venerdì 2 settembre 2011

Fichi Caramellati



Nella nostra campagna in Sicilia non ci sono solo pale di fichi d'India: abbiamo anche un bellissimo agrumeto, alcuni alberi da frutto e 4 o 5 alberi di fico.
I fichi abbondano quindi sulla nostra tavola ed è sempre mia mamma che li coglie la mattina, non si sa se prima o dopo i fichi d'India, per poi portarli in tavola.
Destinarne una parte per preparare i fichi caramellati è stato quindi un passo naturale, anche se la totalità della mia produzione siciliana è andata ai parenti, perché i limiti di peso del bagaglio non mi consentivano di portarli con me.
Li ho rifatti volentieri una volta tornata a casa però, perché i fichi caramellati non possono mancare nella mia dispensa. In Romagna li consumano insieme allo squaqquerone, ma io li trovo squisiti anche con i formaggi più piccanti come il pecorino di fossa, e li ho utilizzati anche per il risotto con cioccolato al peperoncino che avevo presentato per le (st)renne di Pasqua.
La ricetta è presa dal libro di Suor Germana "Quando cucinano gli angeli" e a mio avviso è da svenimento. Eccola:

mercoledì 31 agosto 2011

Coniglio all'aglio rosso di Nubia con patate marinate arrosto

Quella delle patate marinate è una scoperta di 10 giorni fa quando sono stata invitata a cena a casa di carissimi amici. Angela e Rosaria, cognate e cuoche provette, me ne hanno svelato il segreto e da ora in poi non potrò più fare a meno di preparare le patate al forno così. La marinatura infatti conferisce alle patate un leggero gusto affumicato, non so come altro definirlo; è molto delicato ed è assolutamente delizioso, parola di una che l'affumicato lo detesta. Domenica a pranzo ho voluto abbinarle al coniglio all'aglio, un classico che con l'aglio rosso di Nubia acquista quel quid in più... e che mi fa gustare i sapori della mia Terra anche quando ne sono lontana. 

Io gli arrosti li cucino sempre sul fornello, ma questa preparazione - fatta salva la rosolatura del coniglio - può essere tranquillamente cotta in forno, a 200 °C in modalità statica.

lunedì 29 agosto 2011

Gelatina di fichi d'India


Come ho già scritto qui, a casa dei miei in Sicilia i fichi d'India crescono abbondantissimi: crescono rigogliosamente attorno a buona parte del muro di cinta e danno generosamente molti dolcissimi frutti, che mia mamma provvede a cogliere ogni mattina all'alba, quando la rugiada ammorbidisce le spine.

La resa di questi frutti in termini di gelatina è estremamente scarsa, visto che sono costituiti da innumerevoli semini ricoperti da un piccolo strato di polpa. Per questo motivo, a meno di non avere una massiccia produzione casalinga come la mia non conviene preparare la gelatina: pensate che con circa 10 kg di fichi d'India sbucciati ho ottenuto soltanto 1 litro di succo da cui partire per prepararla.

Inoltre per questa preparazione occorre selezionare anche il colore dei frutti: col calore infatti quelli gialli diventano di un inquietante colore marrone, per cui occorre utilizzare solo ed esclusivamente i frutti dalla polpa rossa, mischiati al limite a qualche frutto bianco. 

Questa gelatina è stata preparata dal mio figlioccio Fabio, guidato e supervisionato da me: complimenti al mio piccolo Chef in erba, che mi ha raccontato di tutte le cose che cucina insieme alla sua mamma!

Un ringraziamento grande come una casa va a mia mamma, che per consentirmi di preparare questa delizia ha raccolto e mondato almeno 15 kg di fichi d'India rossi!

venerdì 29 luglio 2011

Chicche di patate e melanzane al sugo di moscardini, pomodori e melanzane

Col senno di poi avrei dovuto capire subito che era meglio lasciar perdere; gli indizi c'erano tutti e avrei almeno dovuto limitare i danni non leggendo i contenuti, e invece...

C'è un chiosco di giornali tra i tanti che pullulano nella ridente città dormitorio alle porte di Milano dove vivo, dove non mi ero mai fermata. Ai primi di luglio mi è venuto in mente di cercare Cucina Gourmet e per la prima volta non l'ho trovato; ho pensato quindi di provare anche qui e una domenica dopo la Messa mi ci sono fermata. Cucina Gourmet non l'avevano, così ho sfogliato un paio di altre riviste, nessuna delle quali mi convinceva. La cosa strana è che ogni volta che facevo per metterle a posto la proprietaria (che è una mia condomina) mi chiedeva di darle a lei, ci cincischiava su e poi le rimetteva a posto. In ultimo ho preso Alice e mi sono accorta con una certa perplessità che la rivista era bloccata nell'angolo superiore destro da un pezzetto di scotch. L'ho sfogliata con cautela per non strapparne le pagine e a dire il vero avrei lasciato giù pure quella, se non fosse stato per lo sguardo all'ossiacetilene della proprietaria; se non abitassimo nello stesso palazzo me ne sarei altamente infischiata, ma non volendo iniziare una faida condominiale per pochi euro di rivista ho deciso di comperarla. Lei ha preso la rivista, ha tolto con cura lo scotch e in quel momento ho capito che cosa faceva con e riviste che le avevo porto a mano a mano: le stava sigillando tutte, per impedire che venissero sfogliate da altri!!! O_O

Ora, siccome la scortesia dell'edicolante non è da attribuire alle case editrici, lì per lì non ci avevo fatto caso, anzi: l'acquisto mi pareva ancora più prezioso per lo scotto che avevo dovuto pagare e quando ho visto a pag. 24 la ricetta degli gnocchi d'estate mi sono illuminata: gnocchi di patate, melanzane e basilico con sugo di pesce, WOW!!!
E' stato durante l'esecuzione che mi sono accorta che nella ricetta c'era qualcosa che non andava: dosi e spiegazioni sommarie. 1 kg di patate, 2 grosse melanzane dal peso non specificato, 200 g di maizena, farina 00 (quantità imprecisata), sale... però Alice è legata al Gambero Rosso, vuoi che loro non sappiano quello che scrivono? E poi mi sono detta che l'amido assorbe umidità per il doppio del suo peso, quindi la cosa aveva perfettamente senso. Anzi no. 
Le melanzane sono umidissime e anche divise a metà e cotte al forno non perdono questa loro prerogativa; 200 g di maizena sono decisamente insufficienti per assorbire tutta l'umidità dell'impasto; il procedimento era spiegato sommariamente (tagliare le melanzane a metà, inciderne la polpa a croce, irrorarle con un filo d'olio, farle cuocere in forno per 30 minuti e poi aggiungerne la polpa - rovente - alle patate schiacciate roventi e impastare... e pazienza se vi spellate le mani e vi vengono le vesciche da ustione, state cucinando, no?); dicono chiaramente di formare gli gnocchi passandoli sui rebbi di una forchetta, ma l'impasto è talmente molle, pur dopo avere aggiunto alla maizena altrettanta farina, che vengono malissimo, sono letteralmente inguardabili.

Pazienza, passo alla fase 2 e preparo il sugo: 2 peperoni, 1 peperoncino piccante e 300 g di polpa di pesce spada o altro pesce... e lì mi sono posta la domanda: che senso ha preparare degli gnocchi saporiti mettendoci dentro le melanzane, se poi se ne copre tutto il gusto con un sugo ai peperoni? Oramai era fatta, avevo giusto dello spada in freezer che era già stato scongelato all'uopo e quindi ho proceduto. Sugo buonissimo, gnocchi orrendi a vedersi ma buonissimi, peccato che non c'entrassero niente gli uni con l'altro. Quando poi sono andata a vedere la loro foto del piatto per capire come avevano reso invitante un piatto di quei cosi informi, mi sono accorta con rabbia che stavo contemplando delle armoniose, liscissime chicche. Chicche di patate, non gnocchi dunque, e la distinzione non solo c'è, ma è importante. 

Di più: a pagina 178 del medesimo numero della rivista c'è un servizio sulle ricette di base di Mario Bacherini, intitolato "Chicche tre volte", dove guarda caso l'equilibrio tra patate, farina e uova (Bacherini è della scuola di pensiero che vuole le uova negli gnocchi di patate) è quello classico: 1 kg di patate, 300 g di semola di grano duro, 1 uovo. Personalmente mi sono sentita presa in giro e se c'è una cosa di cui si può stare certi, è che io con Alice ho chiuso.

Siccome però sono testarda e l'accoppiata patate-melanzane-basilico mi è piaciuta molto ho voluto rifare queste chicche, modificando dosi e procedimento per renderle "praticabili" a tutti.

mercoledì 27 luglio 2011

Soufflé glacé quasi cassata nella bbrioscia


Altro giro altro regalo, mi sono detta leggendo la ricetta della sfida lanciataci dalla bravissima Loredana per l'MTC di luglio; e davvero di regali si tratta, perché ad ogni nuova sfida sono costretta a confrontarmi con una nuova ricetta, un ingrediente, una tecnica mai provata prima. Grazie a questo stimolo ho imparato un sacco di cose nuove nel corso di quest'anno, e adesso è toccato alla meringa italiana. Io delle meringhe ho sempre avuto molta soggezione; avevo l'impressione che si facessero beffe di me, dall'alto della loro spumosità. Ho scoperto invece che grazie a questa tecnica facilissima si possono pastorizzare le uova crude e mangiare quindi il preparato che ne risulta in tutta sicurezza.

A dire il vero è un mese che mi lambicco inutilmente il cervello per pensare alle combinazioni di sapori; il problema è che le idee più fantasiose (non sto certo dicendo le migliori, si badi) mi vengono in mente in situazioni in cui non ho penna e taccuino a portata di mano, tipo quando sono sotto la doccia, per poi evaporare grazie all'azione del phon mentre mi asciugo i capelli. Avevo quasi tirato fuori dal cassetto la bandiera bianca, ma quando ho tirato fuori dal forno quelle belle bbriosce col tuppo dorate e fragranti, ho avuto una folgorazione: noi consumiamo la bbrioscia col gelato, perché non metterci dentro il soufflé glacé? Magari un soufflé glacé alla ricotta, che ricordi la Cassata siciliana... La ricotta della cassata è quella di pecora; a questo pensiero se ne è sovrapposto un altro, quello della ricotta di bufala che ho assaggiato quando ho preparato la torta crumble di Knam. Bufala è sinonimo di Campania, Campania di un sacco di amici che ho da quelle parti, come Annalù e Fabio, Mario e Daniela... e poi mi è venuta in mente la Cassata siciliana.

Insomma, per farla breve ecco la mia proposta per il Menù Turistico Challenge di luglio 2011: 

SOUFFLE' GLACE' QUASI CASSATA NELLA BBRIOSCIA 


Per 4 porzioni

4 bbriosce, con o senza tuppo
250 g panna montata
200 g ricotta di bufala (va bene anche quella di pecora)
100 g zucchero semolato
50 g acqua
2 albumi

Per decorare:
canditi a piacere
ciliegie giulebbate con il loro sciroppo, oppure amarene sciroppate

Svuotare le bbriosce aiutandosi con un tagliapasta rotondo di diametro adeguato: infilare il tagliapasta dentro la bbrioscia, poi con l'aiuto di un coltello rimuovere il cilindro di pasta tagliato in questo modo, ottenendo il contenitore.
Mettere all'interno del contenitore una striscia di acetato (oppure di carta forno) in modo che sporga di 5 o 6 cm. 

Preparare la meringa italiana: versare lo zucchero in un pentolino, versarci sopra l'acqua, porre il pentolino sul fornello più piccolo e mettere la fiamma al minimo. Portare a bollore e attendere che lo zucchero si sciolga e raggiunga i 120 °C. Nel frattempo montare a neve gli albumi. Versarvi a filo lo sciroppo bollente continuando a montare e proseguire finché il composto non si raffredda (per velocizzare il raffreddamento io ho immerso la ciotola in acqua fredda). 

In una ciotola schiacciare la ricotta aiutandosi con una forchetta, finché raggiunge una consistenza cremosa. Montare la panna, unirvi la ricotta continuando a montare, quindi amalgamare gli albumi aiutandosi con un cucchiaio di legno, facendo il classico movimento dall'alto in basso e ruotando la ciotola di 1/4 di giro ogni volta. 

Versare il composto dentro le bbriosce preparate in precedenza e passare in freezer per almeno 3 ore. 

Togliere a delicatamente le strisce di acetato, decorare con i canditi e le ciliegie giulebbate e un pochino del loro sciroppo e servire.

Le ciliegie giulebbate si fanno così: quando è stagione di ciliegie si lavano e asciugano, poi si mettono nei barattoli di vetro alternandole a strati di zucchero (non troppo zucchero: io ne uso circa 300 g per 1 kg di ciliegie). Tappare bene, sterilizzare in acqua bollente o in forno, lasciar raffreddare nell'acqua o nel forno, poi riporre al buio per un paio di mesi. Sono buonissime.


Dedico questa ricetta a mia cugina, che oggi compie gli anni: AUGURI FRANCY !!!

lunedì 25 luglio 2011

Bbrioscia col tuppo

Cominciamo con una nota fonetica: in Sicilia il classico termine francese non si pronuncia briosh, ma bbrioscia, con la b e la sc fortemente scandite. La precisazione è importante perché in realtà il termine designa un prodotto unico nel suo genere per forma, sapore e uso. La forma è una variazione della classica brioche à tête, solo che mentre questa è inserita e cotta nelle forme scannellate e ha una "testa" piuttosto grossa, le nostre sono delle bbriosce tonde con una testina piccola che non a caso è chiamata tuppo, come lo chignon che questa piccola protuberanza ricorda.

Un uso classico della bbrioscia da noi, è con il gelato; e a Mazara del Vallo, città di cui sono originaria, bbrioscia col gelato è sinonimo di Ciolla (si pronuncia sholla). 
Già vedo sobbalzare i lettori Siculi e quelli che, pur non essendo originari della Trinacria sanno che ciolla è un termine dialettale che designa il membro virile, ma lasciate che vi spieghi.

Il chiosco "Punto Gelato" si trova da 70 anni a Mazara del Vallo in Piazza Regina, al Porto, e il suo fondatore, nonno o bisnonno dell'attuale proprietario, era stato così denominato, vai a sapere perché, a causa di una di quelle ingiurie che si appioppano in marina, un po' come fanno gli Indiani d'America (cfr. Balla Coi Lupi).
Se il brav'uomo non avesse aperto un'attività commerciale l'ingiuria si sarebbe spenta con lui (posto che non so se si sia spento o meno e gli auguro una lunghissima vita); lui invece decise di aprire un chiosco di gelati, che divenne ben presto noto in tutta la città per la bontà dei suoi prodotti, cosa che ha assicurato per così dire l'immortalità dell'ingiuria stessa. Ogni Mazarese (e parecchi turisti) ogni tanto esclama: "amuninni a pigghiari 'na bbrioscia ni Ciolla" (andiamo a prendere una bbrioscia da Ciolla). Le signore della Mazara-bene in pubblico diranno "andiamo a prendere una bbrioscia da Diadema" (il cognome del proprietario), ma state sicuri che nell'intimità delle loro case utilizzano il fatidico termine pure loro, e senza arrossire per giunta. Ma non è questo il punto: il punto è che il chiosco di Ciolla a Mazara del Vallo è una vera e propria istituzione, assolutamente imprescindibile non solo dalla città, ma pure dalla piazza dove sorge, tanto che quando l'anno scorso il sindaco ha tentato di sfrattarlo in un'ottica di riqualificazione della città la città intera è insorta in sua difesa, pur di preservare lo storico chiosco nella sua storica posizione.

Negli anni ci si è chiesti spesso l'origine dell'ingiuria appioppata al Signor Diadema, ma nessuno è mai riuscito a venirne a capo. Mio fratello spiega che il termine deriverebbe dal jolly che figura nella loro insegna, in quanto pure questa enigmatica figura delle carte viene denominata ciolla; questa spiegazione però non convince per due motivi: il primo è che nella ragione sociale del chiosco non compare alcun jolly (e di sicuro non c'era all'epoca della fondazione) e la seconda è che se questa storia fosse vera, non si spiegherebbe la risposta data dal signor Diadema a un amico di mio cugino qualche decennio fa, quando eravamo adolescenti. Il ragazzino era genuinamente curioso di conoscere la genesi dell'epiteto e una sera che eravamo andati al chiosco a prendere il gelato gli aveva chiesto:
- Scusi signor Ciolla, ma perché la chiamano ciolla?
- E a te perché ti chiamano minchia?

BBRIOSCIA COL TUPPO
Ricetta di Antonio Cafiero, modificata da Anna Luisa Vingiani: http://assaggidiviaggio.blogspot.com/2009/11/lievito-madre-se-non-vi-sentite-pronte.html


La ricetta passataci da Annalù qualche anno fa è sensazionale; ho modificato leggermente le dosi, mentre per il procedimento ho preferito attenermi alle indicazioni di Hamelman, perché per i lievitati ricchi di grassi preferisco di gran lunga il metodo dell'impasto indiretto.

Per 8 bbriosce:

500 g farina manitoba (io uso la Lo Conte, la più forte di quelle reperibili al supermercato)
100 ml latte intero
100 g di burro
75 g zucchero semolato
50 g acqua
25 g lievito di birra fresco
3 uova
5 g sale
1 baccello di vaniglia (semi)
1 limone (scorza grattugiata)

Per pennellare:
1 uovo
1 cucchiaio di acqua



La sera prima versare in una ciotola il latte e le uova e sbattere abbastanza da rendere fluido l'albume, che così sarà assorbito più agevolmente dalla farina.
Sciogliere il lievito di birra nell'acqua.
Mettere nella ciotola dell'impastatrice tutti gli ingredienti tranne il burro, avviare l'apparecchio a velocità 1 e farlo andare per 5 minuti, finché tutti gli ingredienti non si saranno amalgamati.
Aggiungere a questo punto il burro a pezzetti (non è necessario attendere che ogni pezzetto sia incorporato, scopo dell'operazione è farlo assorbire più uniformemente e velocemente dall'impasto) e fare andare l'impastatrice sempre a velocità 1 per una decina di minuti circa, fino a quando l'impasto non si sarà incordato.
Lavorarlo brevemente a mano, formare una palla e adagiarla sul fondo di una ciotola spolverata di farina. Sigillare con pellicola trasparente, far riposare a temperatura ambiente per 1 ora, poi riporre in frigorifero per tutta la notte.


Il mattino dopo tirarla fuori dal frigo, sgonfiarla, lavorarla brevemente e farla rilievitare per un'oretta, sempre sigillata con la pellicola, a temperatura ambiente. 
Fare a questo punto le pieghe del secondo tipo spiegate da Adriano Continisio, arrotolare coi pollici (questa tecnica me l'hanno insegnata le bravissime Sorelle Simili quando ho fatto il corso di panificazione con loro; per capire come si fa, guardare il video "formare la pagnotta" qui; fra l'altro prima di arrotolare l'autrice fa proprio le pieghe di cui parla Adriano), formare una palla stretta con l'impasto e farla riposare per 10-15 minuti, coprendola a campana con una ciotola.

Suddividerla a questo punto in 9 parti uguali; dare alle prime 8 una forma sferica come si vede nel video che ho segnalato sopra, e disporle sulla placca rivestita di carta forno distanziandole bene, perché lieviteranno parecchio. Suddividere il nono pezzo d'impasto in 8 pezzi, da cui ricavare delle palline più piccole (i tuppi) e adagiarli al centro di ogni bbrioscia. 

Far lievitare le bbriosce a 30 °C per mezz'ora e nel frattempo tirare fuori dal frigo l'uovo che si userà per pennellarle, in modo da portarlo a temperatura ambiente. Trascorso questo tempo portare il forno a 180 °C (nel frattempo tenere le bbriosce al riparo da correnti d'aria) in modalità statica, spennellare ogni bbrioscia con l'uovo sbattuto insieme a un cucchiaio d'acqua. Infornarle e farle cuocere per 15 minuti, poi estrarle dal forno e farle raffreddare su una gratella.

Io a dire il vero ho seguito per la cottura un procedimento un po' diverso, grazie al mio meraviglioso forno, che ha la funzione cottura hydro apposta per pane e lievitati, evitando così la noiosa procedura di mettere la ciotolina con l'acqua in fondo al forno. Siccome il mio forno si scalda molto rapidamente e ha un range di temperature tra i 30 °C e i 275 °C, non le ho nemmeno tirate fuori dal forno: terminata la lievitazione ho impostato il termostato a 180 °C, avviato il riscaldamento rapido (ci ha messo 4 o 5 minuti) e poi le ho cotte per 10-12 minuti da quando il forno è arrivato in temperatura.

Il risultato? Strepitoso!!! :-D
 


Con questa ricetta, dedicata alla mia Mazara, partecipo al contest Lievitami il cuore di Mamma Papera's Blog, nella sezione Dolci.