martedì 16 novembre 2010

Sfogliatine ai lamponi

«Piove, senti come piove, guarda come piove, senti come viene giù » cantava Jovanotti, ed è quello che viene a dire anche a me guardando fuori dalla finestra, oggi.
Già, la pioggia. Benefica per la terra, non così benefica per l'umore, fa venir voglia di stare al calduccio sotto le coperte, col ticchettio che batte ritmico sui vetri; fa venir voglia di accoccolarsi sul divano con un plaid sulle ginocchia e una tazza piena di the caldo e fragrante tra le mani; fa venir voglia di coccolarsi con qualche dolcezza... sì, ma quale? The e pasticcini è un binomio classico e da quello sono partita, per partecipare al contest Sweet Moments di Gattoghiotto; ho cercato di farmi venire in mente una piccola golosità, una di quelle coccole che vorrei avere qui con me in questo momento, qualcosa che sia a un tempo croccante, morbido e gustoso... ed ecco che sono nate le

Sfogliatine ai lamponi




500 g pasta sfoglia
500 g latte
125 g zucchero
4 tuorli
40 g farina 00 oppure amido (di frumento, di mais, di riso, fecola di patate...)
20 g burro
1 limone non trattato (scorza)
1 uovo per spennellare
zucchero a velo per decorare
200 g di lamponi

Preparare la crema pasticcera: versare in una casseruola il latte con la scorza di limone (oppure 1 baccello di vaniglia diviso in due longitudinalmente) e 1 cucchiaio di zucchero prelevato dal peso totale e portare a ebollizione.
Raccogliere in una ciotola i tuorli con il rimanente zucchero e montarli con la frusta fino ad ottenere un composto spumoso. Unire la farina setacciata, aggiungervi il latte bollente e mescolare con una frusta per amalgamarlo senza che si formino grumi.
Rimettere sul fuoco e far riprendere il bollore. Farla cuocere per 5 minuti dal bollore per eliminare il gusto di crudo della farina.
Spegnere il fuoco, aggiungere il burro e mescolare finché si è sciolto e amalgamato bene.
Versare in una ciotola e raffreddare subito in acqua e ghiaccio, mescolando.



Stendere la pasta sfoglia a 2-3 mm di spessore e ricavarne dei quadrati di 13 cm di lato.
Incidere ciascun quadrato di sfoglia come segue: a 1 cm dal bordo incidere 2 lati compresi gli angoli, ma fermandosi a 1 cm dall'angolo opposto. Fare lo stesso con gli altri 2 lati. Avremo insomma 2 angoli opposti tagliati e 2 non tagliati per 1 cm. *
Inumidire i bordi, poi sollevare un bordo inciso e appoggiarlo su quello opposto. Fare lo stesso con l'altra metà del bordo, in modo da creare una sorta di vol-au-vent a forma di caramella (sono riuscita a spiegarmi?).
Spennellare ogni sfogliatina con un uovo sbattuto insieme a 1 cucchiaio di acqua e infornare a 180 °C per 10 minuti. Far raffreddare.


Versare in ciascuna sfogliatina un ciuffo di crema pasticcera e decorarla con un lampone.
Spolverizzare di zucchero a velo e servire.

* Nella speranza di spiegarmi meglio, copio il procedimento dal libro della Scuola di Cucina del Cordon Bleu: piegare ogni quadrato a metà in modo da ottenere dei triangoli. Tagliare un bordo largo 1 cm lungo i lati piegati. Lasciare 1 cm non tagliato prima di arrivare alla punta del triangolo. Aprire il triangolo e spennellare i bordi della parte interna del quadrato con acqua e uovo. Sollevare le strisce e farle scivolare una sotto l'altra. Trascinarle agli angoli opposti e attaccare le punte agli angoli della base con la mistura acqua-uovo.
Insomma... sono più facili da fare che da spiegare! ;-)



lunedì 15 novembre 2010

Torta agli spinaci e prescinsoa




E' lunedì mattina e piove, ma non è questo il problema.

Il mio problema stamattina è un altro: l'angosciosa domanda "a che ora passerà l'autobus questa settimana?".
Sì, perché io abito in una ridente città-dormitorio dell'hinterland milanese, dotata del servizio di autobus che porta alla metropolitana. Comodo, no? Solo che gli orari dell'autobus sono elastici e dipendono dall'autista di turno. Sulla palina alla fermata c'è scritto 07:09 ed è quindi lecito aspettarsi che questa sia l'ora a cui il mezzo passa. L'orario vero però varia dalle 07.05 alle 07.10, secondo l'autista del primo turno. C'è quello mattiniero, c'è quello che se la prende comoda, c'è quello che da grande voleva fare il pilota di Formula Uno e cerca quindi di battere tutti i record guidando a velocità folle un mezzo pesantissimo e carico di gente che frustra regolarmente le sue aspettative spostando il peso dove non dovrebbe; c'è il posapiano che guida con calma, c'è quello che oggi piove e bisogna stare attenti e così via. E c'è che io sono il tipo da ultimo minuto, che arriva alla fermata trafelata, col cappotto abbottonato di sghembo, la borsa spalancata, e gli orecchini in tasca perché non ho avuto tempo di metterli in casa.
Ed è pure lunedì. E piove.

venerdì 12 novembre 2010

Lonza di maiale alla birra e mele (e gli ingredienti della birra)


La settimana scorsa abbiamo cominciato col tracciare un po' di storia della birra.
Oggi vediamo da che cosa è composta, per poterla comprendere appieno e poterla usare nel modo più adeguato come ingrediente dei nostri piatti.

GLI INGREDIENTI DELLA BIRRA


Gli ingredienti base della birra sono quattro: cereali maltati (cioè germinati), acqua, lievito di birra e luppolo.


MALTO


Qualunque cereale è adatto a produrre la birra, previa maltatura; è chiaro però che alcuni cereali sono più saporiti di altri e che il prodotto finito assumerà colorazioni e gusto differenti. Per produrre la birra il cereale usato più frequentemente è l’orzo, più esattamente l’orzo distico primaverile o invernale; altri cereali comunemente usati in aggiunta all’orzo sono il frumento e il mais.


Il termine distico indica che nella spiga di orzo vi sono 2 file di chicchi, cosa che ne favorisce lo sviluppo omogeneo e regolare, molto importante per il processo di maltatura, come vedremo in seguito. Primaverile e invernale invece si riferisce alla stagione di raccolta. In generale i malti primaverili sono più pregiati, ma nelle birre vengono usate miscele dei due raccolti, secondo il risultato finale che il Mastro Birraio desidera ottenere.


Fondamentale per la produzione della birra è il processo di maltatura del cereale: gli amidi contenuti nei chicchi infatti non sono solubili e occorre pertanto scinderli in zuccheri semplici, che sono fermentescibili. Questa scissione viene effettuata sfruttando il fenomeno naturale della germinazione: l’orzo viene steso uniformemente nelle vasche di germinazione ed irrorato di acqua. Durante la germinazione gli enzimi dell'embrione scompongono l’amido in zuccheri fermentescibili per poter nutrire la futura pianta; il trucco sta nel bloccare la germinazione quando gli enzimi hanno trasformato la maggior quantità possibile di amido in zuccheri semplici, e il germoglio ne ha "mangiati" il meno possibile. Questo avviene quando la radichetta raggiunge i 2/3 della lunghezza del chicco ed è per questo che per produrre il malto (e quindi la birra) è necessario disporre di orzi distici: i chicchi provenienti da orzi esastici (con 6 fili di chicchi per spiga) hanno dimensioni molto più irregolari e la maltatura risulterebbe altamente disomogenea.


Quando la maltatura è completata si blocca la germinazione essiccando i chicchi. Il chicco essiccato tout court si chiama malto verde, e non è ancora adatto a produrre la birra. Proseguendo con la tostatura e aumentando le temperature otterremo dei malti via via più scuri, le cui tonalità sono codificate (si parla di gradazioni di colore EBC) e che danno corpo e gusto alla birra. Per le birre chiare si utilizzano malti con colorazione EBC dal 3 al 7-8. Dall’8 al 9 avremo delle birre leggermente ambrate, e così via.


A mano a mano che si prosegue con la tostatura, gli zuccheri presenti nel chicco si caramellizzano: spezzando il chicco si vede che il suo interno è vetroso. Come avviene per tutti i caramelli che si rispettino, aumentando ulteriormente le temperature avremo un malto caramello biondo, ambrato, scuro e nero: arriviamo anche a un indice di colorazione EBC pari a 1600 per il Black Malt o il Roast Barley Malt.


Naturalmente i malti non sono codificati solo per colore, ma anche per aroma: avremo il malto Pilsner, essiccato a bassissima temperatura e utilizzato per produrre birre di stile tedesco molto chiare; ha un colore EBC 3-4 ed è caratterizzato da un elevato contenuto proteico, motivo per cui occorre farlo sostare per la proteolisi durante l'ammostamento.
Salendo nella scala cromatica troviamo il malto aromatico, dal colore EBC 45-55 e dall’aroma deciso; qualche gradino più in su nella nostra scala cromatica ci sono il malto chocolate , dal colore EBC 900-1200 e dal caratteristico sapore molto amabile, e il malto black, colore EBC 1200, dal gusto bruciato.




ACQUA


La qualità dell’acqua è fondamentale per ottenere una buona birra, tanto che in molti stabilimenti vi sono dei depuratori con filtri a carbone per avere un’acqua dal contenuto equilibrato di sali minerali.
L'influenza dei sali minerali non si manifesta direttamente sul gusto della birra, ma contribuisce a reazioni diverse durante la lavorazione, in particolare gli ioni di ferro, manganese, rame e zinco sono essenziali per la fermentazione.
La composizione dell’acqua sorgiva di varie città famose per la produzione di birra (Dortmund, Monaco di Baviera, Pilsen, Dublino, Edimburgo, Londra, Vienna, Burton-on-Trent…) ha avuto un ruolo decisivo nello sviluppo dei vari stili birrari ad esse associate. Ad esempio a Londra, Dublino e Monaco l’acqua presenta un’elevata concentrazione di bicarbonato, che bilancia l’acidità dei malti scuri usati per produrre le birre Porter, Stout e Bock tipiche di queste città.
Naturalmente l’acqua può essere corretta aggiungendo o togliendo sali minerali, in modo da consentire di riprodurre lo stile birrario desiderato.


LUPPOLO


Il luppolo è la sostanza amaricante utilizzata per la produzione della birra. Oltre a dare alla birra il caratteristico gusto amaro bilanciando la dolcezza del malto, è un ottimo conservante per le sue proprietà antisettiche, e favorisce la stabilità della schiuma. Il luppolo è una pianta dioica (ha la pianta maschile e quella femminile) e nell’indurstria birraria vengono utilizzate le infiorescenze della pianta femminile, detti coni per la caratteristica forma. In autunno i coni vengono raccolti e trasformati per essere utilizzati agevolmente nell’industria brassicola, che li acquista in coni (fiori essiccati), plugs (coni pressati), pellets (pastiglie), ed estratto (estratti isomerizzati).


Anche per il luppolo esistono parecchi cultivar; se ne distinguono però essenzialmente due categorie: i luppoli aromatici (Saaz, Spalt, Tettnanger, Hallertauer Mittelfrüh), dall’aroma più fine ma poco amari, e i luppoli amaricanti (Brewer's Gold, Nugget, Chinook, Eroica, Galena e Bullion), che conferiscono un gusto amaro più deciso ma dall’aroma meno raffinato.


Dal momento che molti olii essenziali del luppolo sono volatili e andrebbero dispersi nel corso di lunghe cotture, il luppolo viene aggiunto al mosto solo negli ultimi 30 minuti di cottura, per ridurre queste perdite al minimo e beneficiare al massimo dei preziosi aromi della pianta.


LIEVITO


Il quarto ingrediente essenziale della birra è il lievito, che permette la fermentazione del mosto. Quando nel 1516 Guglielmo IV di Bavaria promulgò la Legge sulla Purezza della birra non parlò di lievito ma non perché non lo considerasse un ingrediente fondamentale dell'ambrata bevanda, bensì perché questo microscopico saccaromicete era allora completamente sconosciuto e la fermentazione era considerata un fenomeno spontaneo. I dettami della Legge del 1516 sono stati seguiti in Germania fino a pochi anni fa: la Legge infatti  è decaduta solo nel 1992 con l’introduzione della legislazione comunitaria.


Esistono tantissime varietà di lievito; per l’industria birraria sono stati selezionati alcuni ceppi e quelli più comunemente usati sono il Saccharomyces Cerevisiae e il Saccharomyces Carlsbergensis. I lieviti lavorano a temperature differenti, per questo è necessario utilizzare quello più adatto allo stile birrario che si desidera produrre: il Saccharomyces Cerevisiae viene utilizzato per le birre ad alta fermentazione, in quanto necessita di temperature elevate (dai 12 °C ai 23 °C) per svilupparsi; a mano a mano che la fermentazione procede le cellule di lievito si aggregano e salgono in superficie, producendo la caratteristica schiuma; il Saccharomyces Carlsbergensis invece opera a basse temperature, tra i 5 °C e gli 8 °C, e le sue cellule a mano a mano che si moltiplicano non si aggregano e rimangono sul fondo della vasca di fermentazione.





martedì 9 novembre 2010

Cake alle castagne



Di solito per il mio compleanno sto schiscia, come si dice a Milano; sto buonina buonina, evito di attirare l'attenzione sulla cosa, ma non perché appartenga alla schiera di quelli che odiano compiere gli anni, sia chiaro: come sono solita dire, compiere gli anni è una bella cosa, mentre smettere di compierli è un gran brutto segno.  Piuttosto, direi che non vado a caccia di auguri. Che me ne faccio del resto di auguri sollecitati? Preferisco di gran lunga un augurio dimenticato, piuttosto che uno sollecitato e quindi formale. Solo che quest'anno tengo un blog e quindi... ho deciso di prepararmi un dolcetto per l'occasione.

Non so voi nelle vostre cucine, che io immagino sempre linde e immacolate, ma quando io entro nella mia con animus cucinandi la lascio in uno stato pietoso, sembra un campo di battaglia dove si è svolto uno scontro particolarmente cruento.
Poi ovviamente mi tocca pulire e ogni volta che arrivo al lavello mi viene in mente una cosa che mi disse mia madre diversi anni fa. Stavamo rigovernando insieme dopo pranzo, e mentre io terminavo di pulire i ripiani improvvisamente disse: "odio le cucine con i lavelli e i ripiani sporchi: mi ricordano i cessi delle stazioni". Disse la strana frase e mi guardò in un certo modo, come se sospettasse che avessi losche e zozze intenzioni una volta stabilitami per conto mio.
La frase e lo sguardo mi rimasero impresse a lungo nella memoria e per lungo tempo mi domandai se dicesse sul serio e se davvero pensasse che in futuro mi sarei astenuta dal rigovernare la cucina. Con gli anni però sono giunta alla conclusione che la sua fosse solo una battuta: non ho mai visto farina e tracce di sugo nei cessi delle stazioni.

domenica 7 novembre 2010

O sole miiiooooo!!!! Soli ripieni alle cime di rapa


- Devi andare solo a Genova.
- Sì lo so, ma...
- Sono due ore scarse di treno.
- E' vero, ma se mi dovesse venir fame?
- Hai fatto colazione un'ora fa e puoi benissimo fare merenda quando arrivi.
- Sì, ma se la sete mi fa venire un languorino?
- (alza gli occhi al cielo) Fai quel che ti pare, tanto ho capito come va a finire...


Sembra un dialogo tra mamma e figlioletto recalcitrante, e invece è la riproduzione fedele (occhi al cielo e toni esasperati inclusi) del dialogo che ho avuto tra me e me venerdì scorso in Stazione Centrale, dopo avere acquistato una bottiglietta di acqua.

Sì, perché accanto alle bevande c'erano dei graziosi sandwich confezionati e tra questi mi avevano colpita tre mini-arabini farciti (al formaggio, al crudo e al salame) che erano un amore. Dopo il dialogo appena riportato, la parte capricciosa di me ha vinto e ha comperato i panini, oltre all'acqua. Manco a dirlo, di fame non ne avevo per niente; d'altra parte sarei stata ospite della Ale per 3 giorni, mica potevo presentarmi da lei con 3 panini imbottiti, anche se graziosissimi. Quindi intorno alle 9.30 con tutta la nonchalance possibile ho cominciato a sbocconcellare i miei 3 panini mentre leggevo un thriller con aria assorta. Sono arrivata a Genova piena come un uovo tanto che neppure a ora di pranzo avevo fame, ma mi sono costretta a mandare giù un boccone con Ale e Paola.

La tre giorni che è seguita è stata bellissima, tra acquisti di libri e caccavelle, chiacchiere, risate, confidenze, gaffes (mie) e lezioni di photo-editing. Arrivata dalla Ale mi aspettavano due sorprese: un regalino da parte sua e... un cornicello da parte di Mario! Ecco, il cornino napoletano mi ha fatto venire i lucciconi, perché mai avrei pensato che uno con cui scambio qualche battuta ogni tanto su internet fosse così gentile da mandarmi un pensierino.



Così stamattina mentre ero in cucina e pensavo a cosa preparare per pranzo, ho cominciato a canticchiare o' sole mio mi è caduto l'occhio sul cornicello... L'ispirazione mi è venuta in un istante e dedico questo piatto a Mario e alla mitica Signora Gambetto, quella con l'aureola tutta tempestata di brillanti.


In questa ricetta parlo di cime di rapa, ma in realtà quello che avevo in casa era della qualedda, una brassicacea che cresce spontanea in Sicilia (la chiamiamo anche cavulicchiu). Siccome però la qualedda non è facilmente reperibile fuori Sicilia, ho indicato come ripieno le più note cime di rapa, il cui sapore è molto simile.
Avevo in casa della qualedda portatami espressamente dai miei Zii dalla Sicilia e ho pensato di usarla per realizzare questi

lunedì 1 novembre 2010

Zuppa di fagioli al pomodoro

Sono reduce da un week-end a Genova ricco di affetto, risate, divertimento, ottima cucina e... shopping, su cui mi dilungherò in un altro post.
Ieri sera ho preso il treno carica come un mulo, ma ho lasciato dalla Ale i banali sacchetti di plastica perché quelli di carta sono decisamente più trendy.
Peccato che piovesse.
Sono arrivata a casa con un sacchetto tenuto in braccio, un altro tenuto in equilibrio precario sul trolley (pesantissimo perché pieno di libri di cucina), niente ombrello perché non dispongo di terza mano per reggerlo - e sa il Cielo se avrei avuto bisogno di una terza mano, per reggere il secondo sacchetto.
Naturalmente l'ascensore non funzionava e ho dovuto trascinare me stessa e il precario bagaglio su per le scale, ridendo come una deficiente pensando che io a Fantozzi faccio un baffo. I sacchetti di carta sono collassati non appena oltrepassata la soglia di casa, e io ho esclamato: "le mie pentoline!!!". Fortunatamente tutti i miei acquisti in ceramica sono arrivati a destinazione sani e salvi, resistendo Dio sa come a cadute, urti e quant'altro. Non sorprendentemente, oggi sono leggermente in coma...

Quando ero ragazzina Cesare Battisti cantava "Ma che colore ha una giornata uggiosa?"; la mia risposta è sempre stata "dipende" e così continua ad essere.
Se però la giornata uggiosa coincide con una pigra giornata di inizio novembre, ecco che il colore diventa quello delle zuppe, dei brasati, di tutti quei piatti a cottura lenta il cui aroma si spande per la casa.
Nel quadro ideale che ho in mente c'è anche un camino con un bel fuoco allegro e scoppiettante, un buon libro in mano, musica di sottofondo, etc., etc. Nella vita reale invece c'era una montagna di roba da stirare e una lavatrice da mandare avanti.
Mi sono consolata realizzando almeno una parte del sogno: in settimana al mercato mi ero lasciata tentare da dei bei baccelli di fagioli borlotti freschi; oggi li ho sgranati, sciacquati e posti su un telo ad asciugare. 
Consultato il libro Ricette d'oro della Cucina Italiana (comperato con il 50% di sconto), ho trovato la ricetta che faceva per me; qualche piccola variazione, quanto basta per sentirla più "mia", ed ecco qui: