domenica 31 gennaio 2016

Giornata Nazionale dello Stufato alla Sangiovannese


Oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra la Giornata Nazionale dello Stufato alla Sangiovannese.

Ho avuto il piacere e l'onore di esserne Ambasciatrice, e vi invito a cliccare sul link sopra per leggere articolo di presentazione e ricetta.

Avevo già preparato una volta questo profumatissimo stufato, ma la ricetta che presento oggi sul sito AIFB è diversa e, spero, più aderente a quella tradizionale.

Ringrazio il Direttivo dell'Associazione Nazionale Foodblogger per aver lanciato questo splendido calendario e per avermi permesso di partecipare attivamente alla sua realizzazione e diffusione.

Ringrazio altresì i Blogger che hanno dato il loro contributo alla Giornata Nazionale, pubblicando la loro versione della ricetta.

Buona lettura e buon appetito!

mercoledì 27 gennaio 2016

Belin, TANTI AUGURI !!!!!!

Oggi è un giorno speciale, perché ricorre il genetliaco di una delle persone che mi sono più care nella vita reale, prima ancora che nella blogsfera.

Sto parlando di Alessandra, la nostra amata Old Fashioned Lady, la mente creativa e lungimirante che sta dietro all'MTChallenge e a numerose altre iniziative (lo Starbooks, tanto per dirne una).

Sto parlando di un'amica cara e sincera, leale e generosa, che non nega mai un consiglio, un aiuto, un supporto. Una donna intelligente e simpatica, con cui si può parlare veramente di tutto.

E noi, suoi amici e ammiratori, oggi la festeggiamo con un CALENDARIO speciale, a lei dedicato: il CalendAle, una raccolta delle sue 12 Signature Recipes, ciascuna corredata da una delle sue famosissime massime: perle di saggezza che lei distribuisce generosamente a tutti coloro che passano da lei.

Cliccate qui per scaricarlo e godetevi le sue ricette, ma non aspettate la fine dell'anno per farle tutte!



Buon Compleanno Alessandra, 100 di questi anni!!!!




lunedì 25 gennaio 2016

Crema di zucca e Fontina con crostini di pane di segale


La mia terza proposta per l'MTChallenge n. 53 su Minestroni e Zuppe è un'antica ricetta valdostana, in uso sulle pendici del Monte Bianco.
Mi è piaciuta fin da quando ne ho letto la storia: in Val d'Aosta un tempo il pane, rigorosamente di segale, veniva preparato dalle famiglie una volta l'anno, all'inizio dell'inverno. Cotto nei forni comunitari e conservato su rastrelliere comuni, le ratelë, il pane veniva consumato nei mesi successivi. Ogni famiglia faceva sulle sue pagnotte delle incisioni particolari, per distinguerle dalle altre.

Naturalmente a mano a mano che il tempo passava il pane si seccava, diventando durissimo: una sorta di biscotto, che veniva tagliato con un apposito attrezzo, il copapan, e ammorbidito nel latte, nel brodo o nel vino, oppure nelle zuppe.
In occasione delle feste religiose poi, il pane veniva benedetto e distribuito ai fedeli, diventando quindi simbolo di unione con la comunità e di ringraziamento a Dio.


Colgo ancora una volta l'occasione per ringraziare Vittoria, che con la sua sfida mi ha spinta a studiare tradizioni dell'Italia che non conoscevo.

Ho preso l'antica ricetta così come è stata raccolta da Luciana Faletto Landi, appassionata studiosa della cultura (anche gastronomica) Valdostana, e l'ho ammodernata un po', senza snaturarla. In pratica ho preparato un soffritto con la cipolla per dare corpo, ho cotto la zucca direttamente nel latte anziché lessarla a parte, e visto che avevo del pane di segale fresco, l'ho fatto asciugare un po' e ne ho ricavato dei crostini.
Niente di che, insomma. :-)

venerdì 22 gennaio 2016

Bobba - Suprema di fave secche


"Quando gli dei vogliono punirci, esaudiscono le nostre preghiere", diceva Oscar Wilde.
"Quando la Vitto vuole premiarci, esaudisce le nostre preghiere", rispondo io.

Sì, perché è da quando Vittoria ha vinto l'MTChallenge n. 52 lo scorso novembre, che la Community la implora: zuppe, zuppe, vogliamo le zuppe!!! E zuppe sono state, anzi Zuppe con la Z maiuscola: perché se nell'immaginario collettivo la zuppa è un piatto noioso, tanto da dar vita a detti come "è la solita zuppa", "se non è zuppa è pan bagnato" e via dicendo, la nostra cucina in realtà (e pure quella di altri Paesi, come testimonia il tema del mese di questo MTC) vanta una grande tradizione di saporite zuppe, tutte degne di essere presenti nella carta dei ristoranti (e infatti lo sono).

La mia seconda proposta è una ricetta di tradizione, sì, ma non la mia: è una ricetta Tabarchina, tipica di Carloforte. Nella prima metà del 1500, un gruppo di corallatori genovesi ottenne infatti dall'Imperatore Carlo V la concessione di pesca nell'isola di Tabarca, al largo della Tunisia. Vi si insediarono e ci rimasero fino al 1770, ma già nel 1738 ci fu il primo esodo della comunità tabarchina, che si stabilì nell'isola di San Pietro, in Sardegna. Appena in tempo: nel 1740 i tunisini occuparono Tabarca e ridussero in schiavitù i coloni rimasti, che furono riscattati solo nel 1770 e poterono stabilirsi sull'isola di Sant'Antioco, sempre in Sardegna. Nel corso dei secoli però, le comunità tabarchine mantennero sempre vivi i rapporti con Genova, e infatti una caratteristica curiosa delle città di Calasetta e Carloforte è il fatto che dialetto, cucina e cultura sono molto simili a quelle genovesi.

La Bobba, o Suprema di fave secche, è una ricetta tabarchina, originata a Carloforte.

Ho trovato qui la ricetta scritta in dialetto carlofortino, tanto simile a quello genovese, e ve la trascrivo:

A bobba

A l'è 'na meneshtra de fòve secche.
Pè 'na nötte mettè a bagnu inté l'ègua abbundante, 
mezu kilò de föve a shciappe sensa shcorse.

U giurnu doppu, shcuèai ben, mettèai inté 'na pignatta 
pin-a dègua e féai cöje a fögu lentu.

A maité cuttüa azzunzèghe duì shpighi d'aggiu e a piajài:
in busciucchettu, du sellau e de ravanèe taggé suttì, suttì.
Cundì quindi cun öiu d'oviva.
Rumescè ben e purtè a cuttüa.

Quande a menèshtra a l'è bella cremusa, ma nu densa, 
servîa cuà pashta oppüre cun fettin-e de pan brishcau.

La ricetta che ho seguito io però è quella riportata da Sergio Rossi nel suo libro La cucina dei Tabarchini edito da Sagep. A sua volta, Sergio l'ha avuta dal ristorante Da Andrea, Osteria della tonnara di Carloforte.

Il nome non è né bello, né evocativo e confesso di essere stata tentata di invertire i due nomi e intitolare il post Suprema di fave secche (Bobba). Sarebbe stato vigliacco però, e un tradimento della tradizione, e allora... io la chiamo Bobba e soprattutto me la mangio. E voi?

martedì 19 gennaio 2016

Potage Parmentier al fieno di malga


MTC time signori, un appuntamento che mi era davvero mancato, con tutta che il periodo natalizio comporta sempre parecchio lavoro in più, sia in ufficio, sia in cucina.
L'anno si apre con la sfida di Vittoria, vincitrice della scorsa edizione, che ci ha chiesto di inondarla di minestroni e zuppe a base di verdure. Una manna per me, che al liceo ero soprannominata Minestrina perché in gita scolastica chiedevo sempre il bis delle minestre che ci servivano, e che di regola erano snobbate dagli altri compagni.


Zuppe e minestre sono piatti che mi accompagnano spesso durante l'anno, specialmente nelle fredde serate invernali. Piatti apparentemente umili e semplici, richiedono invece un sapiente equilibrio di sapori e consistenze e quindi uno studio accurato, se non vogliamo tirare fuori un triste piatto svuota frigo.

La mia prima proposta è una delle mie zuppe preferite: il Potage Parmentier, cioè la crema di patate e porri. Questa zuppa deve il suo nome ad Antoine Augustin Parmentier, agronomo e nutrizionista sotto Luigi XVI, che scoprì le patate durante la prigionia in Germania (fu catturato dal nemico durante la guerra dei sette anni) e al suo ritorno in patria scrisse un trattato per raccomandarne la coltivazione e il consumo, indicandole come alimenti sostitutivi del grano in caso di carestia.

Il Potage Parmentier ha un sapore molto delicato ed è gradito a tutti; ha elevate proprietà drenanti e depurative, il che non guasta, e può essere servito sia caldo, sia tiepido.

Nella mia versione "da MTChallenge" ho voluto aggiungervi un sapore delicato e particolare, quello del fieno di malga. E' un sapore difficile da descrivere per chi non lo abbia assaggiato: erbaceo, fresco, dolce e fiorito, come un campo appena falciato. Mi sono procurata del fieno per uso alimentare acquistandolo on line qui e in questa ricetta l'ho messo in infusione nel brodo vegetale, alla fine della sua preparazione, prima di usarlo per il potage.
Questa ricetta è anche anti spreco: fa uso infatti di tutto il porro (parte verde e parte bianca), in modo che nulla vada perduto.



lunedì 18 gennaio 2016

Petto d'anatra ai kumquat


Oggi per il Calendario del cibo italiano di AIFB si apre la Settimana degli agrumi, frutti che ci conducono per mano durante tutto l'inverno, regalandoci preziose vitamine e minerali che aiutano l'organismo a superare indenni la stagione fredda.

Gli agrumi sono frutti antichissimi di piante del genere Citrus;  l'uomo li coltiva da 4000 anni, ma le prime notizie circa la loro esistenza risalgono al 2205 A.C.,  nello scritto cinese Tributo a Yu, dove vengono menzionati alcuni agrumi, probabilmente mandarini e pomelo, mentre nell'800 A.C. il Vajaseneyi sambita indiano cita limoni e cedri.

Quello che non tutti sanno, è che gli agrumi che conosciamo attualmente sono il frutto di incroci tra tre specie originarie: il cedro, il mandarino e il pomelo.
L'immagine che riporto, tratta dal blog di Dario Bressanini (che a sua volta l'ha presa da Nature), illustra gli incroci che hanno portato alla creazione di 9 tra le 25 varietà di agrumi ad oggi conosciute.

Immagine da Le Scienze Blog di Dario Bressanini
Mi fermo qui con le notizie generali sugli agrumi, rimandandovi alla lettura del post di Aurelia, ambasciatrice della Settimana a loro dedicata e restringo il campo a quelli che ho scelto per la ricetta che propongo oggi: i kumquat, o mandarini cinesi.

Inizialmente classificati come Citrus Japonica, sono stati spostati nel genere Fortunella Japonica nel 1915, e di recente qualcuno ha perfino messo in discussione la loro appartenenza al genere Citrus. E' però certo che si tratti di agrumi, e al pari di questi ultimi appartengono alla famiglia delle rutacee.
Caratterizzati dalla forma piccola e molto allungata, hanno una polpa molto aspra rivestita da una buccia dolcissima, motivo per cui vengono consumati interi in modo che i due elementi si equilibrino tra loro.
Dal punto di vista nutrizionale sono ricchi di Vitamine C e A, acido folicopotassiomagnesio e calcio e sono  ottimi digestivi se consumati a fine pasto. Sono anche ricchi di carotenoidi e contengono quantità apprezzabili di fibra dietetica, che limita l'assorbimento dei grassi e contrasta la fame nervosa.

Oggi li propongo in una variante della classica anatra all'arancia. Fatto curioso, ho trovato la ricetta in una rivista dedicata alle diete dimagranti. Ero stupita inizialmente vedendo proporre una ricetta col petto d'anatra, notoriamente grasso, ma dopo averne studiato le caratteristiche ho capito il perché! ;-)

giovedì 14 gennaio 2016

Farinata al limone e rosmarino


Oggi il Calendario del cibo italiano celebra la giornata nazionale della farinata.
La farinata è una specialità ligure a base di farina di ceci, ma è diffusa un po' ovunque in Italia, con qualche variante di procedimento, e prende via via nomi diversi: in Toscana si chiama cecina ed è profumata con il rosmarino, a Livorno prende il nome di torta e viene venduta dai tortai: ancor oggi è uso entrare dal tortaio e chiedere un "cinque e cinque", cioè un panino ripieno di torta di ceci. L'espressione richiama l'uso antico di comperare cinque soldi di pane e cinque di torta.
In Sicilia si prepara una polenta di ceci cuocendola sul fornello, poi la si versa in una teglia e la si fa raffreddare completamente; a questo punto si taglia a quadrotti, che vengono fritti in olio profondo, salati e spolverati di pepe: abbiamo così le panelle, che si gustano da sole o come companatico, esattamente come accade a Livorno.
Se volete sapere qualcosa di più sull'affascinante storia di questo piatto, andate a leggere il post di Sara sul sito AIFB: ne vale davvero la pena!

La farinata si cuoce in un'apposita teglia di rame stagnato, detta testo. Se non la possedete potete ugualmente preparare un'ottima farinata, usando la leccarda del forno o una teglia normale. Io ho la fortuna di possederne una, regalata a mia madre dalla sua consuocera e passata a me, causa inutilizzo nella casa paterna. :-)

La farinata classica prevede il solo uso di farina di ceci, acqua, sale, pepe e un ottimo olio extravergine di oliva. Ne esistono però diverse varianti: dalla già citata cecina al rosmarino alla farinata di Oneglia con i cipollotti; c'è anche chi vi unisce i bianchetti, quando è stagione.

Io per celebrarne la Giornata Nazionale ho voluto studiare una variante: al classico rosmarino ho aggiunto la scorza grattugiata di mezzo limone. Il motivo è molto semplice: la farinata mi piace moltissimo, ma mi stucca facilmente. Ho pensato che la nota acidula del limone potesse pulire la bocca, e non ho sbagliato: ne è uscita la miglior farinata che abbia preparato finora.

venerdì 8 gennaio 2016

Crema di foglie e gambi di carciofo



La settimana che sta volgendo al termine, secondo il Calendario del cibo italiano, celebra la Settimana degli avanzi. Sistemata strategicamente dopo le Feste, quando si presenta il problema di riciclare in maniera gustosa gli avanzi degli ultimi banchetti, questa settimana ci ricorda in realtà che lo spreco è esecrabile in ogni tempo dell'anno.
Non faccio il solito discorso "con tutta la gente che muore di fame", perché il rispetto per il cibo viene ancora prima di queste considerazioni. Il cibo è nutrimento per la vita, sostentamento del corpo. E' quindi mancanza di rispetto per la vita stessa, sprecarlo.

Il bellissimo articolo di Cinzia, Ambasciatrice della Settimana degli Avanzi, si apre con un'affermazione provocatoria di Oldani, secondo cui gli avanzi non dovrebbero esistere proprio. Di fatto però sappiamo bene che esistono, eccome. Tutto sta a presentarli in una veste nuova e appetitosa, che non ce li faccia percepire come "minestra riscaldata" ma come piatti aventi una dignità propria.

Vi è anche un'altra categoria di cibi però, che pur non essendo veri e propri avanzi viene spesso buttata, mentre ha un potenziale alimentare notevole. Si tratta degli scarti di cucina, quelle parti meno nobili dei cibi che un tempo venivano utilizzati appieno - anche perché c'era penuria di tutto - e oggi vengono spesso buttati via senza pensarci troppo.

E' questo genere di scarti che ho deciso di valorizzare per celebrare questa importante settimana.
Il risultato è delizioso, nonostante l'umiltà degli ingredienti di partenza, che richiedono un po' di lavoro in più per estrarne il sapore.

domenica 3 gennaio 2016

Cavatelli integrali di Tumminìa con ragout di coniglio al caffè


Oggi 3 gennaio, secondo il Calendario del cibo italiano è la Giornata Nazionale dei Cavatelli.
Patty, Ambasciatrice AIFB di questo piatto, ha scritto uno splendido post che vi consiglio caldamente di leggere: al pari di quelli che lo hanno preceduto infatti, darà interessanti informazioni storiche sulle sue origini e sul perché vale la pena celebrarlo a livello nazionale.

Originari del Molise, questi gnocchetti di semola di grano duro sono diffusi in tutto il Sud Italia e conosciuti con nomi leggermente diversi, che dipendono anche dal numero di dita usate per dar loro la tipica foggia. Se si usa un dito sono infatti detti cavatelli; fatti con tre dita prendono il nome di capunti e con 4 dita vengono chiamati strascinati. Pare che con 2 dita non li faccia quasi nessuno, motivo per cui ho deciso di farli io. :-) Indipendentemente dal numero di dita che usiamo per farli, invito tutti a provarli: ripetere gesti antichi crea un legame misterioso tra noi e il passato, aiutandoci a fare memoria della nostra storia e del vissuto quotidiano.

Una volta deciso di preparare i cavatelli (mai fatti in vita mia), avevo un problema: con quale sugo condirli? Mi sono lambiccata il cervello per giorni, finché non ho scoperto lo splendido blog di Alessia (leggete il suo manifesto e ditemi se non è una grande!) e ho trovato una sua ricetta di ragout di coniglio al caffè. Leggerla e innamorarmene è stato tutt'uno, e guarda caso questo magnifico ragout si sposava a meraviglia con la mia idea di cavatelli, che ho voluto preparare usando della semola integrale di grano duro Tumminìa, un grano antico siciliano usato tra l'altro per fare il pane nero di Castelvetrano. Una farina delle mie parti insomma, dal gusto unico e che porta il calore della mia Sicilia anche a Milano. Come dice Alessia, il gusto caffè non predomina, ma costituisce una piacevole nota di fondo che è pressoché impossibile associare alla bevanda così come la conosciamo. Da provare, ecco! ;-)

sabato 2 gennaio 2016

Consommè chiarificato di manzo con Zuppa Imperiale


Oggi è la Giornata Nazionale del Consommé, secondo il Calendario del cibo italiano lanciato quest'anno dall'Associazione Nazionale Food Blogger.
Poteva forse un'amante dei brodi come me esimersi dal prepararlo? Certo che no! Anzi, ho approfittato dell'occasione per chiarificare il brodo, cosa non strettamente indispensabile nel Consommé, ma che volevo provare da tempo.

Il Consommé infatti è un brodo di carne, semplice o chiarificato, che può essere servito da solo o accompagnato da vari complementi. Nella cucina classica dell'800 apriva i pranzi eleganti, mentre oggi questa abitudine è andata perduta. Distinguiamo in cucina il Consommé semplice, cioè un brodo di carne di manzo o vitellone abbastanza limpido; il Consommé chiarificato, che viene servito nelle cene eleganti o al ristorante; il Consommé di pollo e quello di selvaggina, più delicato il primo, perfetto per aprire un pranzo dove la selvaggina è il piatto forte il secondo.
Troverete notizie più approfondite nel bellissimo post odierno di Betulla, qui mi limito a dire che tra gli accompagnamenti tipici del Consommé troviamo i classici tortellini, ma vi è anche una preparazione tipica dell'Emilia Romagna che ero curiosa di provare da un po': la Zuppa Imperiale.
Preparazione sostanziosa e nutriente, la Zuppa Imperiale viene prima cotta in forno, poi è fatta raffreddare e tagliata a cubetti, infine viene tuffata nel brodo bollente per qualche minuto, giusto il tempo di scaldarsi. Quando i quadrotti salgono a galla, sono pronti per essere serviti.

Al fine di preservare la trasparenza del mio consommé ho deciso di chiarificare solo 1 litro di brodo -la quantità che mi serviva per 4 persone - e di utilizzare quello rimanente per riscaldarvi la zuppa imperiale.
Per la chiarificazione con il metodo della zattera sono debitrice a Cristiana, e allo splendido articolo che ha scritto per il blog MTChallenge: un metodo semplicissimo e molto efficace, che ha anche il pregio di rinforzare il sapore del brodo.
La ricetta della Zuppa Imperiale invece l'ho tratta dal blog di Marina, e l'ho trovata magnifica.


CONSOMME' CHIARIFICATO DI MANZO CON ZUPPA IMPERIALE



Per 4 persone

Per il brodo:

700 g di muscolo di manzo
1 cipolla media
1 carota
1 gambo di sedano
1 chiodo di garofano
1 foglia di alloro
1 rametto di timo fresco
5 gambi di prezzemolo
5 grani di pepe nero
3 bacche di ginepro
3 l di acqua fredda

Per chiarificare:
(da: MTChallenge, post di Cristiana Di Paola)

150 g di carne macinata di vitellone
1 cipolla
1 carota
1 costa di sedano
2 albumi
1,2 litri di brodo

Per la zuppa imperiale:
Da: La tarte maison

150 g di semola di grano duro
125 g di Parmigiano Reggiano grattugiato
5 uova
100 g di burro fuso e freddo
5 g di lievito chimico per torte salate (io ho usato del cremor tartaro)
1/2 cucchiaino di sale (il Parmigiano era sufficientemente saporito e non l'ho messo)
Noce moscata
Sale
Pepe macinato al momento
Burro per la teglia

Preparare il brodo.
Siccome avevo deciso di chiarificarlo ho evitato di aggiungere il consueto osso, in quanto la gelatina che questo rilascia, pur aggiungendo sapore, lo intorbida parecchio e non permette una chiarificazione ottimale. Il sapore del brodo è comunque stato rafforzato dalla zattera usata per la chiarificazione, e il risultato è stato veramente favoloso.
Mettere in una pentola di adeguata capienza il pezzo di carne con tutti gli altri ingredienti; la carota deve essere raschiata e tagliata a pezzi di circa 2,5 cm, il sedano lavato e tagliato a segmenti di 2,5 cm e la cipolla steccata con il chiodo di garofano. Coprire con l'acqua fredda e portare a bollore, schiumando con cura. Quando l'acqua avrà spiccato il bollore ridurre la fiamma e far cuocere il brodo per 4 ore, schiumando ogni tanto per eliminare le impurità che salgono in superficie. E' importante che il brodo frema senza bollire fortemente, per evitare che risulti torbido.
Assicurarsi che la carne sia coperta dall'acqua di almeno 2,5 cm, se è il caso aggiungere altra acqua calda via via che si rende necessario.
Terminato il tempo di cottura, filtrare il brodo attraverso un colino rivestito con un telo di cotone sottile e pulitissimo (non lavato con ammorbidente!) e farlo raffreddare.
Le verdure a questo punto avranno ceduto tutte le loro sostanze nutritive e possono essere buttate; riservare la carne per altri usi (avendo cotto per sole 4 ore non ha fatto in tempo a cedere tutti i suoi nutrienti al brodo), ad esempio un'insalata di lesso o delle polpette.

Chiarificare il brodo con il metodo della zattera.
Ho messo 200 ml di brodo in più da chiarificare perché la zattera ne assorbe inevitabilmente un po', e volevo darne 250 ml per ciascun commensale.
Mondare  e tritare le verdure, unirle alla carne macinata e agli albumi.
Versare il tutto in una pentola e aggiungervi il brodo freddo, portare a ebollizione mescolando in continuazione, abbassare la fiamma e proseguire la cottura, facendo sobbollire il brodo dolcemente (per evitare di rompere la zattera) per 45 minuti.
Se anche la zattera dovesse rompersi, come è accaduto a me, non disperate: la chiarificazione avverrà ugualmente. Dall'esperienza ho imparato che bisogna far sobbollire sul fornello più piccolo, con la fiamma ridotta al minimo.
La zattera mi si è rotta, ma la chiarificazione è riuscita ugualmente.
A questo punto in superficie si sarà formato il coperchio proteico; con l'aiuto di un cucchiaio aprire un cratere. Foderare un colino con delle garze inumidite e strizzate  (io uso la carta-filtro che si usa per le bustine del tè, di cui posseggo un bel rotolo) e filtrare delicatamente il brodo, poco per volta.

So che è una questione di chimica, ma per me la chiarificazione del brodo ha del miracoloso: vedere un brodo torbido diventare trasparente dà un'emozione incredibile! Ecco la differenza tra il brodo normale e quello chiarificato. Probabilmente se non si fosse rotta la zattera sarebbe venuto ancora più limpido, ma anche così mi ritengo soddisfatta.


Anche la zattera usata per la chiarificazione può essere consumata a parte. Io confesso di averla mangiata così com'era, da tanto il sapore era buono (l'aspetto no, ne convengo), ma se non volete terrorizzare i vostri familiari potete strizzarla, unire del pangrattato e un tuorlo (così sfruttate uno dei due tuorli usati per la chiarificazione) e farne delle polpette che potrete friggere oppure passare in forno o ancora cuocere alla piastra. In alternativa, aggiungendo della passata di pomodoro e facendola cuocere ancora un po', potete ottenere un sugo di carne. Non è propriamente un ragù, ma di sicuro sarà buono.

Preparare la Zuppa Imperiale: preriscaldare il forno a 170 °C in modalità statica. Montare le uova in una ciotola con il Parmigiano Reggiano, il burro fuso e freddo, una macinata di pepe e una bella grattata di noce moscata. Aggiungere il semolino fatto cadere a pioggia e mescolare fino a ottenere un composto omogeneo. Assaggiare e regolare di sale.
Imburrare una teglia di cm 30x40 e versarvi il composto, livellandolo perché abbia uno spessore regolare di circa 1 cm. Infornare per 20-30 minuti, finché il composto non sarà appena dorato. Togliere dal forno, far raffreddare e tagliare a quadretti regolari.


Impiattare e servire: portare il brodo non chiarificato a ebollizione e tuffarvi i cubetti di Zuppa Imperiale, scolandoli con la schiumarola quando verranno a galla.
Portare a ebollizione anche il Consommé e salarlo. Versarlo nelle apposite tazze, unirvi i cubetti di Zuppa Imperiale e servire.



venerdì 1 gennaio 2016

Ravioli di cotechino e lenticchie in salsa di fagioli per la Giornata Nazionale delle lenticchie


Come si può evincere dal banner sito a destra del blog, faccio orgogliosamente parte dell'Associazione Italiana Foodblogger, e mi sono iscritta fin dalla sua fondazione. L'AIFB, nata per formare e tutelare quei foodblogger italiani che intendono farsi ambasciatori di una cultura culinaria autentica, quest'anno lancia un progetto entusiasmante: il Calendario del cibo italiano.

Il progetto prevede che ogni giorno di ciascun mese sia dedicato a un piatto o un prodotto o anche un personaggio italiano legato in qualche modo al cibo: tutti sono legati dal filo rosso della tradizione culinaria italiana, che è il vero denominatore comune del progetto. Anche le 52 settimane dell'anno sono legate a un ingrediente/argomento culinario, nell'intento di recuperare in toto il nostro enorme patrimonio culturale, una ricchezza a cui vorremmo che il nostro popolo attingesse a piene mani.

Oggi 1 gennaio è la Giornata Nazionale delle lenticchie; vi invito a leggere il magnifico post di Maria Greco Naccarato, che apre il Calendario Nazionale del Cibo Italiano con questo legume, il più antico coltivato dall'uomo, e base del sostentamento delle popolazioni meno abbienti da secoli.
Io le amo particolarmente, e per questo apro volentieri il nuovo anno ripubblicando una ricetta di Massimo Bottura che avevo già pubblicato nel 2013, proprio il 1 gennaio (forse me lo sentivo J).

La tradizione popolare vuole che le lenticchie portino prosperità e soldi, forse per la loro forma che ricorda quella delle monetine. Questo è l'augurio che faccio a tutti voi, per questo 2016: prosperità e ricchezza non solo materiali. Ricchezza di amore, di amici, di persone care, di cui vi invito a circondarvi.
Tagliate i rami secchi della vostra vita: gli invidiosi, i maligni, quelli che con la scusa che vi sono amici si permettono di dirvi cattiverie al solo scopo di buttarvi giù.
Privilegiate gli amici veri, quelli che non vi dicono tante belle frasi ma che vi sono vicini in tutti i momenti della vostra vita, quelli che sanno gioire sinceramente dei vostri successi e che si stringono a voi nei momenti tristi.
E' questa la vera ricchezza, non lasciatevela sfuggire... e gustate questo magnifico primo piatto firmato Massimo Bottura, insieme a tutti i vostri cari!