mercoledì 24 novembre 2010

Micro hamburger di pollo, limone e senape



Ieri sera chiacchierando con un'amica mi è tornato in mente un episodio occorsomi qualche mese fa. Avevo fatto un interessante corso su stoccafisso e baccalà con lo Chef Danilo Angè nella sede di Medagliani, il mio caccavellaro di fiducia. Praticamente tutte le ricette richiedevano di spinare il baccalà dopo averlo ammollato, e per farlo occorrono le apposite pinze: le lische infatti sono saldamente ancorate alle carni del pesce (sembra quasi un ossimoro!) compattate dalla salagione, ed è particolarmente difficile procedere senza pinze. Così nel corso di una delle mie incursioni da Medagliani ho chiesto dove le tenessero. Me ne sono stati presentati diversi modelli, nella penombra del magazzino, e io ne ho scelto uno più o meno a caso.
Quando sono tornata a casa e ho scorso con orgoglio i miei acquisti, ho notato che su un lato delle pinze c'era l'incisione di una fragolina. Oh, no!!! Tra tutte le pinze presentatemi avevo scelto un depicciolatore per fragole!!!! OK, l'attrezzo sarebbe stato utilizzato propriamente (già che avevo un depicciolatore per fragole e che era giusto la stagione delle fragole...) e impropriamente, come pinza per diliscare il pesce.

La cosa sarebbe potuta finire lì, ma... ma io non ho voluto che finisse lì. :-D
Dovete sapere che ho una cara amica che mi dice da anni di fare testamento (giuro che lei e Alessandra non si conoscono! :-D ) e un giorno che non avevo niente di meglio da fare, ho aperto un bel file e cominciato a redigere un bel testamento olografo.
Si dà anche il caso che qualche tempo prima mia madre e mia sorella mi avessero preso in giro per la mia caccavellaritas, citando in particolare il depicciolatore per fragole e il denocciolatore per ciliegie (che è diverso dal denocciolatore di olive, sia chiaro). Ricordarmi questo e aggiungere un paio di postille al mio testamento è stato tutt'uno: a mia madre ho "lasciato" il denocciolatore per ciliegie, e a mia sorella il depicciolatore per fragole. 
E poi non si venga a dirmi che non sono generosa.  


lunedì 22 novembre 2010

Coniglio alla cacciatora farcito con crosta di funghi e olive



Il quinto Emmetì Cialleng ha per oggetto una delle carni che io preferisco in assoluto: il coniglio. Lo ha scelto la nostra Ginestra, che nell'edizione di ottobre ha vinto la sfida sulla Apple Pie presentando un cigno farcito alle mele che avrebbe fatto invidia al pasticcere più provetto; e siccome la nostra è bravissima anche con le preparazioni salate, e forse ha anche pensato che nelle puntate precedenti avevamo toccato l'aperitivo, il primo e il dolce ma mancava un secondo piatto, ecco che ci ha sfidate su una ricetta classica, perfetta per il clima autunnale: il coniglio alla cacciatora.



Il caso vuole che mio nonno fosse un cacciatore, cosa tra l'altro utilissima in un tempo in cui la carne era carissima e non tutti potevano permettersela. Il nonno aveva sei bocche da sfamare in casa, e i conigli selvatici abbondavano nelle campagne. Il suo hobby era quindi perfetto per dare alla famiglia le proteine nobili della carne, che all'epoca si mangiava una sola volta alla settimana.


La nonna era bravissima in cucina e cucinava un coniglio alla cacciatora sublime. E' un autentico peccato che da ragazzina non mi sia minimamente posta il problema di chiederle la ricetta e i “trucchi del mestiere”, e adesso che mi interesserebbe parecchio la nonna non è più in grado di darmeli: dall'alto dei suoi quasi 104 anni, oramai fa fatica a ricordarsi come procedeva e quindi sono costretta a procedere “a naso” (di cui peraltro sono ben fornita).


Solo che... solo che per l'MTC non si può proporre la ricetta tout court: bisogna anche inventarsi qualcosa, rielaborarla in chiave creativa... e così ho pensato innanzi tutto di farcire il mio coniglio, e poi di presentarlo in crosta. Non volevo però tradire la ricetta originale: la sfida parla di coniglio alla cacciatora, non di coniglio alla mia maniera. E allora? Allora la carne va fatta marinare con le verdure... e se usassi le verdure come ripieno, magari aggiungendoci qualche funghetto? E poi, facendo un passo avanti, in quale crosta servirlo? Una crosta di briséé? Di pane? Di sfoglia? Hmmm... ho consultato il mio fido libro “In crosta” di Franco Luise e lì ho trovato la mia crosta: una crosta fatta con la carne di coniglio e i funghi!

La ricetta che vi riporto è quella che dovrebbe essere realizzata.

Quella che invece ho realizzato io è leggermente diversa, per il semplice motivo che il mio macellaio non è riuscito a procurarmi la rete di maiale. Ma forse che noi Emmetìciallengers ci lasciamo fermare da una quisquilia del genere? Nossignore!!!

Il mio problema era quello di tenere insieme una “crosta” così cremosa fino alla rosolatura. Il mio macellaio, vedendo la mia faccia alla notizia che non c'era la rete di maiale e pensando che volessi usarla semplicemente per legare il rotolo di coniglio, mi ha dato un po' della rete elasticizzata a maglia tubolare che usano loro per legare gli arrosti.



Siccome la maglia era molto stretta ma anche molto elastica, mi ha spiegato come fare per farci scivolare dentro il coniglio con facilità: dovevo mettere il rotolo in una bottiglia di plastica, di quelle dell'acqua, a cui avevo tagliato in precedenza il fondo. Poi adattavo un capo del tubo di maglia al fondo tagliato, facevo uscire il coniglio et voilà.
Sì, voilà, ma io avevo una crosta cremosa da gestire! Mentre tornavo a casa però mi è venuta un'idea: avrei tagliato un lato della maglia tubolare, stendendola a rettangolo; avrei spalmato un po' di “crosta” sul coniglio e poi lo avrei adagiato sulla rete, con il lato spalmato verso il basso; infine avrei terminato di spalmare la crosta sul coniglio, e avrei chiuso la rete “cucendola” con lo spago da cucina. L'idea si è rivelata assolutamente vincente. Al posto dell'ago ho usato una spilla da balia dove avevo legato un capo dello spago, ho proceduto abbastanza velocemente e mi sono trovata con un rotolo soddisfacente, che ho rosolato con cura 2 minuti per lato prima di trasferirlo nella rostiera, in modo da sigillare bene la crosta.


In realtà il problema della rete permane, come mi sono accorta al momento rimuoverla: la crosta, benché sigillata dalla rosolatura, tende a rimanere più attaccata alla rete che alla carne, rendendo così più difficile la presentazione del piatto; per questo motivo consiglio caldamente di utilizzare la rete di maiale... se la trovate.

venerdì 19 novembre 2010

Le (st)renne di Babbo Natale - Alchermes



L'idea, manco a dirlo, è venuta ad Alessandra, che prima l'ha condivisa con la sua socia Daniela e poi l'ha proposta a noi. "Noi" siamo, in ordine rigorosamente alfabetico per non far torto a nessuno, AnnaLù e Fabio, Stefania, Flavia, Ale & Dani e io. Se l'idea dell'iniziativa è partita da Ale, il nome l'ha trovato Fabio, grande fotografo e umorista inglese di comprovata abilità.

Tra poco più di un mese arriverà il Natale 2010 e se Gesù decide di nascere ancora su questa terra, quale modo migliore per attenderlo che preparare con le nostre manine sante un cesto natalizio per gli amici più cari? Così abbiamo deciso di travestirci da renne e di postare una (st)renna al giorno nei cinque giorni lavorativi della settimana, in una staffetta ideale il cui obiettivo è quello di regalarvi tante idee golose per riempire i vostri cesti.

Il lunedì Alessandra su Menù Turistico proporrà le ricette "da porca figura" per cui è giustamente famosa; di martedì farete un salto da Annalù e Fabio di Assaggi di Viaggio, che a Montersino fanno un baffo (peccato che la montersinite di Annalù non sia contagiosa...); mercoledì tocca alla bravissima Stefania di Cardamomo & Co. e non lasciatevi ingannare dai suoi disclaimer, perché da una come lei c'è solo da imparare, e non solo in cucina. Giovedì è il turno della vulcanica Flavia di Cuocicucidici, che quando entra in cucina fa registrare un aumento dell'attività sismica dell'Etna, alle cui pendici vive; il venerdì infine io chiudo la settimana e vi faccio tirare un sospiro di sollievo non solo perché il week-end è vicino, ma anche perché le mie ricette sono di tutto riposo (e a volte richiedono un po' di meritato riposo).

Ed ecco la mia prima (st)renna per voi: 

mercoledì 17 novembre 2010

Panini alla birra scura e la fermentazione della birra


LA FERMENTAZIONE DELLA BIRRA



Il processo di fermentazione è fondamentale nella produzione della birra e avviene mediante il lievito, detto per l'appunto lievito di birra.
Si fa presto a dire lievito però: quale lievito? Anticamente il processo si innescava spontaneamente, grazie alle spore di lievito presenti nell’aria. Questo naturalmente comportava una serie di problemi, perché oltre ai lieviti nell’aria sono presenti altri microorganismi e non tutti sono “beer -friendly”, il che comportava la perdita di centinaia di ettolitri di prodotto.

Attualmente le birre a fermentazione spontanea vengono prodotte solo a Bruxelles in un’area estremamente circoscritta, dove l’aria è ricca di fermenti acetici, fermenti lattici e soprattutto di un lievito spontaneo che non si trova altrove, il Brettanomyces Bruxellensis. Il mosto viene prima portato a ebollizione e poi pompato in una vasca di raffreddamento che si trova appena sotto al soffitto della birreria. Qui viene lasciata esposta all’aria per un certo numero di ore, prima di venire trasferita in fusti di legno dove maturerà lentamente per mesi o addirittura per anni, dipende dal prodotto che il Mastro Birraio desidera ottenere.


Abbiamo poi le birre a bassa fermentazione, prodotte con ceppi di lievito che sono attivi a basse temperature (6-12 °C). Come accennato nel capitolo sugli ingredienti della birra, i lieviti attivi a basse temperature hanno la caratteristica di depositarsi sul fondo della vasca di fermentazione in quanto a differenza di quelli che lavorano ad alte temperature, non si aggregano tra di loro ma rimangono separate. La fermentazione avviene in 7 giorni circa.


Le birre ad alta fermentazione utilizzano ceppi di lievito che lavorano bene a temperature elevate (15-25 °C). Nel corso della fermentazione i lieviti si nutrono degli zuccheri fermentescibili contenuti nel mosto e si moltiplicano. I residui dell’attività enzimatica dei lieviti contribuiscono a costruire l’aroma del prodotto finito; tra essi vi sono l’anidride carbonica, responsabile della frizzantezza della birra, e l’alcool, che le dà corpo. I lieviti da alta fermentazione moltiplicandosi si aggregano tra di loro, formando una sorta di patina schiumosa. Le bolle di anidride carbonica portano questa patina in superficie e ve la mantengono, proteggendo quindi un poco il mosto dai microorganismi esterni.
I lieviti da alta fermentazione agiscono velocemente, e dopo circa 5 giorni la fermentazione del mosto è completata e si può passare alle successive fasi di lavorazione.


Alcune birre ad alta fermentazione subiscono successivamente un processo di rifermentazione in bottiglia: al momento di imbottigliare, si aggiunge alla birra (che può essere filtrata o no) una certa quantità di zucchero e talvolta anche un supplemento di lievito. Le bottiglie così prodotte vengono poi collocate in un locale apposito, dalla temperatura costante di 25 °C, per una decina di giorni, nel corso dei quali lo zucchero fermenta aumentando il tenore alcolico della bevanda, mentre i lieviti si depositano sul fondo. Non di rado sull'etichetta di queste birre leggiamo "bière sur lie", letteralmente "birre su feccia" (la feccia è il deposito e solo con l'uso colloquiale del suo senso lato ha assunto un'accezione negativa), ad indicare il fatto che sul fondo della bottiglia deve esserci un deposito. Al momento di servirle, queste birre necessitano di un trattamento particolare: si versa quasi tutto il contenuto della bottiglia nel bicchiere lasciando circa 2 dita di prodotto, poi si muove circolarmente la bottiglia (un po’ come si fa con i bicchieri di vino) per mandare in soluzione il lievito e infine si versa quest’ultima sorsata nel bicchiere, andando a distribuire omogeneamente il lievito in tutta la bevanda che ci stiamo apprestando a consumare.

E adesso passiamo alla ricetta del giorno:
 
 


Panini alla birra scura
da Alice Cucina, novembre 2010


500 g farina 0
12,5 g lievito di birra fresco (mezzo cubetto)
330 ml birra scura (io ho usato una Guinness)
8 g sale
5 g malto d'orzo
25 g burro


Per la glassa:
125 ml birra scura
70 g farina di segale
1 pizzico di sale


Disporre la farina sulla spianatoia, praticare una fossa al centro e sbriciolarvi il lievito.
Versarvi la birra e il malto e cominciare ad impastare. Aggiungere il sale e il burro e proseguire a lavorare per una decina di minuti, fino ad ottenere un impasto tenero, ma non appiccicoso. Se necessario, afferrare la palla di impasto e sbatterla due o tre volte energicamente sul piano di lavoro, per darle nerbo.
Mettere l'impasto a lievitare in una ciotola coperta di pellicola trasparente per un'ora circa.
Trascorso questo tempo rovesciarlo sulla spianatoia, lavorarlo per altri 5 minuti e suddividerlo in panini (la rivista dice panini di 40 g, io ho raddoppiato la pezzatura).
Disporli a lievitare sulla placca ricoperta di carta forno, coprirli con un foglio di pellicola e lasciare in luogo tiepido al riparo da correnti d'aria per 40 minuti.
Nel frattempo preparare la glassa: setacciare la farina di segale e il sale e aggiungervi la birra, mescolando con una frusta perché non si formino grumi.
Quando i panini sono lievitati versare su ciascuno di essi una o due belle cucchiaiate di glassa, in modo da ricoprirli. Spolverare leggermente con altra farina di segale e infornare a 200 °C a metà del forno per 25 minuti circa.
Tirare fuori i panini dal forno e bussare sul fondo con le nocche: dovrebbe suonare vuoto. Se suona pieno toglierli dalla placca, passarli sulla griglia del forno posizionata verso il fondo del forno (2^ tacca), abbassare la temperatura a 180 °C e proseguire la cottura per altri 10 minuti.

NOTE:

Impasto: la rivista consiglia di usare birra ristretta al 60%, fatta ridurre sul fuoco a una temperatura di circa 30 °C. Io credo che ci sia un errore di stampa: non so cosa avvenga sui fuochi di casa vostra (e in quelli della cucina di Alice), ma a casa mia la temperatura di 30 °C viene raggiunta in un picosecondo e superata altrettanto velocemente. In ogni caso, dal momento che l'alcool è un sottoprodotto della fermentazione e non è quindi estraneo all'impasto del pane, e dal momento che evapora tutto in cottura, io ho usato la birra tale e quale, senza ridurre nulla.


Glassa: la ricetta originale prevede anche un nonnulla di lievito nella glassa. Siccome la funzione della glassa è quella di dare un aspetto craquelé al pane, tanto più che non la si fa riposare, a mio avviso il lievito è completamente inutile, pertanto l'ho omesso.


martedì 16 novembre 2010

Sfogliatine ai lamponi

«Piove, senti come piove, guarda come piove, senti come viene giù » cantava Jovanotti, ed è quello che viene a dire anche a me guardando fuori dalla finestra, oggi.
Già, la pioggia. Benefica per la terra, non così benefica per l'umore, fa venir voglia di stare al calduccio sotto le coperte, col ticchettio che batte ritmico sui vetri; fa venir voglia di accoccolarsi sul divano con un plaid sulle ginocchia e una tazza piena di the caldo e fragrante tra le mani; fa venir voglia di coccolarsi con qualche dolcezza... sì, ma quale? The e pasticcini è un binomio classico e da quello sono partita, per partecipare al contest Sweet Moments di Gattoghiotto; ho cercato di farmi venire in mente una piccola golosità, una di quelle coccole che vorrei avere qui con me in questo momento, qualcosa che sia a un tempo croccante, morbido e gustoso... ed ecco che sono nate le

Sfogliatine ai lamponi




500 g pasta sfoglia
500 g latte
125 g zucchero
4 tuorli
40 g farina 00 oppure amido (di frumento, di mais, di riso, fecola di patate...)
20 g burro
1 limone non trattato (scorza)
1 uovo per spennellare
zucchero a velo per decorare
200 g di lamponi

Preparare la crema pasticcera: versare in una casseruola il latte con la scorza di limone (oppure 1 baccello di vaniglia diviso in due longitudinalmente) e 1 cucchiaio di zucchero prelevato dal peso totale e portare a ebollizione.
Raccogliere in una ciotola i tuorli con il rimanente zucchero e montarli con la frusta fino ad ottenere un composto spumoso. Unire la farina setacciata, aggiungervi il latte bollente e mescolare con una frusta per amalgamarlo senza che si formino grumi.
Rimettere sul fuoco e far riprendere il bollore. Farla cuocere per 5 minuti dal bollore per eliminare il gusto di crudo della farina.
Spegnere il fuoco, aggiungere il burro e mescolare finché si è sciolto e amalgamato bene.
Versare in una ciotola e raffreddare subito in acqua e ghiaccio, mescolando.



Stendere la pasta sfoglia a 2-3 mm di spessore e ricavarne dei quadrati di 13 cm di lato.
Incidere ciascun quadrato di sfoglia come segue: a 1 cm dal bordo incidere 2 lati compresi gli angoli, ma fermandosi a 1 cm dall'angolo opposto. Fare lo stesso con gli altri 2 lati. Avremo insomma 2 angoli opposti tagliati e 2 non tagliati per 1 cm. *
Inumidire i bordi, poi sollevare un bordo inciso e appoggiarlo su quello opposto. Fare lo stesso con l'altra metà del bordo, in modo da creare una sorta di vol-au-vent a forma di caramella (sono riuscita a spiegarmi?).
Spennellare ogni sfogliatina con un uovo sbattuto insieme a 1 cucchiaio di acqua e infornare a 180 °C per 10 minuti. Far raffreddare.


Versare in ciascuna sfogliatina un ciuffo di crema pasticcera e decorarla con un lampone.
Spolverizzare di zucchero a velo e servire.

* Nella speranza di spiegarmi meglio, copio il procedimento dal libro della Scuola di Cucina del Cordon Bleu: piegare ogni quadrato a metà in modo da ottenere dei triangoli. Tagliare un bordo largo 1 cm lungo i lati piegati. Lasciare 1 cm non tagliato prima di arrivare alla punta del triangolo. Aprire il triangolo e spennellare i bordi della parte interna del quadrato con acqua e uovo. Sollevare le strisce e farle scivolare una sotto l'altra. Trascinarle agli angoli opposti e attaccare le punte agli angoli della base con la mistura acqua-uovo.
Insomma... sono più facili da fare che da spiegare! ;-)