Un pane per
ringraziare.
Un pane per non
dimenticare.
Un pane per
invocare la pace.
L’MT Challenge di ottobre 2012 ha messo a tema, insieme al pane dolce dello Shabbat, la storia e
la cultura di un Popolo, quello Ebraico, che nel corso dei secoli è sempre
stato ingiustamente perseguitato in ragione della sua profonda unità con Dio,
il suo unico Dio.
Certamente il
fatto più eclatante perché più vicino ai giorni nostri è la Shoah avvenuta nel
secolo scorso; ma che dire della deportazione in Egitto avvenuta prima della
nascita di Cristo? Un popolo intero deportato e fatto schiavo, che nel corso di
quei lunghi decenni si è piegato ma non spezzato, ha mantenuto inalterata la
sua fortissima identità culturale ed è stato poi liberato da Dio per mezzo di
Mosè, passando per il Mar Rosso le cui acque si sono divise in due, per poi
richiudersi sui soldati del Faraone.
Anche oggi, nell’Anno
Domini 2012, il popolo Ebraico è ben lungi dall’essere al sicuro e non parlo
solo della situazione geopolitica d’Israele: un mesetto fa parlavo con Michela
chiedendole dei corsi di cucina ebraica che lei tiene e sono rimasta allibita
quando lei mi ha risposto che non può pubblicizzare giorno, ora e luogo per
ragioni di sicurezza. Sono rimasta allibita – purtroppo non stupita – perché ritengo
assurdo che in un Paese libero come l’Italia (e purtroppo sono certa che le
medesime regole valgano in moltissimi altri Paesi), dove l’Articolo 3 della
Costituzione sancisce la libertà religiosa e politica, un Popolo debba fare
attenzione a pubblicizzare un evento normale e pacifico come un corso di
cucina, per evitare attentati e rappresaglie.
Altrettanto
assurdo è che uno straniero che si rechi in Israele debba chiedere di avere il
timbro del Paese in un foglietto a parte anziché sul passaporto, perché se
dovesse recarsi in alcuni Paesi avversi a Israele, basta quel timbro a negargli l’accesso. Sarà che mi sono messa nei panni
dei funzionari dell’aeroporto di Tel Aviv, che si sentono chiedere tutti i
giorni, come una litania, “no stamp,
please”, ma l’ultima volta che mi sono recata laggiù non ho detto nulla e
da allora posso orgogliosamente dire che sul mio passaporto campeggia il timbro
d’Israele (così come in camera mia campeggia un poster con la panoramica di Gerusalemme).
Ottobre 2012,
dicevo all’inizio, ed Eleonora ha messo a tema il Pane Dolce dello Shabbat, un
pan-brioche fragrante che viene tradizionalmente preparato il venerdì e
consumato il sabato, a colazione.
Da non confondere
con la Challah, il Pane Dolce dello Shabbat viene farcito di frutta e/o altre
prelibatezze, e benché tradizionale non ha significati religiosi.
Per questa mia
seconda versione ho scelto abbinamenti di frutta secca più classici: datteri
Medjoul (da quando li ho assaggiati in Israele per me non esiste altra
varietà), fichi fioroni secchi e castagne lessate (per evitarmi il lavoraccio
di pelarle ho acquistato quelle Noberasco, già pronte).
Anche questa volta
ho voluto far rinvenire la frutta secca separatamente in acqua calda per una
mezz’oretta prima di inserirla nel pane e questa volta il trait d’union è stato il miele di castagno: un cucchiaio sciolto
nell’acqua in cui ho fatto rinvenire fichi e datteri, miele puro versato a filo
sopra le castagne secche. Completano il tutto i soliti semini di papavero: sono
stata tentata di usare il sesamo, ma non volevo che il suo sapore coprisse
quello del ripieno. Nelle mie intenzioni dovevano esserci pure dei gherigli di
noce spezzettati insieme ai datteri e ai fichi; una volta che il pane è andato
in forno me li sono trovati lì, nella loro ciotolina e quindi… per questa volta
ne ho fatto a meno. :-)