giovedì 27 luglio 2017

Pasta alla Norma in versione gourmet: Lumaconi con crema di melanzane su fonduta di ricotta salata


Oggi il Calendario del cibo italiano celebra la Giornata Nazionale della pasta alla Norma.
Piatto tipico della tradizione culinaria siciliana, forse addirittura il più noto, si prepara con ingredienti semplici, a portata di tutte le massaie siciliane; proprio per questo, è essenziale curare al massimo la qualità degli ingredienti.

Le origini del nome del piatto, che probabilmente era già ampiamente noto da tempo in Trinacria, risalgono al 1920, quando il commediografo catanese Nino Martoglio, a cena insieme ad alcuni amici, di fronte a un piatto di spaghetti con salsa al pomodoro, basilico, melanzane fritte e ricotta salata, esclamò: "Chista è ‘na vera Norma!".
Chiarissimo il riferimento al capolavoro del grande compositore Vincenzo Bellini, la cui Norma, mal compresa dai catanesi, ottenne il successo che meritava in occasione della Prima alla Scala, e da lì conobbe un enorme successo internazionale.

Il mio fido libro Sicilia in bocca di Antonio Cardella, riporta la ricetta in dialetto siciliano:

Dal libro Sicilia in bocca di Antonio Cardella
Per onorare la Giornata Nazionale di questo delizioso piatto, io oggi propongo la mia versione gourmet.

sabato 22 luglio 2017

GIORNATA NAZIONALE DELL’ARANCINA


Oggi il Calendario del cibo italiano celebra la Giornata Nazionale dell'Arancina (o Arancino), il cibo di strada siciliano più noto in Italia e nel mondo.

Io ovviamente le adoro, ma le mangio solo in Sicilia: nel freddo Nodd decisamente non le sanno fare, il riso è sempre scotto e il risultato è invariabilmente deludente.

Mi sono divertita a tracciare la storia di queste delizie, e ho scoperto che non ci sono notizie certe sulla loro data nascita, né si può citare il cuoco che le abbia inventate, e quindi prima di passare alla ricetta, vi tedio con un po' di storia. 😄 Ovviamente, se preferite passare subito alla ricetta avete tutta la mia comprensione. 😏

Secondo l’ipotesi più diffusa, che parte dall’analisi degli ingredienti, l'origine delle arancine risale all’Alto Medio Evo, durante l’occupazione araba, che influenzò la storia e i costumi, anche alimentari, della Terra dei miei avi.
Agli arabi infatti si deve l’introduzione del riso speziato, aromatizzato con zafferano e servito in un grande piatto al centro della tavola, accompagnato da bocconcini di carne e verdure; i commensali si servivano direttamente dal piatto di portata, prendendo con le mani un po’ di riso e condendolo con carne e verdure. In seguito l’emiro Ibn at-Timnah inventò il timballo di riso, e da lì a creare dei timballi monoporzione il passo fu breve.
Il ripieno a base di ragù di carne risale alla dominazione Normanna, mentre sembra che la panatura sia stata inserita per accontentare Re Federico II di Svevia, che voleva gustare i timballi di riso anche in viaggio e durante le battute di caccia. Tale ipotesi quindi definisce le arancine come una felicissima sintesi delle varie influenze storiche dell’Isola. Perfino il loro nome, arancine, viene fatto risalire alla cultura araba antica: nel mondo arabo infatti, tutte le polpette tondeggianti prendevano il nome dalla frutta a cui somigliavano per forma e dimensioni.

Esiste però anche una seconda ipotesi sulle origini delle arancine, alimentata dal fatto che la preparazione viene menzionata per la prima volta nella seconda metà del XIX secolo: secondo alcuni, questo farebbe pensare che la loro origine sia molto più recente. A ciò si aggiunga che il primo dizionario siciliano-italiano che registra la parola arancinu, quello di Giuseppe Biundi, è datato 1857 e descrive una vivanda dolce di riso dalla forma della melarancia. I passaggi dal dolce al salato non sono infrequenti nella storia gastronomia, e infatti il Nuovo vocabolario siciliano-italiano del Traina, edito una decina di anni più tardi, alla voce arancinu rinviava a crucchè, "specie di polpettine gentili fatte o di riso o di patate o altro".
Nei documenti sopra citati non sono mai menzionati né la carne né il pomodoro, e in effetti è difficile dire quando questi due ingredienti siano entrati nella ricetta: del pomodoro tra l’altro, si sa che cominciò a essere coltivato nel Sud Italia solo all’inizio dell’Ottocento.
Alla luce di questi fatti, l'origine araba delle arancine non sembra più così certa, mentre si potrebbe pensare che si tratti di un piatto nato nella seconda metà del XIX secolo come dolce di riso, trasformato quasi subito in una specialità salata.


Se le origini dell’arancina sono incerte, certa però è la derivazione del nome: le prime arancine, ripiene di ragù e piselli, avevano la forma tonda e il colore dorato delle arance. Col tempo i ripieni si sono differenziati, e con essi anche le forme, per poter distinguere i preziosi scrigni di cibo uno dall’altro: quelle al ragù sono rimaste tonde in Sicilia occidentale (nella parte orientale dell'Isola invece hanno forma conica, in omaggio all’Etna), mentre quelle al burro sono ovali. Ai due gusti classici, l’inventiva e le tradizioni delle varie città ne hanno affiancati altri: a Catania sono famose quelle alla Norma, con melanzane fritte, salsa di pomodoro e ricotta salata, e quelle al pistacchio di Bronte; le varianti sono una trentina e il loro numero è destinato ad aumentare, grazie alla fantasia dei cuochi e alla reperibilità di ingredienti non originari della Sicilia.
Altre differenze tra la parte occidentale e orientale dell'Isola riguardano la colorazione del riso delle arancine: nella Sicilia occidentale il giallo è dato dallo zafferano, mentre in quella orientale è dovuto al sugo di pomodoro.

A Palermo il giorno di Santa Lucia ne viene preparata anche una versione dolce, farcita con crema gianduia e spolverata di zucchero al velo. A Modica la versione dolce prevede un ripieno del cioccolato per cui la città è giustamente famosa.

Finora ho parlato di arancine al femminile, ma nella bella Trinacria la questione del genere è tutt’ora aperta. Secondo l’Accademia della Crusca entrambe le forme sono accettabili: il genere infatti è determinato dall’uso diatopicamente differenziato. In parole povere, 😊 nel dialetto siciliano il frutto dell’arancio è aranciu, che nell'italiano parlato diventa arancio: nella lingua italiana ufficiale invece, vi è la distinzione di genere: femminile per i nomi dei frutti e maschile per quelli degli alberi. Tale distinzione è invalsa solo nella seconda metà del Novecento, e ha influenzato anche la denominazione della pietanza siciliana.
I due generi sono accettati, come attestano anche i dizionari della lingua italiana: lo Zingarelli nel 1917 definisce arancina un pasticcio di riso e carne tritata, e anche il Panzini del 1927 riporta il termine arancina. E’ solo nel l’edizione del 1942 che il Panzini usa arancino al maschile, e non bisogna dimenticare che le due varianti arancio e arancia coesistono, con una prevalenza del femminile nell’uso scritto e una maggior diffusione del maschile nelle varietà regionali parlate di gran parte della penisola. Il femminile tuttavia è percepito come più corretto, almeno nell’impiego formale, perché l’opposizione di genere come abbiamo visto è tipica nella nostra lingua, per differenziare l’albero dal frutto.
Questa ipotesi sarebbe confermata dall’unica attestazione delle arancine che si trova nella letteratura di fine Ottocento, I Vicerè del Catanese Federico De Roberto: "arancine di riso grosse ciascuna come un mellone". Anche Corrado Avolio, nel suo Dizionario dialettale siciliano di area siracusana (un manoscritto inedito della Biblioteca Comunale di Noto, compilato tra il 1895 e il 1900 circa), parla di arancina; è solo dopo il 1942 che nei dizionari è prevalso il termine al maschile.
Probabilmente il prestigio del codice linguistico standard, verso cui sono sempre state più ricettive le aree urbane, ha portato a Palermo la prevalenza della forma femminile su quella maschile per il frutto, e di conseguenza anche per lo scrigno di riso.

Fonti:

Mangiarebuono.it
TaccuiniStorici.it
Accademia della Crusca on line

E adesso, se ancora non vi siete addormentati, passiamo alla ricetta, una mia creazione.

lunedì 17 luglio 2017

Sgombri in scapece


Immagine tratta dal libro Tapas Revolution

Ci sono ricette che fai spessissimo, senza che ti venga mai la voglia di fotografarle.
Un po' perché non sono facili da ritrarre, un po' perché la tua abilità fotografica è decisamente scarsa, e un po' per pigrizia. Devo dire che la pigrizia qui è motivata dalle altre due motivazioni: già gli sgombri in scapece sono difficili da rendere bene, io non sono una grande fotografa e in più, sì, mi manca un prop importante: il piatto di servizio arancione e rosso fuego usato dal fotografo del libro: perché diciamocelo, senza quel piatto di servizio, anche la foto del libro tutto sommato non sarebbe stata un granché. 😉

Sabato mattina, andando al mercato dal mio banco del pesce di fiducia intenzionata a comprare solo cozze, non ho saputo resistere alla tentazione degli sgombretti che mi facevano l'occhiolino dal loro letto di ghiaccio. "Chissà che non mi venga la voglia di fotografarli, questa volta?", mi sono detta, mentre infrangevo la mia ferrea determinazione e aggiungevo alle cozze dei tranci di tonno e, appunto, gli sgombretti. Solo quattro, mi sono detta; dieci, ne ho portati via, e li ho cucinati tutti in scapece, triplicando le dosi della ricetta di quel bel figliuolo di Omar Allibhoy, che tanto mi era piaciuta fin dalla prima volta che l'avevo provata.
E no, non li fotografo neppure questa volta. Me li mangio e basta, però la ricetta questa volta la pubblico. 😁

mercoledì 24 maggio 2017

Arrosto di Coniglio al limone, timo e capperi - Lemon-Roasted Rabbit with Thyme and Capers


Scroll down for the English version

Ecco, ci risiamo.
Sono di nuovo a dieta.
Una delle mie diete cicliche, perché se hai un blog di cucina, sei una buona forchetta e finché in tavola ci sono cose commestibili non smetti di mangiare, ingrassare è inevitabile.
A meno di non avere un metabolismo che va alla velocità della luce, o di fare una vita attiva, o insomma di essere tutto quello che io non sono.
Naturalmente per mettersi a dieta deve scattare una molla nella testa: non basta dirsi "sono grassa, mi faccio schifo"; non basta guardarsi allo specchio, notare come  pantaloni un tempo morbidi fascino fianchi e glutei come fossero dei leggings: bisogna essere disposti a cambiare lo stato delle cose.

A me di solito la molla scatta quando cominciano a venirmi strette le mutande: gonne e pantaloni passano di moda e comunque dopo qualche anno si usurano, quindi si possono cambiare, ma il parco mutande no, quello non si cambia. Di misura, intendo. 😄 Si usurano, si buttano e si comprano nuove, ma sempre della stessa misura: quella successiva per me è semplicemente inaccettabile.

Quello che è cambiato questa volta è stato il momento in cui la molla è scattata: contrariamente al 99,9% delle donne italiane, che si preparano alla prova bikini intorno a maggio-giugno, io mi metto a dieta in settembre, una volta tornata dalle vacanze estive (e quindi dopo una prova bikini disastrosa).
Del resto, provate voi ad andare in Sicilia per 3 settimane e resistere sistematicamente ad arancine, pane di grano duro, cannoli, brioche col tuppo traboccanti di gelato e con un generoso ciuffo di panna sopra: per me è impossibile. E così mi dò alla pazza gioia, pensando che tanto in settembre mi metto a dieta, e torno dalle ferie con 5 kg buoni in più. A quel punto le mutande mi vanno strette, la molla scatta e sto attentissima alla mia alimentazione fino a novembre. Tutto bene fin lì, ma poi arriva dicembre.

In dicembre, io capitolo.
Un compleanno in famiglia dà il la ♪ ai bagordi, seguono aperitivi, pizzate, pranzi e cene di Natale con un numero disparato di persone: i colleghi, gli ex colleghi, gli amici del gruppo X, gli amici del gruppo Y, quelli del gruppo sub, e chi più ne ha, ne metta. Infine arriva il fatidico triduo di Natale: nella mia famiglia si celebrano la Vigilia, il giorno di Natale e pure Santo Stefano.

Una volta caduta, rialzarmi mi è quasi impossibile: intanto ho in casa il panettone del pacco aziendale, e a me il panettone piace da morire. Poi si comincia a parlare di Capodanno; dopo Capodanno c'è l'Epifania, e terminate le feste mi trovo ad aver ripreso una buona metà dei kg persi nei mesi precedenti. Al lavoro gennaio e febbraio sono mesi pesantissimi, quindi di mettermi a dieta non se ne parla neanche, non ne ho né le energie, né la forza. Intorno a maggio comincio gradualmente a svuotare il freezer, che si è nel frattempo riempito in maniera esagerata, e arrivo alla vigilia della partenza per le ferie estive con il congelatore svuotato e sbrinato, e il corpo adorno di un corposo salvagente, che al mare torna sempre utile.
Ferie, mangiate pantagrueliche, ingrasso estremo, e al ritorno ricomincia tutto daccapo.

Tranne quest'anno. Quest'anno sono inciampata in un libro che parla di una dieta speciale, ideata da una nutrizionista Americana. L'ho acquistato in lingua originale, perché da brava traduttrice mi viene l'orticaria ogni volta che leggo libri mal tradotti, e la sua lettura mi apre un mondo. Il cibo usato come una medicina, grazie alla quale è possibile riattivare il metabolismo; non si contano le calorie, ma si guarda il valore nutritivo dei singoli alimenti; è richiesta una moderata attività fisica, perfino dei massaggi... è incredibile, mi è venuta voglia di mettermi a dieta!!!
Tra l'altro alla fine del libro ci sono una serie di ricette veramente sfiziose, perché non provarci? E così ho cominciato a reperire i vari ingredienti, ho cucinato, porzionato, etichettato e congelato, e mi sono messa a dieta. Occorrono 28 giorni per rieducare il metabolismo e abituarlo a digerire gli alimenti che ingeriamo e a trasformarli subito in energia, anziché immagazzinarli come grassi. Terminato questo periodo, si può proseguire la dieta fino al raggiungimento dell'obiettivo desiderato, ma nel frattempo si godrà dei suoi incredibili benefici: ho cominciato a sprizzare energia da tutti i pori in un periodo dell'anno in cui di solito faccio una cura ricostituente, pelle e capelli sono migliorati sensibilmente, e pure la cellulite ha cominciato piano piano ad andarsene.

Non ve lo racconto, ma vi consiglio di comperare il libro e di leggerlo molto attentamente: la versione italiana è questa, e riporta alla fine del libro le ricette adattate agli ingredienti che reperiamo facilmente in Italia; la versione in lingua originale è questa, e siccome ho in casa la stragrande maggioranza degli ingredienti richiesti e sono riuscita a procurarmi con molta facilità quelli che non avevo, seguo fedelmente quella.

La ricetta che segue è indicata per questa dieta, più precisamente per la Fase 3. Capite perché la sto seguendo volentieri? 😄

venerdì 19 maggio 2017

Giornata Nazionale delle fragole: Pasta al sugo di pomodoro e fragole


Oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra la giornata delle fragole: un'autentica festa per chi come me ama alla follia questo frutto, ch e giunge a maturazione a tarda primavera e preannuncia i meravigliosi sapori dell'estate.

Le fragole sono una gioia per il palato e per gli occhi: a me piacciono anche da sole, ma a dire il vero le ho gustate in quasi tutti i modi: dal famigerato risotto alle fragole così di moda negli anni '80 e '90 (quante ricette ho provato e scartato, prima di decidere che non mi piaceva!) alle classiche fragole con panna, passando per torte, macedonie, gelati e confetture di tutti i tipi. Gli unici abbinamenti noti che non sono ancora riuscita a provare sono quello con il vino rosso e quello con l'aceto balsamico, che mi danno l'impressione di coprirne il meraviglioso sapore.
Il buon proposito di oggi è quello di provarli entrambi, per constatare di persona se è effettivamente così o se mi sono persa qualche cosa in tutti questi anni.

Dai tempi del risotto alle fragole però non avevo più provato un abbinamento salato, fino all'MTChallenge di due anni fa, sulla pasta al pomodoro. In quell'occasione ho sfatato un mito - quello che la pasta al sugo di pomodoro semplice non mi piace - e creato la ricetta che vi ripropongo oggi.

Fragole e pomodori vanno d'accordissimo in questo sugo, ma bisogna fare attenzione all'equilibrio tra i due: la proporzione tra fragole e pomodori deve essere di 1:4 (1 parte di fragole e 4 parti di pomodoro). I pomodori devono essere maturi e da sugo: dai San Marzano ai Piccadilly, devono essere sodi e non acquosi.
Anche le fragole devono essere dolci e mature: si possono utilizzare anche quelle più mature, che non troverebbero posto in una macedonia.