sabato 27 novembre 2010

27 novembre 2010: XIV giornata nazionale della colletta alimentare

Oggi non pubblico ricette, ma invito tutti voi a fare la spesa e donarne una parte per chi è più povero e bisognoso. Lavoro come volontaria per la Colletta da anni, e sempre ne ho ricevuto un grande arricchimento. 

Dal sito della Fondazione:


Oggi 27 novembre 2010 è la XIV Giornata Nazionale della Colletta Alimentare.
Un appuntamento che dal 1997 è diventato un importante momento che coinvolge e sensibilizza la società civile al problema della povertà attraverso l´invito a un gesto concreto di gratuità e di condivisione: fare la spesa per chi ha bisogno. Durante questa giornata, presso una fi ttissima rete di supermercati coinvolti su tutto il territorio nazionale, ciascuno può donare parte della propria spesa per rispondere al bisogno di quanti vivono nella povertà.

100.000 volontari che donano parte del loro tempo, permettono la realizzazione di questa giornata.
5.000.000 gli italiani che acquistano cibo per chi non può farlo.
E´ un grande spettacolo di carità : l´esperienza del dono eccede ogni aspettativa generando una sovrabbondante solidarietà umana.

Le ragioni del gesto: Il desiderio più profondo, un amore senza fine

Il povero è un uomo solo. Condividere gratuitamente questo dramma risveglia il vero desiderio che è nel cuore di ciascuno: essere amato. Solo questo può vincere la solitudine: riconoscere che siamo tutti bisognosi di fare esperienza di un amore immenso, sconfinato, più grande di qualunque situazione di sofferenza o disagio in cui ci troviamo. Questa scoperta ci rende compagni di cammino di ogni uomo, proprio perché siamo costituiti dalla stessa attesa profonda di un amore senza fine.


Che commozione davanti al fatto che questo amore ci è già stato donato, come ci ha ricordato Benedetto XVI: “La Carità è il dono più grande che Dio ha fatto agli uomini… perché è amore ricevuto e amore donato (Caritas in Veritate)”. Ogni essere umano infatti è oggetto di una preferenza di Dio, che si è donato totalmente e gratuitamente a ciascuno.

È questa certezza che genera la nostra speranza e ci sostiene nel rivolgere a tutti l’invito a partecipare alla Giornata Nazionale della Colletta Alimentare. Per sperimentare come anche il gesto di fare la spesa e donarla a chi è più povero possa essere l’occasione sorprendente di un immediato e positivo cambiamento per sé il cui riverbero può raggiungere la società intera.


Mons. Mauro Inzoli, Presidente Fondazione Banco Alimentare Onlus

Riporto, sempre dal sito, una delle tante testimonianze toccanti di volontari:

Emanuela, per esempio. Che da 14 anni fa la volontaria nel supermercato vicino a casa sua, nell'hinterland milanese. «Ho cominciato quasi per caso, accettando l'invito di un amico. E da allora ogni anno è sempre una novità. Sta accadendo anche ora». Emanuela racconta di essere arrivata alla fine di ottobre un po' stanca, e solo l'idea di mettersi a lavorare per organizzare la Raccolta nel suo quartiere le metteva ansia. Un giorno si sente chiamare per la strada: «Signora Emanuela!». «Era R., l'ex parcheggiatore del supermercato. In passato ci ha sempre dato una mano, coi furgoni per la raccolta, facendoci posto sul piazzale. Poi era capitato che avesse anche lui bisogno di un aiuto...». Emanuela, durante l'anno, porta i pacchi di alimenti dei Banchi di solidarietà ad alcune famiglie povere della zona. «Ho iniziato a portare il pacco anche a lui. Lì, al parcheggio. Finchè, tre anni fa, è andato in pensione, ed è tornato al suo paese, in Campania», spiega Emanuela. «Sono venuto a trovare i miei figli», le dice R. «Bello! Ma se sta qui un po' di tempo può venirci a trovare anche quando facciamo la Colletta, sabato 27», risponde lei. «Ma scherza? Io vengo! Ma a fare il turno. Questo è il più bell'incontro che potevo fare».

Neppure ventiquattrore dopo Emanuela incontra un "collega" volontario. Uno di quelli della prima ora, come lei. Solo che ha superato gli 80 da un pezzo, e in più quest'anno è stato operato diverse volte per problemi seri. «Come va? Immagino che stavolta non ci sarà, mi dispiace», lo anticipa Emanuela. «Cosa?», risponde lui: «Primo turno, dalle 8. Come tutti gli anni», dice andandosene ridendo. «E io che volevo mollare tutto. E invece vedi questa gente, e ti si riapre un mondo. Fare "la carità" così riempie davvero il cuore. Perchè è un gesto che accoglie tutti. E infatti la gente si apre, si mette in gioco, diventa un libro aperto. Quanti che durante la Colletta ti fermano e ti raccontano tutta la loro vita. Ma lo stesso vale per me. Con mio marito non abbiamo figli. E' un grande dolore. Ma tutti i rapporti che sono nati potendo dedicare più tempo alla Colletta e al portare i pacchi alle famiglie sono una risposta grandiosa a quel dolore. Perchè le persone che incontri diventano un po' la tua famiglia, fratelli, sorelle». Figli. «Gesù si è fatto presente carnalmente più che mai con tutti questi volti che mi chiamano a starci fino in fondo. Non è spettacolare?».

Buona Giornata Nazionale della Colletta Alimentare a tutti. :-)

venerdì 26 novembre 2010

Le (st)renne di Natale: Panfortini mignon, normali e al cioccolato (ASTENERSI PURISTI)


Quasi due mesi fa sono stata nella bellissima Siena, in occasione del Raduno dei Forumisti della Cucina Italiana. Di quello splendido week-end conservo ricordi di risate, serenità, voglia di stare insieme e di cucinare insieme, la gioia di rivedere le amiche conosciute l'anno scorso, il piacere di conoscerne altre quest'anno e tanto altro ancora.
Tra il tanto altro ancora figura pure un bel panforte acquistato alla pasticceria Il Magnifico, proprio dietro Piazza del Campo. Me lo sono centellinato a poco a poco, una piccola coccola ogni sera mentre mi rilassavo dopo cena, ma come tutte le cose buone anche quello è giunto al termine. Come fare? Comprare un panforte industriale? Noooo... Tornare a Siena e fare scorta? Magari, però è poco pratico e un tantinello costoso. Provare a rifare il panforte? Sììììì!!!!

Bene. La decisione era presa. Ora bisognava solo mettere le mani sulla ricetta.
Pare facile procurarsi la ricetta di un dolce tradizionale, ma non lo è per niente. In rete come al solito ci sono tantissime versioni, nessuna delle quali però mi soddisfava pienamente. Il motivo? Mancavano i chiodi di garofano. Ora, magari ho le papille malfunzionanti, ma io il sentore dei chiodi di garofano in quel panforte lo sentivo. E comunque a me i chiodi di garofano piacciono. E ora che ci penso mi piace pure il cardamomo. E... e insomma, so già che i puristi storceranno il naso (e hanno ragione, intendiamoci!) ma io come mio solito ho rielaborato la ricetta secondo i miei personalissimi gusti. Ho introdotto anche un'altra variazione, al limite dell'eresia gastronomica... la vedremo più sotto, scorgendo l'elenco degli ingredienti. 

Poi, pensando ai regalini di Natale che ogni anno faccio agli amici, mi sono detta: ma perché preparare il solito panforte grande, che mi tocca farne una ventina? Facciamo i panfortini mignon! Mi sono guardata attorno sul mercato, e di panfortini mignon non ho visto neanche l'ombra... quindi se adesso qualche industria mi copia l'idea, mi fa il santo favore di pagarmi le royalties o di offrirmi un posto di lavoro, che mica sono qui a lavorare aggratise per loro!!!
Scherzi a parte, per la seconda puntata delle (st)renne di Natale (ieri siete passati da Flavia a prelevare il centrotavola "angelico", vero? ;-)  ), sono a presentarvi i

mercoledì 24 novembre 2010

Micro hamburger di pollo, limone e senape



Ieri sera chiacchierando con un'amica mi è tornato in mente un episodio occorsomi qualche mese fa. Avevo fatto un interessante corso su stoccafisso e baccalà con lo Chef Danilo Angè nella sede di Medagliani, il mio caccavellaro di fiducia. Praticamente tutte le ricette richiedevano di spinare il baccalà dopo averlo ammollato, e per farlo occorrono le apposite pinze: le lische infatti sono saldamente ancorate alle carni del pesce (sembra quasi un ossimoro!) compattate dalla salagione, ed è particolarmente difficile procedere senza pinze. Così nel corso di una delle mie incursioni da Medagliani ho chiesto dove le tenessero. Me ne sono stati presentati diversi modelli, nella penombra del magazzino, e io ne ho scelto uno più o meno a caso.
Quando sono tornata a casa e ho scorso con orgoglio i miei acquisti, ho notato che su un lato delle pinze c'era l'incisione di una fragolina. Oh, no!!! Tra tutte le pinze presentatemi avevo scelto un depicciolatore per fragole!!!! OK, l'attrezzo sarebbe stato utilizzato propriamente (già che avevo un depicciolatore per fragole e che era giusto la stagione delle fragole...) e impropriamente, come pinza per diliscare il pesce.

La cosa sarebbe potuta finire lì, ma... ma io non ho voluto che finisse lì. :-D
Dovete sapere che ho una cara amica che mi dice da anni di fare testamento (giuro che lei e Alessandra non si conoscono! :-D ) e un giorno che non avevo niente di meglio da fare, ho aperto un bel file e cominciato a redigere un bel testamento olografo.
Si dà anche il caso che qualche tempo prima mia madre e mia sorella mi avessero preso in giro per la mia caccavellaritas, citando in particolare il depicciolatore per fragole e il denocciolatore per ciliegie (che è diverso dal denocciolatore di olive, sia chiaro). Ricordarmi questo e aggiungere un paio di postille al mio testamento è stato tutt'uno: a mia madre ho "lasciato" il denocciolatore per ciliegie, e a mia sorella il depicciolatore per fragole. 
E poi non si venga a dirmi che non sono generosa.  


lunedì 22 novembre 2010

Coniglio alla cacciatora farcito con crosta di funghi e olive



Il quinto Emmetì Cialleng ha per oggetto una delle carni che io preferisco in assoluto: il coniglio. Lo ha scelto la nostra Ginestra, che nell'edizione di ottobre ha vinto la sfida sulla Apple Pie presentando un cigno farcito alle mele che avrebbe fatto invidia al pasticcere più provetto; e siccome la nostra è bravissima anche con le preparazioni salate, e forse ha anche pensato che nelle puntate precedenti avevamo toccato l'aperitivo, il primo e il dolce ma mancava un secondo piatto, ecco che ci ha sfidate su una ricetta classica, perfetta per il clima autunnale: il coniglio alla cacciatora.



Il caso vuole che mio nonno fosse un cacciatore, cosa tra l'altro utilissima in un tempo in cui la carne era carissima e non tutti potevano permettersela. Il nonno aveva sei bocche da sfamare in casa, e i conigli selvatici abbondavano nelle campagne. Il suo hobby era quindi perfetto per dare alla famiglia le proteine nobili della carne, che all'epoca si mangiava una sola volta alla settimana.


La nonna era bravissima in cucina e cucinava un coniglio alla cacciatora sublime. E' un autentico peccato che da ragazzina non mi sia minimamente posta il problema di chiederle la ricetta e i “trucchi del mestiere”, e adesso che mi interesserebbe parecchio la nonna non è più in grado di darmeli: dall'alto dei suoi quasi 104 anni, oramai fa fatica a ricordarsi come procedeva e quindi sono costretta a procedere “a naso” (di cui peraltro sono ben fornita).


Solo che... solo che per l'MTC non si può proporre la ricetta tout court: bisogna anche inventarsi qualcosa, rielaborarla in chiave creativa... e così ho pensato innanzi tutto di farcire il mio coniglio, e poi di presentarlo in crosta. Non volevo però tradire la ricetta originale: la sfida parla di coniglio alla cacciatora, non di coniglio alla mia maniera. E allora? Allora la carne va fatta marinare con le verdure... e se usassi le verdure come ripieno, magari aggiungendoci qualche funghetto? E poi, facendo un passo avanti, in quale crosta servirlo? Una crosta di briséé? Di pane? Di sfoglia? Hmmm... ho consultato il mio fido libro “In crosta” di Franco Luise e lì ho trovato la mia crosta: una crosta fatta con la carne di coniglio e i funghi!

La ricetta che vi riporto è quella che dovrebbe essere realizzata.

Quella che invece ho realizzato io è leggermente diversa, per il semplice motivo che il mio macellaio non è riuscito a procurarmi la rete di maiale. Ma forse che noi Emmetìciallengers ci lasciamo fermare da una quisquilia del genere? Nossignore!!!

Il mio problema era quello di tenere insieme una “crosta” così cremosa fino alla rosolatura. Il mio macellaio, vedendo la mia faccia alla notizia che non c'era la rete di maiale e pensando che volessi usarla semplicemente per legare il rotolo di coniglio, mi ha dato un po' della rete elasticizzata a maglia tubolare che usano loro per legare gli arrosti.



Siccome la maglia era molto stretta ma anche molto elastica, mi ha spiegato come fare per farci scivolare dentro il coniglio con facilità: dovevo mettere il rotolo in una bottiglia di plastica, di quelle dell'acqua, a cui avevo tagliato in precedenza il fondo. Poi adattavo un capo del tubo di maglia al fondo tagliato, facevo uscire il coniglio et voilà.
Sì, voilà, ma io avevo una crosta cremosa da gestire! Mentre tornavo a casa però mi è venuta un'idea: avrei tagliato un lato della maglia tubolare, stendendola a rettangolo; avrei spalmato un po' di “crosta” sul coniglio e poi lo avrei adagiato sulla rete, con il lato spalmato verso il basso; infine avrei terminato di spalmare la crosta sul coniglio, e avrei chiuso la rete “cucendola” con lo spago da cucina. L'idea si è rivelata assolutamente vincente. Al posto dell'ago ho usato una spilla da balia dove avevo legato un capo dello spago, ho proceduto abbastanza velocemente e mi sono trovata con un rotolo soddisfacente, che ho rosolato con cura 2 minuti per lato prima di trasferirlo nella rostiera, in modo da sigillare bene la crosta.


In realtà il problema della rete permane, come mi sono accorta al momento rimuoverla: la crosta, benché sigillata dalla rosolatura, tende a rimanere più attaccata alla rete che alla carne, rendendo così più difficile la presentazione del piatto; per questo motivo consiglio caldamente di utilizzare la rete di maiale... se la trovate.

venerdì 19 novembre 2010

Le (st)renne di Babbo Natale - Alchermes



L'idea, manco a dirlo, è venuta ad Alessandra, che prima l'ha condivisa con la sua socia Daniela e poi l'ha proposta a noi. "Noi" siamo, in ordine rigorosamente alfabetico per non far torto a nessuno, AnnaLù e Fabio, Stefania, Flavia, Ale & Dani e io. Se l'idea dell'iniziativa è partita da Ale, il nome l'ha trovato Fabio, grande fotografo e umorista inglese di comprovata abilità.

Tra poco più di un mese arriverà il Natale 2010 e se Gesù decide di nascere ancora su questa terra, quale modo migliore per attenderlo che preparare con le nostre manine sante un cesto natalizio per gli amici più cari? Così abbiamo deciso di travestirci da renne e di postare una (st)renna al giorno nei cinque giorni lavorativi della settimana, in una staffetta ideale il cui obiettivo è quello di regalarvi tante idee golose per riempire i vostri cesti.

Il lunedì Alessandra su Menù Turistico proporrà le ricette "da porca figura" per cui è giustamente famosa; di martedì farete un salto da Annalù e Fabio di Assaggi di Viaggio, che a Montersino fanno un baffo (peccato che la montersinite di Annalù non sia contagiosa...); mercoledì tocca alla bravissima Stefania di Cardamomo & Co. e non lasciatevi ingannare dai suoi disclaimer, perché da una come lei c'è solo da imparare, e non solo in cucina. Giovedì è il turno della vulcanica Flavia di Cuocicucidici, che quando entra in cucina fa registrare un aumento dell'attività sismica dell'Etna, alle cui pendici vive; il venerdì infine io chiudo la settimana e vi faccio tirare un sospiro di sollievo non solo perché il week-end è vicino, ma anche perché le mie ricette sono di tutto riposo (e a volte richiedono un po' di meritato riposo).

Ed ecco la mia prima (st)renna per voi: 

mercoledì 17 novembre 2010

Panini alla birra scura e la fermentazione della birra


LA FERMENTAZIONE DELLA BIRRA



Il processo di fermentazione è fondamentale nella produzione della birra e avviene mediante il lievito, detto per l'appunto lievito di birra.
Si fa presto a dire lievito però: quale lievito? Anticamente il processo si innescava spontaneamente, grazie alle spore di lievito presenti nell’aria. Questo naturalmente comportava una serie di problemi, perché oltre ai lieviti nell’aria sono presenti altri microorganismi e non tutti sono “beer -friendly”, il che comportava la perdita di centinaia di ettolitri di prodotto.

Attualmente le birre a fermentazione spontanea vengono prodotte solo a Bruxelles in un’area estremamente circoscritta, dove l’aria è ricca di fermenti acetici, fermenti lattici e soprattutto di un lievito spontaneo che non si trova altrove, il Brettanomyces Bruxellensis. Il mosto viene prima portato a ebollizione e poi pompato in una vasca di raffreddamento che si trova appena sotto al soffitto della birreria. Qui viene lasciata esposta all’aria per un certo numero di ore, prima di venire trasferita in fusti di legno dove maturerà lentamente per mesi o addirittura per anni, dipende dal prodotto che il Mastro Birraio desidera ottenere.


Abbiamo poi le birre a bassa fermentazione, prodotte con ceppi di lievito che sono attivi a basse temperature (6-12 °C). Come accennato nel capitolo sugli ingredienti della birra, i lieviti attivi a basse temperature hanno la caratteristica di depositarsi sul fondo della vasca di fermentazione in quanto a differenza di quelli che lavorano ad alte temperature, non si aggregano tra di loro ma rimangono separate. La fermentazione avviene in 7 giorni circa.


Le birre ad alta fermentazione utilizzano ceppi di lievito che lavorano bene a temperature elevate (15-25 °C). Nel corso della fermentazione i lieviti si nutrono degli zuccheri fermentescibili contenuti nel mosto e si moltiplicano. I residui dell’attività enzimatica dei lieviti contribuiscono a costruire l’aroma del prodotto finito; tra essi vi sono l’anidride carbonica, responsabile della frizzantezza della birra, e l’alcool, che le dà corpo. I lieviti da alta fermentazione moltiplicandosi si aggregano tra di loro, formando una sorta di patina schiumosa. Le bolle di anidride carbonica portano questa patina in superficie e ve la mantengono, proteggendo quindi un poco il mosto dai microorganismi esterni.
I lieviti da alta fermentazione agiscono velocemente, e dopo circa 5 giorni la fermentazione del mosto è completata e si può passare alle successive fasi di lavorazione.


Alcune birre ad alta fermentazione subiscono successivamente un processo di rifermentazione in bottiglia: al momento di imbottigliare, si aggiunge alla birra (che può essere filtrata o no) una certa quantità di zucchero e talvolta anche un supplemento di lievito. Le bottiglie così prodotte vengono poi collocate in un locale apposito, dalla temperatura costante di 25 °C, per una decina di giorni, nel corso dei quali lo zucchero fermenta aumentando il tenore alcolico della bevanda, mentre i lieviti si depositano sul fondo. Non di rado sull'etichetta di queste birre leggiamo "bière sur lie", letteralmente "birre su feccia" (la feccia è il deposito e solo con l'uso colloquiale del suo senso lato ha assunto un'accezione negativa), ad indicare il fatto che sul fondo della bottiglia deve esserci un deposito. Al momento di servirle, queste birre necessitano di un trattamento particolare: si versa quasi tutto il contenuto della bottiglia nel bicchiere lasciando circa 2 dita di prodotto, poi si muove circolarmente la bottiglia (un po’ come si fa con i bicchieri di vino) per mandare in soluzione il lievito e infine si versa quest’ultima sorsata nel bicchiere, andando a distribuire omogeneamente il lievito in tutta la bevanda che ci stiamo apprestando a consumare.

E adesso passiamo alla ricetta del giorno:
 
 


Panini alla birra scura
da Alice Cucina, novembre 2010


500 g farina 0
12,5 g lievito di birra fresco (mezzo cubetto)
330 ml birra scura (io ho usato una Guinness)
8 g sale
5 g malto d'orzo
25 g burro


Per la glassa:
125 ml birra scura
70 g farina di segale
1 pizzico di sale


Disporre la farina sulla spianatoia, praticare una fossa al centro e sbriciolarvi il lievito.
Versarvi la birra e il malto e cominciare ad impastare. Aggiungere il sale e il burro e proseguire a lavorare per una decina di minuti, fino ad ottenere un impasto tenero, ma non appiccicoso. Se necessario, afferrare la palla di impasto e sbatterla due o tre volte energicamente sul piano di lavoro, per darle nerbo.
Mettere l'impasto a lievitare in una ciotola coperta di pellicola trasparente per un'ora circa.
Trascorso questo tempo rovesciarlo sulla spianatoia, lavorarlo per altri 5 minuti e suddividerlo in panini (la rivista dice panini di 40 g, io ho raddoppiato la pezzatura).
Disporli a lievitare sulla placca ricoperta di carta forno, coprirli con un foglio di pellicola e lasciare in luogo tiepido al riparo da correnti d'aria per 40 minuti.
Nel frattempo preparare la glassa: setacciare la farina di segale e il sale e aggiungervi la birra, mescolando con una frusta perché non si formino grumi.
Quando i panini sono lievitati versare su ciascuno di essi una o due belle cucchiaiate di glassa, in modo da ricoprirli. Spolverare leggermente con altra farina di segale e infornare a 200 °C a metà del forno per 25 minuti circa.
Tirare fuori i panini dal forno e bussare sul fondo con le nocche: dovrebbe suonare vuoto. Se suona pieno toglierli dalla placca, passarli sulla griglia del forno posizionata verso il fondo del forno (2^ tacca), abbassare la temperatura a 180 °C e proseguire la cottura per altri 10 minuti.

NOTE:

Impasto: la rivista consiglia di usare birra ristretta al 60%, fatta ridurre sul fuoco a una temperatura di circa 30 °C. Io credo che ci sia un errore di stampa: non so cosa avvenga sui fuochi di casa vostra (e in quelli della cucina di Alice), ma a casa mia la temperatura di 30 °C viene raggiunta in un picosecondo e superata altrettanto velocemente. In ogni caso, dal momento che l'alcool è un sottoprodotto della fermentazione e non è quindi estraneo all'impasto del pane, e dal momento che evapora tutto in cottura, io ho usato la birra tale e quale, senza ridurre nulla.


Glassa: la ricetta originale prevede anche un nonnulla di lievito nella glassa. Siccome la funzione della glassa è quella di dare un aspetto craquelé al pane, tanto più che non la si fa riposare, a mio avviso il lievito è completamente inutile, pertanto l'ho omesso.