La scorsa estate una coppia di amici, di ritorno da una vacanza in Liguria, ha portato a mia mamma una torta pinolata presa in una pasticceria del posto. Non la conoscevamo, ma l'abbiamo aperta durante il pranzo della domenica e siamo rimaste stregate dal suo sapore. Da qui a decidere di replicarla il passo è stato breve: ho consultato la rete in lungo e in largo, e ho scoperto che di questo dolce esistono due versioni: una più semplice, una normale torta con dentro pinoli e mandorle, e una "da pasticceria" - quella che era stata regalata a noi - composta da una base di pasta frolla ricoperta con un velo di confettura di albicocche, e una morbida farcia a base di pinoli e mandorle.
Ho subito optato per la seconda versione, proprio perché avevo un termine di paragone, e tra le tante ricette trovate in rete ho selezionato quella di Emanuele di Cravatte ai fornelli, che mi ha attirata di più. L'ho replicata diverse volte per tutta l'estate, diminuendo via via lo zucchero che per i miei gusti era troppo, fino a trovare le dosi giuste per il mio palato.
Mi sono innamorata di questa torta perché esprime appieno lo spirito della Terra che le ha dato i natali: tutti i Liguri che conosco sono persone schive, che non amano l'ostentazione e preferiscono mantenere un profilo basso; al contempo sono persone ricchissime di umanità, di cultura, di storia, di sapere e di amore per la loro terra. Ecco, questo è un dolce prezioso (la notevole quantità di pinoli lo rende piuttosto costoso), ma senza ostentazione. L'aspetto è modesto e quasi rustico, ma il sapore è semplicemente divino.
Se ho vinto la mia non-voglia di fotografare per ritrarlo, è perché da più parti, dopo averlo assaggiato, mi è stata chiesta la ricetta. Ecco dunque la mia versione della