avevo in programma di passare da lui un giorno o l'altro di ritorno dal lavoro per acquistare il suo libro sul lievito madre, quale migliore occasione che andarci con un'amica? Beh, meno male che sono andata con Valeria, perché il Maestro Rossi non ha un negozio, ma solo un laboratorio: vende infatti i suoi meravigliosi pani a lievitazione naturale nelle bancarelle dei mercati: senza appuntamento non l'avrei mai trovato in loco.
Arriviamo leggermente in anticipo; lui rientra poco dopo e ci accoglie con un'allegra strombazzata del suo furgone.

Il laboratorio è piccolo ma funzionale, ci salutiamo con cordialità e Archimede, ohps Giorgio, il marito di Valeria, omaggia il maestro di uno dei suoi famosi "tagliafette perfette".



Io e Valeria abbiamo portato campioni dei rispettivi lieviti madri: il suo religiosamente avvolto in un telo, il mio sbattuto dentro a un vasetto a chiusura ermetica senza tante cerimonie (il Maestro raccomanda di far respirare la madre acida, altro che vasetti!). Valeria ha anche portato uno dei suoi bellissimi pani (più belli dei miei, detto per inciso). Il Maestro guarda i nostri campioni, li annusa, li assaggia ed emette il verdetto: troppo deboli, troppo poco acide. Poi tira fuori dal cestino di vimini la sua madre acida, taglia via le croste e ce la fa annusare. Un odore acido estremamente pronunciato ci punge le narici. "Sentito che profumo? Sa di mela!". Al mio naso inesperto la mela non si rivela, ma sono colpita dalla consistenza e dal colore: un bel bianco panna, con consistenza solida, asciutta.



Ci mostra come effettuare il rinfresco, seguendo due metodi: il rinfresco diretto 1:1 (1 parte di lievito madre e 1 parte di farina, + 45% acqua rispetto al peso della farina) e il rinfresco 1:2 da effettuare dopo il bagnetto in acqua a 22 °C, zuccherata al 4% . Lo guardo affettare la sua madre acida e capisco all'improvviso perché avevo sempre letto di tagliare a fette il lievito, metterlo a bagno, strizzare le fette e rinfrescare con la proporzione 1:2. Con un lievito così sodo è possibile, con il mio no: gli ho sempre fatto il bagno lasciandolo intero, perché se l'avessi tagliato a fette si sarebbe dissolto nell'acqua.


Mentre lavora ci spiega i processi che sottostanno alla lievitazione. "Vieni, guarda qui: le vedi le bolle che si formano mentre sciogli il lievito nell'acqua? Sono le proteine. Non le aveva ancora mangiate tutte e quelle residue del rinfresco precedente stanno formando dei legami con l'acqua, creando le bolle. Facciamo andare la planetaria finché non sono sparite, dobbiamo spezzare i legami."


Cinque minuti dopo la schiuma non c'è più e il Maestro aggiunge la farina e fa andare la planetaria finché l'impasto non si è formato, poi lo tira fuori e ce lo mostra di nuovo: "Vedete il colore? E' avorio. Adesso dobbiamo ossigenare l'impasto."


Mette la madre acida nell'impastatrice a bracci tuffanti (da cui sono incantata, manco a dirlo) e la avvia. I bracci tuffanti maneggiano l'impasto, lo rompono e lo ricompongono e questo a poco a poco si sbianca e assume un'altra consistenza: sembra panna semi montata. Cinque minuti sono sufficienti per avere una nuova madre perfettamente rinfrescata. Lui ne taglia due pezzi, uno per ciascuna di noi, li avvolge in un canovaccio pulito, li mette in due cestini di vimini e ce li consegna: "Ecco qui, adesso lasciateli così, senza chiudere il canovaccio, lasciatelo respirare e tenetelo a 18 °C per 24 ore, poi lo rinfrescate con le proporzioni 1:1."


Giorgio offre a tutti un bicchiere di Prosecco, e che prosecco! Cantina Donna Bronca, non ho mai assaggiato un prosecco migliore: non dà neppure alla testa, è favoloso. Il maestro racconta a ruota libera: "L'anno scorso ho buttato via 150 kg di panettoni perché la madre con cui li avevo fatti era troppo debole e non me ne ero accorto subito. L'ho visto solo dopo, durante il raffreddamento: hanno fatto il s'giunfùn, si sono sgonfiati."


Passa poi a tentare di rianimare, ohps, rinfrescare i nostri lieviti madri; spiega che per la conservazione in frigo il rinfresco deve essere fatto con le proporzioni 1:2 (1 parte di lievito madre e 2 di farina manitoba), poi bisogna avvolgerlo in carta forno, avvolgere questa in un canovaccio pulito e legare a mo' di salame. Farlo puntare per 20 minuti e riporlo in frigo per 1 settimana.



Parla con molta semplicità mentre lavora o sorseggia il Prosecco, racconta sprazzi di vita quotidiana, esperienze in altri laboratori prima di aprire il suo. Ci fa assaggiare i suoi favolosi pani a lievitazione naturale, leggeri come nuvole; ne taglia le fette e ci mostra l'alveolatura. "Vedi? L'alveolatura è più fine in fondo, più grossa sopra. Vedi qui sul fondo dove è ammassata? E' perché io li metto a lievitare sulle teglie di metallo. Il metallo è freddo, non va bene: ci vorrebbero le assi di legno, ma io non le ho... Guarda la crosta: deve essere sottile. Il forno deve essere molto caldo, sui 260-270 °C. Che tipo di forno hai, elettrico o a gas? Perché il forno elettrico dà un calore "freddo"... "


Continua così a ruota libera, mentre io e Valeria scambiamo sguardi ora ammirati, ora divertiti per i suoi aneddoti.
"A noi hanno sempre detto di fare così e così, e lei ci dice che è sbagliato: ma perché ce l'hanno detto allora?"
"Semplice: perché se no tutti sarebbero panettieri e pasticceri..."



Lui invece di segreti non ne ha. Ha il tono e lo sguardo di chi ha fatto la gavetta con passione, ed è contento che la sua passione sia condivisa da altri. "Siete tanti, sapete? L'altro giorno è venuto uno alla mia bancarella per farmi vedere il suo pane a lievitazione naturale." Non ha paura di dividere con noi il suo sapere, non teme di essere soppiantato, è pieno dell'entusiasmo che gli dà il suo lavoro.


Comperiamo il suo libro - Valeria ne aveva già una copia, ma vuole regalarlo a un'amica.


Quando veniamo via, un'ora e mezza dopo, siamo carichi come muli: lievito madre nel cestino e poi ognuno di noi ha ricevuto una bella pagnotta, un pacco di pasta tricolore fatta da un suo amico, una confezione di biscotti alle nocciole, una torta paesana.
Ci saluta chiedendoci di tenerlo informato sulle nostre panificazioni a lievitazione naturale: "Mi raccomando, ci tengo!"


Torniamo a casa molto più ricche di quando eravamo arrivate: ricche di un'esperienza umana prima ancora che professionale, con una maggior consapevolezza di quello che hai per le mani quando maneggi un lievito madre. Rifletto sulla mia crassa ignoranza, penso alla dispensina che avevo scritto nel 2007 e mi vergogno profondamente. Quante cose ho imparato in un'ora e mezza scarsa!
Ma soprattutto ho imparato uno sguardo: lo sguardo da bambino che il Maestro Rossi ha mentre va e viene nel suo laboratorio. A misura d'uomo, come lui.

Per acquistare il libro (che non si trova nelle librerie) contattarlo dal suo sito: http://www.aromabiodolceria.it/cosa.asp