Ve lo ricordate il pandemonio causato da Bigazzi quando diede la ricetta del
gatto in umido alla Prova del Cuoco? All'epoca ci fu uno scandalo che costò al povero Bigazzi la presenza alla nota trasmissione, ma io ho subito pensato che si stesse facendo molto rumore per nulla.
Adesso siamo abituati all'abbondanza, ma fino alla prima metà del secolo scorso, quando le proteine scarseggiavano, i gatti venivano mangiati, eccome. Del resto è risaputo che da secoli gli osti spacciavano il gatto per coniglio, e non certo da ieri: nell'
Assommoir di Émile Zola, durante il pranzo di nozze di Coupeau e Gervaise, un personaggio fa una battuta su un
lapin qui miaulait, un coniglio che miagolava, da tanto questa abitudine era inveterata.
Certo, io non mangerei mai un gatto scientemente, ma non sono pronta a giurare di non averlo mai mangiato, al ristorante. :-)
Tutto questo mi è venuto in mente l'altra sera mentre facevo la spesa: sul banco del macellaio ho visto dei bei conigli fare bella mostra di se', e mi è tornata in mente una discussione divertente fatta su un forum di cucina che frequentavo tanti anni fa, nella quale l'amica Cecilia Deni ci diede una ricetta di gatto ai pomodori secchi, precisando che per realizzarla era possibile usare anche il coniglio: una sorta di inversione della ricetta, in cui il gatto era il protagonista e il coniglio costituiva una possibile alternativa.
Mi permetto di riportare la bellissima premessa di Cecilia, permeata da ricordi d'infanzia.
La ricetta è antica, diceva mia madre che c’erano un tempo gli appassionati del gatto arrosto, che si riunivano apposta per gustare tale prelibatezza. Quando ero bambina ricordo che per un lungo periodo ogni mattina per prima cosa controllavo se il nostro gattaccio semiselvatico era tornato sano e salvo dalle sue scorribande notturne e guardavo con sospetto i clienti della vicina cantina col loro boccale di rosso e la gazzosa davanti. Pensavo che tra loro si celassero, dietro le apparenze innocue degli avvinazzati, i potenziali assassini desiderosi di cannibalizzare il mio peloso amico. Che, tra parentesi, era lui un vero assassino, responsabile accertato della morte violenta di almeno due suoi rivali in amore, nonché, naturalmente di regolari massacri di polli, piccioni, conigli, tutti rubati e accuratamente nascosti e divorati. Alcuni li abbiamo dovuti pagare ai proprietari incavolati, e forse ne abbiamo pagato anche qualcuno in più: si sa, quando uno si fa una cattiva fama si piglia pure le colpe che non ha. Si chiamava Aino, con l'accento sulla A iniziale, vezzeggiato in Ainetto. E mordeva i bambini sconosciuti. Un pessimo soggetto. Noi tutti l'amavamo di un amore, chiaramente, cieco.
Vi propongo oggi la ricetta di Cecilia in versione conigliesca, e con aggiunte le dosi: quella originale, che riporto integralmente nelle note, fa parte delle antiche ricette in cui si parla di coniglio, prezzemolo, aglio, pomodori secchi, vino bianco e aceto di vino bianco, senza precisare né le quantità, né la temperatura del forno, né i tempi di cottura. All'epoca questi pochi dati erano sufficienti, oggi occorre precisare tutto per benino, ed è quello che ho cercato di fare.